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Un Sudafrica non ancora pacificato saluta il suo Madiba

di Mauro Indelicato

Ci ha lasciati dunque Nelson Mandela; da diverse generazioni è una di quelle figure che in tanti imparano a conoscere già dall’adolescenza, apparendo sui telegiornali, in tante interviste, ma anche in concerti rock e tanto altro ancora. Di fatto, era un’icona, un simbolo e non sarebbe strano, purtroppo, se a qualcuno nel mondo in questo momento gli stia passando l’idea di trasformarlo in un oggetto da marketing, con tanto di magliette con il suo volto pronte a diventare “cult”, un po’ come l’operazione fatta con Che Guevara per intenderci.

In ogni caso, la sua morte ha destato scalpore e non poteva essere diversamente; è stato un uomo che ha trascorso 27 anni consecutivi in carcere, una persona di umili origini che ha fatto del suo impegno politico la sua vita, mettendo in questo impegno un’enfasi ed una dedizione pressoché totale.

Eppure, c’è da rimarcare come Mandela non lascia il Sudafrica per come avrebbe voluto o quantomeno immaginato nel 1990, anno in cui è stato rilasciato; lascia un Paese diviso, per nulla riappacificato, il segno lampante di come debbano trascorrere secoli prima che due culture profondamente diverse, quella boera di origine europea e quella autoctona africana, possano convivere pacificamente.

Certo, da un punto di vista economico, il Sudafrica è uno dei paesi emergenti, una specie di Paese faro per l’intera Africa, non a caso, assieme a Russia, Cina, Brasile ed India, fa parte del BRICS. Ma al proprio interno, vive una situazione sociale difficile, spaccata: nelle città più grandi, anche le persone appartenenti al ceto medio, sono costrette ad alzare muraglioni o a pagare vigilantes per evitare furti e rapine. I vecchi quartieri ghetto delle metropoli del Paese, vivono ancora senza i principali ed ordinari servizi; se le cose in città non vanno molto bene, meglio non vanno in campagna.

Anzi, in Sudafrica sono aumentate le rapine e gli omicidi compiuti nelle fattorie possedute dai boeri e dalla popolazione di origine europea; i bianchi lamentano continue intrusioni, spesso motivate anche da motivazioni etniche più che economiche.

Anche l’Onu qualche anno fa, ha espresso preoccupazione per la situazione in Sudafrica; Mandela, dal canto suo, non ha mai dato il via a delle vendette, anzi ha sempre esortato di condannare il dominio nero allo stesso modo di come si condannava il dominio bianco. Il problema, è che la divisione etnica nel Paese è più forte che mai: il sistema politico sudafricano, è diviso tra partiti neri e partiti bianchi, con l’Anc di Mandela che con il suo 66% è ormai diventata una forza quasi invincibile.

Pochi anni fa, ha destato scalpore il video di un ragazzo bianco pestato a morte tra le vie di una città sudafricana, nell’indifferenza più totale; del resto, il Sudafrica è un Paese che da decenni vive di e nella violenza: basti pensare al necklacing, un’atroce pratica in cui, dopo processi sommari, il condannato veniva immobilizzato e gli si inseriva nel collo un pneumatico cosparso di benzina a cui poi si dava fuoco, provocando una lenta e disumana agonia al malcapitato. Una pratica, quella del necklacing, praticata da alcuni membri dell’Anc negli anni ’80, anche se non ci sono elementi certi che possano confermare come Mandela abbia mai saputo o tantomeno approvato questo tipo di esecuzioni.

Insomma, il Sudafrica di oggi non è affatto un’oasi di pace, nè di prosperità economica; molti sono i tasti ancora dolenti, lontana la pacificazione tra le varie anime del Paese e adesso verrà a mancare anche la figura cardine della politica sudafricana, che lascia certamente un vuoto difficilmente colmabile.

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