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Israele regala ai coloni 891 nuove case

di Irene Masala

Israele reagisce alla decisione dell’Eu di etichettare i prodotti provenienti dagli insediamenti con nuovi insediamenti: il comitato israeliani per la pianificazione e la costruzione edilizia, il Construction and Planning Committee, ha dato il via alla costruzione di 891 nuove unità abitative nella Colonia di Gilo. L’esercito, secondo quando riportato dall’Imec il 16 dicembre, avrebbe anche confiscato 102 dunam (10,2 ettari) nella frazione di Beit Sahour per esigenze militari e di sicurezza. La decisione di ampliare i nuclei abitativi dell’insediamento di Gilo era stata firmata già nel 2012, e lo scorso 17 novembre il primo ministro Benjamin Netanyahu ha approvato la costruzione di altre 500 abitazioni nella colonia di Ramat Shlomo, a Gerusalemme Est. L’incremento di questi ultimi mesi è dovuto al congelamento delle attività di costruzione ed espansione degli insediamenti imposto a Israele dagli Stati Uniti. Secondo quanto era stato riportato in quei giorni del 2012, dal quotidiano Hareetz, Netanyahu avrebbe chiesto di posticipare la pubblicazione dei bandi per la costruzione di 1.285 unità abitative nella Cisgiordania e a Gerusalemme Est nella speranza di una vittoria di Romney su Obama. Speranza disattesa che comunque non ha impedito la ripresa quest’anno dell’espansione coloniale di Israele.

Sempre nel mese di novembre, infatti, è stata pianificata anche la costruzione di altre 2.200 unità abitative nell’insediamento di Ma’ale Micmas, a est di Ramallah. Le 891 nuove case dovrebbero sorgere su 70.282 metri quadri di terreno più o meno adiacenti alle colonie di Gilo e Abu Ghneim.

Per molte Ong, osservatori internazionali e per gli stessi rappresentanti di Stati Uniti e Unione Europea, gli insediamenti israeliani all’interno dei Territori Palestinesi Occupati, in particolare in quelle zone definite area C secondo gli accordi di Oslo, non sono solamente una violazione del diritto internazionale, ma rappresentano al momento uno dei temi più difficili da affrontare al tavolo dei negoziati, rendendo di fatto impossibile la nascita di uno stato Palestinese dotato di continuità territoriale, ed è la causa dell’escalation di scontri e violenze tra le due popolazioni.

Secondo Oxfam “negli ultimi 20 anni la popolazione dei coloni è più che raddoppiata, arrivando oggi a oltre 520mila unità. Questo ha portato alla confisca delle terre e delle risorse palestinesi e ha alimentato la povertà. Gli insediamenti minacciano inoltre la stessa possibilità di un futuro Stato palestinese, lasciando la Cisgiordania erosa in 167 enclave disconnesse”.

Inoltre, sempre negli ultimi 20 anni, secondo il report dell’Arij dal 1990 al 2012 la superficie territoriale occupata dagli insediamenti è aumentata del 182% passando dai 69 km quadri del 1990 ai 194,7 nel 2012. Nel resoconto sul rapporto fatto da Infopal si legge: “Continuare a costruire nei principali blocchi coloniali di Gerusalemme ha lo scopo di isolare la città dal resto della Cisgiordania, in quest’ultima, Israele cerca di garantirsi il controllo dei cinque importanti blocchi coloniali per mantenere una maggioranza demografica ebraica, senza tener conto del prezzo pagato dai palestinesi”.

Oltre alla confisca delle terre c’è poi il problema dell’innalzamento del livello di violenza da parte dei coloni contro i vicini palestinesi e i legittimi proprietari di immobili che in alcuni casi vengono letteralmente occupati, vedi il caso di Hebron, emblema ed enclave dei settlers. Per molti abitanti israeliani diventare dei coloni non è solo una scelta politica e religiosa, a volte si tratta di trasloco puramente utilitaristico con finalità economiche, tra incentivi del governo e affitti irrisori, l’aumentare dei coloni è diventato direttamente proporzionale alla portata della crisi economica, fatto che evidenzia che non tutti sono mossi dall’idea della grande Israele, alcuni sono semplicemente troppo poveri per permettersi una casa a Tel Aviv. E le politiche del governo non fanno che incentivare tali comportamenti sopratutto in un periodo di disaffezione politica come questo.

Per concludere, è sempre utile ricordare l’art. 49.6 della Convenzione di Ginevra. «La potenza occupante non potrà mai procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della propria popolazione civile sul territorio da essa occupato», così come è utile tenere a mente che la legge non è mai uguale per tutti.

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