I dati ufficiali del cosiddetto Ministero della Sicurezza interna di Israele mostrano che solo il 14% dei “nuovi immigrati“, che hanno acquisito la “cittadinanza israeliana” negli ultimi anni secondo la “Legge sul ritorno” israeliana, sono ebrei, mentre l’86% di essi non lo sono.
Israele e la “Legge del Ritorno”
Il giornale israeliano Yediot Aharonot ha riferito che la Knesset emanò la “Legge del Ritorno” il 5 luglio del 1950, in base alla quale questa legge garantiva agli ebrei solo il diritto di emigrare e stabilirsi nell’entità sionista e ottenere la sua nazionalità, in linea con l’incoraggiamento dell’immigrazione degli ebrei della diaspora nei Territori occupati palestinesi. Nel 1970, la legge fu modificata per includere quelli con origini ebraiche e i loro coniugi.
Ciò significa che in seguito verrà loro concessa la cittadinanza sulla base del fatto che sono ebrei e che saranno inseriti tra la popolazione ebraica. Ciò aumenterà la possibilità di essere successivamente utilizzati come giustificazione per la presenza di una “maggioranza” ebraica rispetto alla presenza palestinese originale, composta da cristiani e musulmani. Ciò rappresenta un pretesto per affermare la necessità dell’entità sionista di rimanere uno “Stato nazionale per gli ebrei”.
Il rapporto dell’Agenzia ebraica ha rivelato lo scorso sabato che circa 250mila di nuovi immigrati ebrei provenienti da circa 150 Paesi, hanno raggiunto Israele negli ultimi dieci anni.
di Redazione