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Tornano a rullare i tamburi di guerra nel Mediterraneo

di Salvo Ardizzone

Le carte sono ormai tutte sul tavolo per un intervento militare in Libia; gli schieramenti sono già più che chiari e compattati: con il parlamento di Tripoli, sostenuto dalla coalizione “Alba”, stanno Turchia e Qatar; con quello di Tobruk (uscito dalle elezioni farsa e riconosciuto a livello internazionale), sostenuto dalla coalizione “Dignità”, stanno Egitto, Arabia Saudita e i suoi alleati, con dietro le lobby americane vicine al Golfo.

Egitto, Francia, Inghilterra e gli Stati Uniti scalpitano ormai per scendere in campo, con l’inviato dell’Onu, Bernardino Leon, a far la spola e fungere da copertura. Intanto si moltiplicano i viaggi in Italia e le dichiarazioni per spingere Roma a schierarsi per l’azione: Al-Sisi, nel viaggio appena compiuto, ha sventolato l’immancabile scusa del terrorismo per sollecitare il Governo; pagine e pagine di interviste sui giornali, da ultima quella del sedicente generale Heftar, che incita Roma ad unirsi alla “santa“ battaglia che conduce per il bene dell’Europa contro gli islamisti.

Il nostro ministro degli Esteri Gentiloni, ha dichiarato che l’Italia parteciperebbe ad un’azione di  peacekeeping sotto l’immancabile egida dell’Onu, anche se s’affretta ad auspicare un accordo politico fra le parti e che non bisogna equiparare i “jihadisti“ ai Fratelli Musulmani, che pure sono sotto le bandiere della coalizione “Alba”.

I giochi sono già fatti e le danze inizieranno a breve: Heftar, gli spezzoni del vecchio regime di Gheddafi e altre milizie, pur avendo appoggi sostanziosi, non riescono a risolvere la situazione sul campo; occorrerà un’altra missione internazionale e le bombe ricominceranno a cadere come tre anni fa, anzi, più intensamente, per ristabilire il controllo completo su tutto il Nord Africa completando il ciclo interrotto delle “Primavere”.

In Egitto l’ordine dei militari di Al-Sisi già regna; in Tunisia, con la vittoria di Nidaa Tounes zeppo di personaggi del vecchio regime di Ben Alì, sta per essere restaurato; rimane il Paese più problematico, la Libia, dove la guerra per procura sta per scoppiare per saldare i conti sul campo, e decidere chi potrà spartirsi le ricchezze del Paese. Per quelli che sono i rapporti di forza, la vittoria dovrebbe già essere assegnata al solito fronte che vede uniti il Golfo e le lobby Usa che vi fanno riferimento, con Egitto, Francia e Inghilterra a fare da interessati scudieri. Ma non sarà semplice e probabilmente correrà molto più sangue che tre anni fa.

E l’Italia? È il Paese che ha laggiù più interessi e molto più da perdere degli altri. Come tre anni fa, ha balbettato ancora le sue perplessità senza che nessuno la stesse ad ascoltare, ma state sicuri, al momento del dunque chinerà la testa come sempre e s’accoderà, fornendo basi, aerei e quant’altro le verrà richiesto. S’imbarcherà in un’altra guerra per gli interessi altrui e contro i propri, in nome d’un servaggio vecchio ormai settant’anni che, malgrado il prezzo, non intende spezzare.

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