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Israele, la forza militare non ti garantirà la sicurezza

Un articolo pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz, sostiene che la dottrina di sicurezza di Israele non solo sta distruggendo Gaza e la Cisgiordania, ma non riesce nemmeno a proteggere i coloni israeliani, stremati da anni di conflitto e sempre più risentiti verso qualsiasi proposta.

L’articolo aggiunge che la destra israeliana oggi adotta il modello basato sul detto: “Ciò che non può essere risolto con la forza, si risolve con ulteriore forza”. Questo modello è usato a Gaza come dottrina, ma anche come scusa. Quando ai ministri israeliani viene chiesto perché due anni di guerra non siano riusciti a “distruggere Hamas o a recuperare gli ostaggi”, la risposta è sempre che la guerra non è andata abbastanza lontano. Chiedono di aprire le porte dell’inferno, bloccare gli aiuti umanitari, occupare la Striscia e incoraggiare gli sfollamenti.

L’attacco di Hamas del 7 ottobre ha fornito a Israele una giustificazione permanente per dichiarare guerra. I titoli dei giornali sostenevano che Hezbollah si stesse preparando per un attacco simile a quello del 7 ottobre – forse subito dopo l’invasione di Hamas – mentre “fonti militari” continuavano ad avvertire di un attacco simile dalla Cisgiordania. Anche le comunità israeliane vicine alla Linea Verde vivono nella costante paura di un attacco proveniente da lì .

Le operazioni militari israeliane in corso nelle profondità della Cisgiordania mirano a perseguire e uccidere membri di Hamas o altri militanti nei campi profughi, in particolare a Jenin, Nur Shams e Tulkarem. Le forze di occupazione effettuano incursioni e arresti quasi quotidianamente in tutta la Cisgiordania, inseguendo coloro che possiedono armi, o coloro che attaccano i coloni e le loro proprietà, o che pianificano di farlo.

La strategia di sicurezza di Israele avrà successo?

Per illustrare questo concetto, consideriamo il rapido deterioramento della situazione della sicurezza israeliana dal 2008, quando le guerre a Gaza iniziarono ad accelerare e culminarono nel disastro del 7 ottobre, che a sua volta aprì molteplici fronti regionali, portò la battaglia sul fronte interno israeliano e aumentò il caos e la violenza in Cisgiordania. Il risultato è chiaro: la strategia non funziona. È vero, un attacco massiccio dalla Cisgiordania non si è ancora verificato, ma questo non perché nessuno ci abbia provato.

La tradizionale dottrina di sicurezza israeliana può essere riassunta in un elenco di concetti: deterrenza, prevenzione, risposta, sorpresa, guerre di breve durata e inflizione della massima distruzione. Per i palestinesi, la dottrina si basa su interruzione, divisione, restrizione e controllo.

Ma cosa succederebbe se l’intera dottrina di sicurezza di Israele fosse sbagliata? Da una prospettiva non militare, ma radicata in una profonda comprensione della società, sembra esserci un’enorme quantità di idee sbagliate su ciò che rende le persone sicure.

Una delle critiche più eclatanti è stata quella di un ex esponente della sicurezza che ha messo in discussione il concetto fondamentale secondo cui “tutto è concesso in nome della sicurezza”. Questa semplice critica ha ricordato la critica del filosofo Isaiah Berlin all’idea di “utopia politica”, che può giustificare qualsiasi sacrificio o crimine per realizzarla.

“La possibilità di una soluzione finale – anche se dimentichiamo il significato terribile di queste parole – è un’illusione, e molto pericolosa. Perché se qualcuno credesse davvero nell’esistenza di una tale soluzione, nessun prezzo sarebbe abbastanza alto da impedirla: se potessimo rendere l’umanità felice per sempre, che problema c’è a rompere innumerevoli uova per fare quella frittata?

Non dovrebbe essere difficile rendersi conto che non esiste una “sicurezza assoluta”. Nessuna società umana è completamente esente dalla violenza, che si tratti di sparatorie di massa, guerre tra bande o terrorismo. Anche all’interno di un processo di pace o di un accordo, ci saranno sempre dei “guastafeste” violenti, ma questo non dovrebbe essere una scusa per rifiutarsi di perseguire la pace.

Quindi, come possiamo impedire che altre persone si uniscano a questa violenza “minima”?

Questa non è una questione teorica. In Cisgiordania, ad esempio, un colono violento ha preso d’assalto un piccolo villaggio nelle colline meridionali di Hebron, mentre un suo collega guidava un bulldozer per demolire le case. Il colono ha estratto la pistola e ha ucciso un attivista palestinese che cercava di proteggere la sua comunità. Questo allontanerà gli abitanti del villaggio dalla violenza o li alimenterà ulteriormente?

Dal 7 ottobre, gli attacchi dei coloni sono aumentati drasticamente, così come i tassi di distruzione di proprietà, uccisioni e sfollamenti, in particolare a causa delle operazioni militari su larga scala nei campi profughi nella Cisgiordania settentrionale. Questo riduce il potenziale di violenza? O lo aumenta?

Israele sa bene che la sofferenza dei palestinesi genera violenza

L’amministrazione civile israeliana sa bene che la sofferenza dei palestinesi genera motivazioni per la violenza e spesso nega i permessi di viaggio tra Gaza e la Cisgiordania, o di ingresso in Israele, se un parente palestinese è stato ucciso. Quante persone oggi hanno un motivo di vendetta?

Queste motivazioni possono essere ridotte, ad esempio, migliorando la qualità della vita. Alcuni funzionari della sicurezza in pensione – come Alon Abiattar, in servizio per 27 anni – riconoscono che le motivazioni alla violenza possono essere ridotte migliorando la vita quotidiana, ad esempio concedendo permessi di costruzione nell’Area C. Nel 2016 scrisse : “Non ricordo che un palestinese abbia mai ricevuto un permesso di costruzione nell’Area C”.

Ma è anche chiaro che il miglioramento della vita non può sostituire il cambiamento politico nazionale. L’affermazione secondo cui il governo del 2021-2022 (guidato da Bennett e Lapid) avrebbe concesso permessi di lavoro a Gaza, portando a un’escalation di violenza, è falsa. Senza una visione di indipendenza, tali “riforme” possono essere intese solo come un tentativo di sottomettere i palestinesi, e questo è molto chiaro per loro.

Caro Israele, anche i palestinesi hanno bisogno di sicurezza

La violenza contro gli israeliani è reale: nove israeliani sono stati uccisi in Cisgiordania a giugno 2025, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha). Nel 2023 e nel 2024, il numero di morti israeliani è stato rispettivamente di 28 e 22.

Al contrario, soldati e coloni israeliani hanno ucciso 149 palestinesi nel 2025, un aumento di 16 volte. Nel 2023 e nel 2024, sono stati uccisi 1.004 palestinesi, un aumento di 20 volte. Eppure Israele non è riuscito ad affrontare questo enorme squilibrio.

Nella guerra del 2014 a Gaza, sono stati uccisi 2.125 palestinesi, rispetto ai 73 israeliani, di cui solo sei erano civili: un aumento di 29 volte del numero delle vittime palestinesi, secondo fonti del governo israeliano, che hanno anche stimato che più di mille dei morti palestinesi fossero civili.

L’idea non è quella di indire una “gara di cadaveri”, ma piuttosto di sottolineare che la ” sicurezza” non può essere considerata dominio esclusivo di una sola parte, finché le due sono interconnesse. Chiunque creda che la soluzione sia la “separazione” dovrebbe ricordare che, nelle circostanze attuali, ciò significa il mantenimento del controllo israeliano sulle enclave palestinesi assediate o, nella mente della destra israeliana, significa “separare i palestinesi dalla terra stessa”, ovvero sfollare.

Percorso migliore

Alcuni israeliani ritengono che Israele dovrebbe ridefinire il significato di “sicurezza”. La Dott.ssa Limor Yehuda ha fondato lo Shemesh Center for the Study of Partnership-Based Peace presso il Van Leer Jerusalem Institute. È anche un’attivista del movimento “Terra per tutti”, nonché docente di diritto ed ex avvocato per i diritti umani, specializzata nelle problematiche dei territori occupati.

Yehuda dirige il Security Working Group, che comprende ex funzionari della sicurezza e ricercatori provenienti da diversi background, con l’obiettivo di formulare un approccio migliore. Yehuda ritiene che la sicurezza debba essere intesa in senso più ampio rispetto a una ristretta prospettiva militare. Afferma: “Per affrontare la violenza, è necessario esaminarne le cause e interrogarsi sui fattori che la alimentano, non limitarsi ad affrontare le manifestazioni della violenza”. Paragona il fallimento a cercare di curare una malattia grave senza ricorrere a farmaci preventivi.

Yehuda fa riferimento al ricercatore Menachem Klein, che ha sviluppato all’interno del gruppo il concetto secondo cui il modello di sicurezza di Israele nei confronti dei palestinesi si è sempre basato sul dominio e sul controllo: “elinot” e “sheletah”. La parola ebraica “elinot” significa anche “superiorità” o “supremazia etnica”. Yehuda ritiene che questo modello si sia insinuato nell’attuale ideologia di superiorità.

Principio di “annientamento”

Yehuda fa riferimento al ricercatore Menachem Klein, che ha sviluppato all’interno del gruppo il concetto secondo cui il modello di sicurezza di Israele nei confronti dei palestinesi si è sempre basato sul dominio e sul controllo: “elinot” e “sheletah”. La parola ebraica “elinot” significa anche “superiorità” o “supremazia etnica”. Yehuda ritiene che questo modello si sia insinuato nell’attuale ideologia di superiorità.

Fa notare che l’attuale campagna militare contro i palestinesi è guidata dal principio di “annientamento” o “sterminio”, affermando: “Israele sta attuando una politica di pulizia etnica… non solo contro coloro che portano armi, ma come politica collettiva”. Fa riferimento alla visione dell’attuale governo e dei suoi ministri, come Bezalel Smotrich, che credono nella possibilità di eliminare l’esistenza nazionale palestinese nel suo complesso, tutto in nome della “sicurezza”.

La ricerca comparativa globale suggerisce l’opposto di questa logica: maggiore è l’uguaglianza, maggiori sono le possibilità di stabilità nei processi di pace. Il libro di Yehuda, “Group Equality: Human Rights and Democracy in Ethno-National Conflicts”, esamina le prove che dimostrano che le disuguaglianze intergruppo – soprattutto quando si intersecano con differenze economiche e culturali – aumentano la probabilità di violenza, e viceversa.

La vera sicurezza richiede un cambiamento radicale

Alcuni israeliani credono che tutta la potenza militare del mondo abbia i suoi limiti. Ami Ayalon, ex capo del servizio di sicurezza interna Shin Bet, ha dichiarato in un’intervista che la guerra di Israele a Gaza ha raggiunto i suoi limiti perché Israele crede ancora che la forza militare prevarrà, mentre Hamas crede nella “non resa”. “Non alzeranno bandiera bianca, anche se sono stati sconfitti militarmente molto tempo fa”.

La soluzione, secondo Ayalon, è quella di costruire una forza alternativa preparata alla diplomazia. Dopo la guerra con l’Iran, ha chiesto una transizione dalle operazioni militari alla governance politica. Per quanto riguarda i palestinesi, crede ancora nella soluzione dei due Stati, ma osserva anche che lo squilibrio di potere impedisce qualsiasi vero negoziato.

Ma finché Israele continuerà a distruggere i campi profughi in Cisgiordania, a sfollare decine di migliaia di persone, a chiudere strade a casaccio, a negare permessi e a uccidere altri palestinesi, senza alcuna prospettiva di libertà in vista, gli israeliani saranno al sicuro?

È difficile per gli israeliani sentirsi al sicuro oggi. I missili iraniani sono caduti di recente e la gente continua a morire per le ferite. Dal 7 ottobre – e in effetti dalla grave escalation del maggio 2021 – quasi la metà degli israeliani non si sente ottimista sul futuro della sicurezza nazionale. Nelle città, sugli autobus e nei caffè, si guardano le spalle o seguono le notizie per conoscere l’ultimo bilancio delle vittime. Nessuna nuova idea fermerà questi massacri, a meno che i leader israeliani non inizino ad ammettere il loro fallimento.

di Redazione

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