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Ecco come il “quarto potere” impone il matrimonio omosessuale

di Federico Cenci

Il rapporto tra media e democrazia è da anni un tema ampiamente discusso. Almeno sin da quando si è diffusa l’abitudine a definire quella attuale come la “società dell’informazione”. Ma già nel ‘700, il filosofo anglo-irlandese Edmund Burke vedeva negli organi di stampa uno strumento capace di modellare e influenzare l’opinione pubblica. Arrivò pertanto a identificarli con un termine che è poi divenuto celeberrimo, il quarto potere dello Stato.

Un recente studio del Pew Research Center (1) dimostra che oggi, a più di due secoli di distanza da Burke, le sue tesi trovano un concreto riscontro Oltreoceano, circa un argomento di strettissima attualità. Ossia, il matrimonio omosessuale. Il famoso think tank americano ha, infatti, pubblicato uno studio in cui si analizza il comportamento dei media di massa, precisamente il loro schiacciante appoggio alla causa delle nozze tra persone dello stesso sesso. Lo studio rivela la tempistica scientifica da parte dei media nell’affrontare il tema in modo viepiù insistente e fazioso. «In un periodo caratterizzato da deliberazioni della Corte suprema sull’argomento – si legge -, la copertura mediatica ha dato la forte sensazione di un “momentum” (una spinta, ndr) favorevole alla legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso».

Secondo il rapporto gli articoli o i servizi tv che contengono «più argomenti a sostegno delle nozze omosessuali superavano quelli con più argomenti contrari con un margine di circa 5 contro 1». Gli articoli esaminati dall’istituto di ricerca costituiscono un volume considerevole – circa 500 – pubblicati in un periodo molto delicato, quello tra il 18 marzo e il 12 maggio scorsi. In effetti, è l’arco di tempo che abbraccia le audizioni presso la Corte suprema degli Stati Uniti in merito alla possibilità di abolire l’articolo 3 del Defense of Marriage Act (Doma), legge federale del 1996, che definisce il matrimonio come l’unione tra un uomo e una donna.

In molti si sono interrogati intorno alla seguente questione: la “spinta” provocata dai media potrebbe influenzare i giudici della Corte suprema, fornendo loro un’immagine distorta della pubblica opinione. Negli Stati Uniti è così tornato d’attualità il tema del quarto potere, nella fattispecie la sua declinazioneprogressista. Già l’anno scorso Arthur S. Brisbane, nel suo editoriale di congedo come opinionista del New York Times (2), affermò che molti settori della stampa «condividono un certo progressismo politico e culturale».

«Il risultato è che, sul New York Times sviluppi come il movimento Occupy e il matrimonio gay sembrano quasi eruttare, sovraccarichi e ingestibili, diventando più delle cause che dei fatti da notizia», commentò Brisbane.

Un’altra voce di protesta è quella di Brian Brown, presidente dell’Organizzazione Nazionale per il Matrimonio, il quale denuncia la frequente riluttanza da parte degli autori di talk show a far partecipare gli esponenti della sua organizzazione ai dibattiti televisivi sul tema delle nozze gay. Brown non esita a parlare di «schiacciante pregiudizio mediatico». Inoltre afferma: «Spero che questo studio porti a una riflessione da parte dei media su come hanno trattato la gente che difende il matrimonio tradizionale».

Si può prendere l’Italia, a titolo d’esempio, per comprendere come sia esteso anche sull’altra sponda dell’oceano un simile approccio mediatico. Nel febbraio scorso suscitò molto scalpore che al Festival di Sanremo, trasmesso dal servizio pubblico Rai, spuntasse uno spot in favore delle nozze gay. A proposito di Rai, di recente anche i programmi “Domenica In” (3) e “I Dieci Comandamenti” (4) hanno provocato qualche perplessità per aver veicolato messaggi di sostegno al matrimonio omosessuale. Il giornalista cattolico Riccardo Cascioli ha parlato di «offensiva culturale» da parte di una tv la quale – beninteso – sopravvive grazie al contributo economico che non solo i gay-friendly, ma tutti gli italiani possessori di un televisore o di una radio versano sotto forma di canone.

Ne deriva una constatazione amara. Se negli Stati Uniti sono i grandi magnati dell’editoria a finanziare la propaganda dell’ideologia progressista, in Italia siamo noi che, coercitivamente, a suon di danari, diamo impulso a questo quarto potere versione 2.0. Il quale veicola, nell’interesse di una minoranza, il pensiero e i sentimenti della massa degli italiani.

(1) http://www.journalism.org/analysis_report/news_coverage_conveys_strong_momentum

(2)http://www.nytimes.com/2012/08/26/opinion/sunday/success-and-risk-as-the-times-transforms.html?_r=4&smid=tw-share

(3) http://lanuovabq.it/it/articoli-se-rai-uno-diventa-nemicadella-famiglia-5821.htm

(4)http://www.lanuovabq.it/it/articoli-la-famiglia-modello-per-rai-3–quella-lesbica-6612.htm

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