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Bolivia. Morales gioca d’anticipo

di Riccardo Pennetti

È ormai una consolidata consuetudine per il Presidente Evo Morales attendere la Festa del Lavoro per fare importanti annunci al popolo Boliviano. Così, mentre lo scorso anno si annunciava l’imponente nazionalizzazione della compagnia Transportadora de Electricidad S.A. (TDE), di proprietà di Red Electrica Internacional, filiale del gruppo spagnolo Red Electrica, quest’anno Morales ha approfittato della celebrazione tenutasi di fronte al Palazzo del Governo per comunicare l’espulsione dal Paese dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID), accusandola di cospirare contro il suo governo. Fondata nel 1961 da John F. Kennedy, l’USAID è un’agenzia statunitense che ufficialmente si occupa di implementare lo sviluppo internazionale e di fornire programmi di assistenza umanitaria a livello mondiale ma, effettivamente, persegue gli obiettivi di politica estera americana. Infatti, pur essendo un’agenzia indipendente, essa risponde esclusivamente ai programmi e alle necessità del Presidente, del Segretario di Stato e del National Security Council americano. Nel corso degli anni si è distinta – insieme ad altre agenzie come la NED –  per aver dato effettivo supporto sia alle rivoluzioni colorate che alle primavere arabe, un supporto che generalmente non si limita ad essere esclusivamente di carattere economico ma consiste in  una vera e propria formazione pratica sia di cyber attivisti che di agitatori di piazze. Ma non solo. Tali agenzie in molte occasioni hanno agito attraverso degli istituti demoscopici che, finanziati dall’esterno, hanno fornito sondaggi ed exit pools che suffragavano la tesi di brogli elettorali che, prontamente riprese dai media occidentali e ovviamente rilanciate con forza da quelle dell’opposizione, offrivano alle piazze utile spunto per lo sviluppo di una sommossa.

Morales aveva più volte annunciato l’intenzione di espellere l’USAID dalla Bolivia dal momento che, sin dal 1964, l’organizzazione si adopera nel Paese finanziando progetti che risultano essere di fuorviante impatto sociale in tutto il Paese. Tuttavia, la decisione giunta in questi giorni appare una ferma risposta alle dichiarazioni rilasciate dal Segretario di Stato americano, John Kerry, e consistite nell’affermazione – tanto consueta quanto ormai desueta – che l’America Latina è “il cortile degli Stati Uniti”. Questi ultimi, del resto, avendo per anni imposto i loro diktat all’America Latina, hanno mal digerito la nuova ondata di cambiamenti che nell’ultimo decennio ha interessato la regione che da mero “cortile di casa” quale era percepita, è andata guadagnando una maggiore autonomia e centralità nello scacchiere globale, divenendo uno dei poli vitali del pianeta. Morales, che insieme a Chávez è stato uno dei più convinti sostenitori dell’idea bolivariana nonché dell’indipendenza della regione dal giogo statunitense, ha avuto l’abilità di sfruttare correttamente le risorse del suo Paese per il perseguimento di questa visione, conferendo alla Bolivia quella sovranità di cui per anni era stata privata.

Tuttavia, l’azione di Morales, oltre ad essere una risposta alle provocazioni di John Kerry, potrebbe essere inquadrata in un’azione di carattere preventivo se si pensa che fra poco più di un anno il popolo boliviano dovrà recarsi nuovamente alle urne per rieleggere il nuovo Presidente. La ricandidatura di Evo Morales alla guida del Paese, infatti, ha già suscitato contrasti tra quanti già sostenevano la sua incostituzionalità perché la Carta non contempla un terzo mandato e coloro che, al contrario, ritenevano che il primo mandato di Morales non sia stato pienamente valido perché ridotto (2006-2009) al fine di consentire l’entrata in vigore del nuovo ordinamento. Tale nodo, pur essendo stato sciolto dal Tribunale Costituzionale a favore della possibile e legittima ricandidatura di Morales per le consultazioni presidenziali che si terranno nel dicembre 2014 (e che conferiranno il  mandato 2015-2020), potrebbe in ogni caso costituire un pretesto per eventuali contestazioni  che, sommandosi a quelle già in atto sulle questioni relative al TIPNIS e alla precaria situazione venezuelana, potrebbe offrire una ghiotta occasione per tentare di ribaltare gli equilibri geopolitici latinoamericani.

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