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Iraq. Tradimenti e inadeguatezze del governo spiegano il successo dell’offensiva jihadista

di Cristina Amoroso

Caos e panico nel tormentato Paese – costruito sulla carta dalle potenze imperialiste, Gran Bretagna in testa, trascurando divisioni settarie e tribali tra nord curdo, centro sunnita e sud sciita –  che passa con la sua storia travagliata degli ultimi anni, da una destabilizzazione ad una pseudo-stabilizzazione e ad una ri-destabilizzazione.

Baghdad è in uno stato di panico. Le strade sono vuote. Uomini armati sono a 20 km dalla capitale. Forze popolari armate dallo Stato vengono distribuite in giro per la città per proteggere i suoi cittadini dalle truppe  dello Stato Islamico d’Iraq e del Levante (Isil). Tutti gli occhi sono sul fiume Diyala, la porta sud verso i confini iraniani. Non c’è nessun esercito e nessuna forza di sicurezza. La fedeltà dell’esercito è ormai discutibile dopo la conferma che alti ufficiali si sono rivoltati contro il governo e consegnato le loro postazioni ai nuovi arrivati.

Come riferisce Al-Akhbar, il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki si è rivolto agli ufficiali dell’esercito in Tv, affermando che alla luce dei rapporti di sicurezza  gli aggressori sarebbero baathisti affiliati con Izzat Ibrahim al-Duri – che è stato vice presidente sotto Saddam – unitamente ad ufficiali del vecchio esercito iracheno e Fedayeen Saddam. Secondo i rapporti, più di 40 ufficiali che avevano servito nell’esercito di Saddam Hussein hanno cospirato con gli attaccanti. Ci sono storie di tradimenti che coinvolgono i leader militari di alto livello, tra cui il general Abboud Qanbar, il Tenente Generale Ali Ghaidan e il generale Mahdi al-Ghazzawi, tutti membri dell’ex esercito.

L’unica soluzione rimasta è quella di organizzare un “esercito popolare”, la campagna di arruolamento è già iniziata, con l’obiettivo di formare un’organizzazione paramilitare simile alle Forze di Difesa nazionale in Siria. E’ un ritorno al concetto di auto-protezione che ha prevalso dopo l’invasione degli Stati Uniti. E’ anche un riconoscimento del fatto che non c’è esercito, fatto questo che impone la domanda: che fine hanno fatto i 41 milioni di dollari, presumibilmente spesi per rafforzare i militari nel corso degli ultimi tre anni?

Sembra pura fantasia che nel giro di poche ore, 1.500 combattenti dell’Isil siano riusciti ad occupare Mosul, dove era di stanza una guarnigione militare composta da 52mila soldati, prima di invadere Salah al-Din e controllare molti quartieri a Kirkuk. Tutti sono d’accordo che anche Samarra sia caduta militarmente ma non è stata presa in consegna dai takfiri, non perché non potevano, ma perché hanno scelto di non farlo. Unità militari irachene fuggono dalle loro posizioni prima dell’arrivo dei combattenti Isil, mentre sono rilasciati ordini alle forze di sicurezza di ritirarsi dalle città vicine.

In una situazione come questa, non c’è spazio per la politica, in quanto l’azione militare ha l’ultima parola. La posizione dei curdi in questo contesto è degna di nota. Da più parti è stato chiesto alle forze di sicurezza curde Peshmerga di prendere parte a contrastare le forze d’invasione, dopo che i soldati iracheni hanno abbandonato le loro postazioni nella città di Mosul e in diverse altre città settentrionali, ma i curdi hanno rifiutato, sostenendo che difendono solo aree curde ed etnicamente miste. A questo proposito pare che gli Stati Uniti abbiano esercitato su Erbil una pressione che ha portato a un’intesa tra Maliki e Nijirfan al-Barazani, stabilendo che le forze Peshmerga prenderanno parte alla battaglia per riconquistare Mosul in cambio della garanzia delle esportazioni di petrolio dal Kurdistan.

La situazione nelle zone occupate non sembra così negativa come è ritratta in alcuni media. Tutte le forze coinvolte nel processo politico hanno abbandonato le zone controllate dalle truppe  dell’Isil, compreso il governatore di Ninive, Athil al-Nujaifi, il fratello più influente di Osama al-Nujaifi. Si e trasferito a Erbil lasciando a Mosul affari del valore di centinaia di milioni di dollari. E’ vero, naturalmente, che decine di migliaia di iracheni hanno lasciato le loro case per paura di ciò che sta accadendo e di ciò che è a venire. Nessuno, tuttavia, può negare che anni di emarginazione politica, sociale ed economica, oltre a minare leader sunniti, garantiranno all’ Isil – o a qualsiasi altra fazione che si erge contro la leadership politica a Baghdad – il sostegno popolare di individui e tribù, anche se è temporaneo.

E’ interessante il fatto che l’autorità sciita di Bashir al-Nujaifi ha accusato la “incompetenza e la negligenza del dovere verso il proprio Paese da parte di coloro che lottano”. Ha così parlato per “accelerare il processo di formazione di un governo di salvezza intriso di lealtà e amor di patria.” Questa allusione è stata la prima nel suo genere, relativa alla discordia politica in corso in Iraq, dalla caduta di Mosul e il suono delle pallottole che ha dominato la scena politica del Paese.

Nel frattempo i responsabili della situazione in Iraq, il Presidente Obama in primis e gli altri capi di Francia, Qatar, Arabia Saudita, Turchia e Regno Unito, che dovrebbero essere ritenuti responsabili della ri-destabilizzazione dell’Iraq assieme alla destabilizzazione di Libia e Siria, certo sono convinti che “l’Iraq avrà ancora bisogno del loro aiuto”. Che Dio protegga l’Iraq!

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