Iraq: l’ingerenza Usa ostacola la presa di Ramadi
Ramadi, il capoluogo del Governatorato dell’Anbar caduto nelle mani dell’Isis nel maggio scorso, è da tempo oggetto di una controffensiva per la riconquista. Ad oggi, è stata completamente circondata e 22 dei suoi 39 distretti ripresi, ma la ragione della sua mancata liberazione, che sarebbe potuta avvenire già da tempo, non è militare quanto dovuta all’ingerenza degli Usa.
È quanto emerge da una serie di dichiarazioni rilasciate da comandanti delle milizie sciite, stanchi di vedersi bloccati e tenuti lontani dai combattimenti. Secondo le loro dichiarazioni, sono state le pressioni statunitensi sul Governo iracheno che hanno impedito la riconquista di Ramadi e la liberazione dell’Anbar da parte delle forze sciite.
Già a settembre, fonti giornalistiche hanno rivelato che funzionari americani hanno indotto alcune tribù sunnite a insistere con Baghdad, perché gli sciiti non venissero impiegati per ripulire il Governatorato dai terroristi.
Il motivo di tale posizione è evidente: per Washington l’Isis va “contenuto” (leggi: fingere di fare qualcosa) non distrutto; è lo strumento ideale per mantenere l’Iraq destabilizzato e giustificare una presenza (e un’influenza) Usa che Washington vorrebbe crescente.
Le milizie sciite possono scompaginare questo gioco: è arcinoto che sono state loro ad impedire all’Iraq di crollare sotto la spallata dell’Isis, ed è altrettanto evidente che gli Usa non intendono combattere seriamente i terroristi, e meno che mai permettere che il merito della liberazione del Paese vada agli sciiti e, di riflesso, all’Iran che le ha inquadrate e sostenute.