Israele: la guerra culturale passa per gli insediamenti illegali
Il ministro della cultura di Israele, Miri Regev, ha ottenuto una vittoria significativa giovedì 10 novembre, nella sua guerra di auto-dichiarato establishment culturale del Paese. La compagnia del Teatro Nazionale di Israele Habima si è esibita per la prima volta a Kiryat Arba, un insediamento notoriamente violento vicino alla città palestinese di Hebron nella Cisgiordania occupata.
Più di 400mila israeliani vivono in insediamenti nella Cisgiordania occupata, considerata dalla comunità internazionale uno dei più grandi ostacoli alla pace. Perfino il governo degli Stati Uniti ha intensificato recentemente la sua critica persistente all’espansione israeliana degli insediamenti, dicendo che sta mettendo in pericolo la possibilità di una soluzione a due Stati per il conflitto.
Kiryat Arba è considerato come uno degli insediamenti più hardline. Il quotidiano israeliano Haretz ha recentemente descritto Kiryat Arba, che ospita settemila estremisti religiosi, come “un simbolo delle ingiustizie dell’occupazione”. Ha eretto un parco commemorativo dedicato al rabbino estremista Meir Kahane, il cui movimento virulento Kath anti-arabo è stato messo al bando nel 1990.
Molti abitanti continuano a sostenere apertamente le opinioni di Kahane. Il parco ospita anche la tomba di Baruch Goldstein, un colono che ha ucciso 29 palestinesi e ferito molti altri presso la vicina moschea di Ibrahimi a Hebron nel 1994. Da allora la tomba è stata un luogo di pellegrinaggio per i coloni estremisti.
Miri Regev aveva ottenuto un’altra vittoria il mese scorso, quando era stato rivelato che la compagnia di Habima aveva accettato di esibirsi. La mossa era stata un duro colpo per artisti israeliani che si oppongono agli sforzi da parte del governo di Benjamin Netanyahu per costringerli a trattare gli insediamenti come una parte “normale” di Israele, come dichiarò Ala Hlehel, scrittore e critico culturale della grande minoranza palestinese di Israele. Allora la Regev accolse con molto favore la decisione, dicendo che Habima era diventato un “pioniere centrale di trattamento di tutti i cittadini dello Stato come uguali nel loro diritto a conoscere la cultura”.
Il 10 novembre, tra le 380 persone che hanno partecipato alla rappresentazione di “Una storia semplice” di S.Y. Agnon a Kiryat Arba, adiacente alla città cisgiordana di Hebron, il ministro della Cultura Miri Regev del partito di governo Likud ha esultato. “Ben fatto Kiryat Arba. Abbiamo fatto insieme la storia”. Quale storia? Quella che dimentica che la cultura è neutra e non deve essere legata al conflitto coloniale in Palestina? Quella che vuole imporre con il ricatto il ministro della Cultura di Israele, Miri Regev, ex generale di brigata nelle Forze di Difesa israeliane, chiamata antidemocratica e razzista, che l’anno scorso ha congelato il finanziamento di un teatro che aveva messo in scena uno spettacolo raffigurante palestinesi prigionieri della sicurezza e che si ispira alla vita di un uomo che ha rapito, torturato e ucciso un soldato israeliano nel 1984? Quella di rappresentare Israele più religiosa, bigotta e conservatrice come parte di un quadro più ampio di nazionalismo che cerca di battere la sinistra e gli arabi per quanto e possibile?
Sta di fatto che gli insediamenti sono illegali secondo il diritto internazionale ed ampiamente visti come un ostacolo insormontabile per una soluzione a due Stati, e portare la compagnia Habima proprio ad Hebron rappresenta un’offesa alla cultura e alla storia. Ma l’amara guerra culturale condotta dalla Regev è stata duramente criticata.
Da un gruppo israeliano per i diritti umani, Breaking the silence (Rompere il silenzio), che ha portato un gruppo di attori in un tour per Hebron a mostrare come le forze di sicurezza mantengono separati i palestinesi dai coloni. Organizzazione fondata nel 2004 da veterani dell’esercito che è stata oggetto di pesanti critiche da parte del governo e di gruppi di difesa di destra per la sua testimonianza anonima e campagna per portare la pressione internazionale su Israele.
Il ministro Regev si è spesso scontrata con le istituzioni culturali israeliane, affermando che sono sotto il controllo delle élite di sinistra e dovrebbero dare il loro contenuto più accessibile a tutti gli israeliani. Dal canto loro molti attori e scrittori hanno affermato che quello che viene richiesto a loro di svolgere in Cisgiordania calpesta la libertà di espressione politica.
Imposizioni, ricatti, questionari, tagli del bilancio del 30 per cento e dei bonus del 10 per cento per gli artisti che si rifiutano di esibirsi negli insediamenti illegali. Un programma di estrema destra che prevede una “legge di fedeltà culturale”, a Israele come “Stato ebraico e democratico”, sulla base della quale monitorare chi non ha diritto ai fondi pubblici, per avere denigrato i simboli dello stato come la bandiera, o avere commemorato la Nakba.
Cosa che ha lasciato particolarmente esposti gli artisti della minoranza palestinese di Israele, un quinto della popolazione. Nelle ultime settimane, Regev si è due volte pubblicamente scontrata con un noto rapper israelo-palestinese, Tamer Nafar, i cui testi sono notevoli per affrontare sia l’occupazione sia le questioni di razzismo verso 1,7 milioni di cittadini palestinesi di Israele.
Gli Artisti israeliani hanno a lungo sostenuto che trattano solo con la conoscenza e la cultura e non hanno nulla a che fare con la politica, Ma questo non suona più credibile da quando Habima e altri decidono di esibirsi in un insediamento noto come Kiryat Arba. Non rimane che la necessità di un boicottaggio culturale di Israele.