Israele, il Giano bifronte sulla pena di morte
Mentre la Knesset porta avanti la legge sulla pena di morte grazie al via libera del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, Israele martedì scorso ha votato a favore di una risoluzione delle Nazioni Unite che chiede una moratoria globale sulla pena capitale nel tentativo di abolire del tutto la pratica.
Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, sta intensificando la sua guerra al popolo palestinese, ha appena dato il via libera a una legge che renderebbe più facile per le Corti israeliane emettere condanne a morte contro i palestinesi accusati di compiere atti “terroristici”. La decisione di Netanyahu è stata presa il 4 novembre, ma la disputa riguardo al problema si svolge già da un po’ di tempo. Il disegno di legge sulla ‘Pena di morte’ è stato il grido di battaglia del partito “Israel Beiteinu” (“Israele casa nostra”), guidato dal politico israeliano nazionalista e attuale Ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, della sua campagna elettorale nel 2015.
Quando Lieberman ha cercato di far passare il disegno legge alla Knesset israeliana, subito dopo la formazione dall’attuale coalizione di governo nel luglio 2015, la proposta è stata sconfitta sonoramente con 94 voti contro 6, e con l’opposizione dello stesso Netanyahu. Da allora il disegno di legge è stato bocciato varie volte.
Alla fine, la posizione di Netanyahu sul problema si è evoluta fino a diventare identica a quella di Lieberman. Lo scorso gennaio, la proposta di legge del partito politico israeliano Israel Beiteinu, (della destra nazionalista), è stata approvata durante la lettura preliminare alla Knesset. Mesi dopo, il 4 novembre, la legge è stata approvata in prima lettura dai legislatori israeliani, con l’appoggio di Netanyahu stesso.
Contemporaneamente, martedì 13 novembre Israele era tra i 123 Stati che sostengono alle Nazioni Unite la risoluzione A/C.3 /73 / L.44, che “esprime profonda preoccupazione per la continua applicazione della pena di morte” e “accoglie con favore le misure adottate da alcuni stati per ridurre il numero di reati per i quali può essere imposta la pena di morte”. E’ cresciuto all’Onu il consenso internazionale per la moratoria sulla pena di morte. La Terza Commissione dell’Assemblea Generale, quella che si occupa dei diritti umani, ha approvato una risoluzione che chiede agli Stati Membri di fermare le esecuzioni con un numero maggiore di consensi rispetto al 2016. 123 Paesi – otto in più rispetto all’analogo voto in Commissione del 2016 – hanno espresso il loro appoggio alla raccomandazione delle Nazioni Unite di mettere uno stop alle esecuzioni capitali. Un voto in aula è previsto entro fine anno.
Trentasei paesi, compresi gli Stati Uniti, si sono opposti alla mozione, trenta si sono astenuti. La risoluzione, discussa a cadenza semestrale dal terzo comitato dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, accoglie “iniziative e leadership politica che incoraggiano discussioni e dibattiti nazionali sulla possibilità di abbandonare la pena capitale attraverso il processo decisionale interno”. Ha inoltre salutato il fatto che un numero crescente di Paesi è deciso ad “applicare una moratoria sulle esecuzioni, seguita in molti casi dall’abolizione della pena di morte”.
La doppia faccia di Israele che Aida Touma-Suleiman, cittadina palestinese ed una fra i pochi membri arabi della Knesset, conosce bene e capisce, come la maggior parte dei palestinesi, le intenzioni del disegno di legge. “La legge è principalmente intesa per i Palestinesi,” ha dichiarato ai giornalisti lo scorso gennaio. “Non sarà sicuramente applicata contro gli Ebrei, che commettono attacchi terroristi contro i Palestinesi,” dato che il disegno di legge è redatto e sostenuto dalla “estrema destra” del Paese”.
Proprio come la “Legge dello Stato Nazione”, anche la legge sulla pena di morte che ha come obiettivo i Palestinesi, esibisce la natura razzista di Israele e sancisce il totale disprezzo per le leggi internazionali, una realtà dolorosa che dovrebbe essere urgentemente e apertamente messa in discussione dalla comunità internazionale.
di Cristina Amoroso