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Yemen, la rivolta che il mondo non deve conoscere

di Salvo Ardizzone

Ieri mattina sono scoppiati furiosi scontri a Sana’a fra reparti dell’Esercito ed elementi della Resistenza Houthi. L’esca è stato un attacco dei militari ad un checkpoint presso il palazzo presidenziale, tenuto dai miliziani di Ansarullah che da settembre scorso controllano la Capitale. Il ministro dell’Informazione, Nadia al Sakkaf, ha dichiarato ad al-Jazeera che “si potrebbe vedere un altro Yemen entro stasera” e ancora, che “parte del’Esercito non obbedisce agli ordini del Presidente”. Il quadro è talmente allarmante per i vecchi poteri che gli Usa, che nel Paese hanno una forte presenza, secondo la Cnn sono pronti ad evacuare la loro ambasciata.

Alle ore 16, ora italiana, è entrato un vigore un cessate il fuoco che regge a stento, fra sporadici scontri che continuano, dopo che la Resistenza ha occupato l’agenzia di stampa ufficiale e la Tv. La situazione era assai tesa da sabato, quando era stato sequestrato Ahmed Mubarak, capo di gabinetto del presidente Abed Hadi.

La causa del riaccendersi del conflitto, risiede da un canto nel fatto che il Governo, malgrado promesse e accordi, ha continuato a dimostrarsi assolutamente inconcludente nei confronti delle formazioni qaediste che infestano vaste parti del Paese, dall’altro che siano rimaste lettera morta le promesse di serie misure contro la sfacciata corruzione e i nepotismi che sostengono da sempre il sistema di potere yemenita dai tempi del vecchio presidente Saleh, costretto a dimettersi nel 2011 dal montare delle proteste popolari, e che ora sogna di ristabilire la sua influenza.

Il movimento Ansarullah ha le sue radici fra le tribù sciite del Nord, per molti anni perseguitate e oggetto di feroci repressioni da parte del Governo centrale con l’aiuto dell’Arabia Saudita, che vede in loro un nemico mortale. Ispirandosi al movimento libanese di Hezbollah, ha saputo costruire una realtà radicata sul territorio, forte sia sotto l’aspetto militare che sociale, che ha superato ampiamente i confini confessionali ricevendo l’adesione di molti altri gruppi ed etnie.

Dopo essersi consolidato, ha iniziato un’espansione della sua zona d’influenza che l’ha condotto a impadronirsi dei porti principali e ad assumere il controllo di vaste parti del Paese, strappandole alle formazioni qaediste e a gruppi tribali come gli Al-Ahmar, giungendo a prendere la Capitale Sana’a.

Il Presidente Abed Hadi, che succedendo al vecchio Saleh pensava di sostituirsi al vecchio blocco di potere, vede la sua base sgretolarsi paurosamente e già buona parte dell’Esercito parteggia per l’Ansarullah. In questo quadro è evidente il tentativo di riprendere in mano la situazione prima che il suo potere residuo si dissolva del tutto, ma è un’opzione del tutto velleitaria, perché il confronto delle forze vede sia lui che i gruppi tribali e il vecchio blocco di Saleh in netto svantaggio, sia dal punto di vista militare che del consenso popolare, grazie alla qualità dell’amministrazione e dei servizi di welfare sviluppati dagli Houthi nei territori controllati.

Anche se dimenticato dai media, lo Yemen ha un ruolo strategico per tutta l’area; un cambiamento di regime con la presa definitiva del potere da parte del movimento Ansarullah, eventualità che è ormai nell’ordine del quando e non del se, è destinato a sconvolgere gli equilibri della Penisola Arabica mettendo una spina dolorosa nel fianco dell’Arabia Saudita che, conscia del pericolo, ha fatto di tutto per evitarlo, foraggiando i gruppi qaedisti e intervenendo anche direttamente, ma ottenendo solo una serie di brucianti sconfitte.

In breve, il successo della Resistenza in Yemen avrebbe enormi contraccolpi sulla politica d’aggressione condotta dal Golfo, da Israele e dai loro alleati americani in tutto il quadrante mediorientale e nord africano.

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