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Iran, finanza islamica una grande spinta al Paese

La finanza islamica, detta Shariah compliance, è ancora poco conosciuta in Occidente; essa vieta il pagamento di interessi quale corrispettivo di un prestito, in pratica rifiuta il concetto dello sfruttamento dell’attività altrui a prescindere dall’andamento dell’investimento realizzato.

iranAttraverso i sukuk, un contratto simile alle obbligazioni in uso in Occidente, il soggetto che fornisce il denaro per un progetto (immobiliare, infrastrutturale o aziendale che sia) si assicura una fetta del profitto che ne deriva. In questo modo, la finanza islamica tende a concentrarsi sull’idea imprenditoriale e sulla possibilità che possa produrre ricchezza divenendo compartecipe dell’impresa, invece che badare solo a garantirsi la remunerazione a prescindere del capitale fornito; un’ottica che ribalta la prassi in uso in Occidente, che vede il denaro, e non il lavoro e l’impresa, al centro di tutto.

Dal 1° gennaio 2017, Velliollah Seif, Governatore della Banca Centrale iraniana, assumerà la presidenza dell’Islamic Financial Services Board (Ifsb), l’organismo mondiale che coordina la finanza islamica. Per l’Iran sarà una grande opportunità per reintegrarsi nel sistema finanziario internazionale, dopo decenni di isolamento imposto dalle sanzioni volute dagli Usa.

Per oltre trent’anni il sistema iraniano ha seguito la sostanza della finanza islamica, con un patrimonio di circa 450 Mld di dollari suddiviso fra 34 banche con attività per 518 Mld; un volume che lo pone al pari della Shariah compliance saudita e dinanzi a quella malese, e che rappresenta un terzo del totale delle attività del sistema bancario islamico, al momento stimato in 1.500 Mld di dollari.

Il primo passo del neopresidente Seif, sarà quello di adeguare i sukuk in fase di sviluppo da parte dell’Iran Securities and Exchange Organization, agli standard internazionali di finanza islamica, eliminando le lievi differenze rese necessarie dalla situazione di isolamento ed emergenza in cui l’imposizione delle sanzioni hanno tenuto il Paese.

Per conseguire l’obiettivo, l’Iran, oltre che adeguarsi ai criteri della finanza islamica internazionale, dovrà implementare un miglior sistema di controlli nelle sue banche, per troppo tempo costrette ad operare isolate dal resto del mondo. Tuttavia, secondo il concorde parere degli esperti, dalla Shariah compliance, una volta debitamente disciplinata, dovrebbe venire una valanga di sukuk a sostegno delle attività produttive che aspettano investimenti per decollare.

Secondo la Banca Centrale di Teheran, il settore finanziario iraniano ha circa 260 Mld di liquidità, pari al 65% del Pil. In condizioni normali ciò non è negativo di per sé; se però quella massa di denaro viene indirizzata su attività non produttive come la finanza, essa sottrae ricchezza all’economia reale, generando stagflazione.

La finanza islamica è lo strumento ideale per convogliare le risorse finanziarie ora impegnate nel mercato speculativo, nel finanziamento alla produzione di beni e servizi, facendo da enorme volano allo sviluppo dell’economia del Paese.

A guardar bene, la Shariah compliance e i suoi principi sono il miglior antidoto alla deriva iperliberista che, puntando sulla massima redditività dei capitali a prescindere, e dunque sulla finanza, sta distruggendo le economie reali del mondo, facendo esplodere disoccupazione e diseguaglianze.

di Salvo Ardizzone

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