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Israele e Turchia normalizzano i rapporti: ma quando li avevano interrotti?

di Salvo Ardizzone

Dopo sei anni, Israele e Turchia normalizzano i rapporti: era dal maggio del 2010 che fingevano di litigare, da quando la Mavi Marmara in rotta per Gaza era stata abbordata dalle Forze Speciali di Tel Aviv, col risultato di nove morti fra gli attivisti Turchi e un decimo deceduto anni dopo per le ferite.

Ma troppi e troppo grandi sono gli interessi in comune fra i due Paesi in Medio Oriente, che da allora è cambiato radicalmente, perché continuasse ancora quella sceneggiata: l’intesa annunciata lunedì dai due Governi, con la scusa ufficiale di arrecare sollievo alla popolazione di Gaza, nella realtà è un passo obbligato per due Stati sempre più isolati.

Al di là delle stucchevoli dichiarazioni di facciata, per i Gazawi cambierà assai poco: l’embargo israeliano che li sta strangolando da 8 anni rimane; i turchi potranno costruire un ospedale, una centrale elettrica ed un impianto di desalinizzazione, ben poche cose rispetto alle immani distruzioni operate dagli israeliani, e la cui ricostruzione è stata ostacolata in tutti i modi.

Gli stessi aiuti alla popolazione stremata, ostentati con una precisa operazione mediatica, non potranno essere sbarcati a Gaza, che resta rigorosamente off-limits, ma nel porto israeliano di Ashdod, e solo da lì potranno, a Tel Aviv piacendo, entrare nella Striscia. Inoltre, oltre che a rinunciare a chiedere la fine dell’embargo, Ankara si è impegnata ad impedire che Hamas svolga qualunque attività ostile nei confronti di Israele sia sul territorio turco che partendo da esso.

In realtà, l’interessatissimo sostegno di facciata che la Turchia concede ad Hamas, ed il riavvicinamento con Israele, obbediscono a più motivi strettamente connessi: Erdogan vuole tentare di riallacciare gli antichi rapporti con l’Organizzazione, per ostacolarne il sempre più netto allineamento al Fronte della Resistenza, Fronte che in Siria ed Iraq si trova contrapposto alle mire del “sultano”. Israele ha il medesimo interesse, perché sa bene che stanno maturando i tempi per un nuovo ed assai più duro scontro; attraverso Ankara vuole tentare di depotenziarlo, o comunque di provare ad influenzare alcune frange politiche, assai più disponibili a cedere alle lusinghe a differenza dei militanti sul campo, compatti nella scelta della Resistenza.

Ma oltre al dossier palestinese, ed assai più importante di esso per i due Stati, c’è la situazione che sta evolvendo nell’area, una situazione che ha visto naufragare tutte le politiche di Erdogan e Netanyahu. Malgrado ogni sforzo, entrambi stanno vedendo materializzarsi i loro incubi peggiori ed allontanarsi i loro alleati/complici.

Inoltre, Ankara ha bisogno del gas che Israele intende estrarre dal mare (rubandolo a Gaza) e dal Golan (rubandolo alla Siria), vista la crescente tensione con la Russia che l’ha fin’ora approvvigionata, e Tel Aviv ha necessità di una sponda su cui contare nel prossimo confronto decisivo con la Resistenza; entrambe hanno l’esigenza di far fronte comune per far pressioni su una Washington sempre più restia ad impegnarsi a fondo in Medio Oriente, anche in vista del prossimo riassetto complessivo dell’area.

In tutto questo, come sempre, la tragedia dei palestinesi è utilizzata come copertura degli interessi più inconfessabili. Anche la favola bugiarda di uno Stato Palestinese non interessa ormai a nessuno, come pure la truffa dell’Autorità Nazionale Palestinese e la mummia Abu Mazen, corrotti fantocci che da anni neanche i loro antichi manovratori pensano più di utilizzare.

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