Israele: premiati i “macellai” di Gaza
Israele ha deciso di premiare 53 soldati che si sono ‘particolarmente distinti’ durante l’ultima offensiva contro la Striscia di Gaza dell’estate scorsa. “Protective Edge” ha provocato la morte e il ferimento di migliaia di civili innocenti. Secondo quanto riportato dai media israeliani, il Luogotenente generale Benny Gantz, capo dell’esercito israeliano, ha approvato l’assegnazione delle medaglie su suggerimento del Brig. Gen. Harel Knafo, a capo di un comitato militare.
L’iniziativa è scaturita dai risultati di un recente rapporto che ha messo in evidenza il numero sempre crescente di militari israeliani che si suicidano per le pressioni psicologiche conseguenti al servizio obbligatorio. Il numero dei suicidi tra le fila dei militari israeliani è addirittura raddoppiato nel 2014 rispetto all’anno precedente. Eppure i vertici militari israeliani negano categoricamente che possa esserci una connessione tra i casi di suicidio e l’ultima offensiva su Gaza, come riporta anche il Jerusalem Post.
“Non abbiamo notato alcun collegamento tra i casi dei suicidi e le operazioni militari”, ha riferito un alto ufficiale dell’Idf, aggiungendo che l’esercito sta facendo tutto il possibile per prevenire i suicidi. Anche tralasciando per un attimo i dati del 2014, il quadro che scaturisce dalle informazioni inerenti agli anni precedenti è significativo: tra il 2007 e il 2012 (periodo in cui sono comprese ben due offensive israeliane contro i civili palestinesi: “Piombo fuso” nel 2008-2009 e “Pillar of Cloud” nel 2012) 133 militari israeliani si sono tolti la vita, secondo i dati diffusi tre mesi fa dal Centro di Informazione e Ricerca della Knesset; di essi l’82% svolgeva il servizio obbligatorio e il 74% era di età compresa tra i 18 e i 21 anni.
Solo nel 2013 si è registrato un significativo calo dei suicidi. Ciò che si evince dai dati resi noti dalle fonti israeliane è che, comunque, il suicidio resta la prima causa di morte fra i militari. Il servizio militare in Israele è obbligatorio per gli uomini (36 mesi) e per le donne (24 mesi). Ogni anno molti giovani cercano di evitare la leva obbligatoria adducendo problemi di salute fisica o mentale o invocando motivi religiosi. Altri diventano obiettori di coscienza e per questo motivo vengono sbattuti in prigione. Nell’ottobre del 2009, alcuni “shministim”, ragazzi delle scuole medie superiori israeliane in procinto di essere arruolati, resero pubblico un appello in cui si rivolgevano direttamente alle autorità israeliane e a tutta la società civile. In esso si leggeva: “Noi sottoscritti, giovani donne e uomini, ebrei e arabi da ogni parte del Paese, dichiariamo qui di volerci impegnare contro l’occupazione e le politiche oppressive del governo israeliano nei territori occupati e all’interno di Israele e perciò rifiutiamo di partecipare ad azioni connesse con tali politiche, che vengono condotte a nome nostro dall’esercito israeliano.
L’esercito israeliano pretende di essere l’esercito ‘più etico’ del mondo. Tuttavia ancora una volta la realtà prova che occupazione ed etica non possono stare insieme. Quando giovani armati vengono mandati in missioni di polizia in mezzo a persone sotto occupazione e prive di garanzia, quando il governo tenta di reprimere con la forza la lotta per l’indipendenza di un popolo assoggettato, tutto è pronto per l’oltraggio alla popolazione civile e per i crimini di guerra. C’è chi sostiene che noi siamo obiettori, sebbene sia il governo di Israele il più consistente obiettore, perché obbietta alla pace. L’esercito israeliano non è ‘una forza di difesa’, ma una forza aggressiva di occupazione”.
Nel marzo 2014, altri 50 “shministim” hanno inviato al premier israeliano Netanyahu una lettera che è un pesante atto di accusa, in cui si legge: “I soldati israeliani violano diritti umani e compiono azioni che il diritto internazionale considera crimini di guerra. Ci opponiamo all’occupazione dei Territori palestinesi, ad esecuzioni mirate, costruzioni di insediamenti colonici, arresti amministrativi, torture, punizioni collettive (…) e invitiamo tutti gli israeliani a riconsiderare la loro posizione in merito all’occupazione, all’esercito e al ruolo dei militari nella società civile”.
Entrambi gli appelli, insieme alla mobilitazione a livello internazionale che ne è seguita, sono stati vani e sono caduti nel vuoto. Israele continua imperterrito nella sua “politica di difesa”, anche a costo di sacrificare i suoi stessi figli.
di Manuela Comito