Israele ha distrutto la presenza cristiana in Palestina

L’Alto Comitato presidenziale per gli affari ecclesiastici in Palestina ha dichiarato che il regime di Israele ha distrutto la presenza cristiana in Palestina.
In seguito all’attacco genocida del regime israeliano a Gaza, il Comitato ha riferito che sono state attaccate numerose chiese e istituzioni cristiane, tra cui la chiesa di San Porfirio, la chiesa della Sacra Famiglia, l’ospedale battista e il centro culturale e sociale ortodosso. Ha confermato che dall’inizio del genocidio sono stati uccisi 44 cristiani, alcuni a causa di attacchi diretti del regime israeliano, altri a causa del peggioramento delle condizioni umanitarie.
Il Comitato ha inoltre evidenziato i ripetuti attacchi dei coloni al villaggio cristiano di Taybeh nella Cisgiordania occupata, il congelamento dei conti bancari appartenenti al Patriarcato ortodosso di Gerusalemme, l’imposizione di pesanti tasse alle chiese e il sequestro delle proprietà della Chiesa armena, tutti in violazione degli accordi di status quo di lunga data.
La dichiarazione sottolinea che i cristiani subiscono quotidianamente molestie, tra cui sputi, aggressioni fisiche e profanazioni di chiese e cimiteri. Inoltre, la libertà di movimento è fortemente limitata dai posti di blocco e dal muro di separazione, che spesso impediscono ai cristiani di praticare la propria fede o di celebrare eventi religiosi come la Pasqua. Ha anche richiamato l’attenzione sull’assedio di Betlemme, il luogo di nascita di Gesù, ora circondato da oltre 150 posti di blocco, insediamenti e tratti del muro di separazione. La superficie della città è stata ridotta da 37 chilometri quadrati a soli 7,3. Il Comitato ha avvertito che il piano di insediamento israeliano, noto come “E1”, isolerebbe ulteriormente Gerusalemme dai suoi dintorni palestinesi e rafforzerebbe l’assedio di Betlemme.
Prima della Nakba del 1948, i cristiani palestinesi costituivano circa il 12,5% della popolazione nella Palestina storica. Oggi rappresentano solo l’1,2% e appena l’1% nei territori occupati nel 1967.
Israele ha sistematicamente smantellato la presenza cristiana in Terra Santa
Si conclude affermando che il regime israeliano, e non nessun altro, ha sistematicamente smantellato la presenza cristiana in Terra Santa. “Le bugie del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu non possono cancellare la storia o la realtà dei palestinesi che vivono sotto occupazione”, si legge nella dichiarazione.
Il Comitato ha rilasciato una dichiarazione accompagnata da una foto di un carro armato israeliano fuori dalla Chiesa della Natività durante l’invasione della Cisgiordania del 2002, sottolineando che le politiche coloniali del regime israeliano, tra cui la pulizia etnica, l’apartheid e gli atti di genocidio, hanno portato alla distruzione della vita cristiana in Palestina.
Secondo il Comitato, 90mila cristiani palestinesi furono sfollati durante la Nakba e circa 30 chiese furono costrette a chiudere. Le milizie sioniste perpetrarono anche massacri contro civili cristiani, tra cui l’uccisione di 25 persone all’Hotel Semiramis di Gerusalemme e l’esecuzione di altre 12 nel villaggio di Eilabun, vicino a Nazareth, nel 1948.
La dichiarazione ha anche ricordato i villaggi cristiani di Iqrit e Kafr Bir’im nell’Alta Galilea occupata, dove ai residenti è stato impedito di tornare nonostante le sentenze dei tribunali a loro favore. Nel 1953, le forze di occupazione israeliane demolirono i villaggi per impedirne il ritorno. Oggi, solo le chiese e i cimiteri rimangono a testimonianza dello sfollamento forzato.
Il Comitato ha invitato la comunità internazionale a ritenere Israele responsabile secondo il diritto internazionale, ha esortato le chiese di tutto il mondo a parlare in difesa dei loro fratelli cristiani in Terra Santa e ha chiesto alle Nazioni Unite di proteggere la libertà di culto e la presenza cristiana in Palestina.
di Redazione