Biografia Imam Ruhullah al-Musavi al-Khomeini
Hamid Algar è nato in Inghilterra e ha ricevuto il dottorato in Studi Orientali a Cambridge. Dal 1965 lavora presso il Dipartimento di Studi Mediorientali dell’Università della California a Berkeley, dove insegna Persiano, Storia e Filosofia islamica. Il professor Algar ha scritto molto sull’Iran e sull’Islam, tra cui i volumi Religion and State in Iran: 1785-1906 e Mirza Malkum Khan: A Biographical Study in Iranian Modernism. Ha seguito con interesse per molti anni il movimento islamico in Iran. In un articolo pubblicato nel 1972 ha analizzato la situazione ed ha predetto la Rivoluzione “con maggiore accuratezza di tutti i funzionari politici del governo statunitense e di tutti gli analisti di questioni internazionali”, secondo le parole di Nicholas Wade pubblicate dallo Science Magazine. Algar ha tradotto molti volumi dall’arabo, dal turco e dal persiano; tra di essi Islam and Revolution: Writings and Declarations of Imam Khomeini.
Introduzione
È per molti versi strano che a dieci anni dalla sua morte e a venti dal trionfo della Rivoluzione da lui guidata non fosse ancora stata scritta una biografia seria ed esaustiva dell’Imam Ruhullah al-Musavi al-Khomeini, né in persiano né in altre lingue. Dopo tutto si tratta della figura di maggiore spicco della storia islamica recente per il suo impatto che, considerevole già nello stesso Iran, si è esteso su gran parte del mondo islamico ed ha contribuito a cambiare la visione del mondo e la consapevolezza di sé di molti musulmani.
Può esser stata proprio la rilevanza degli obiettivi raggiunti dall’Imam, unita alla complessità della sua personalità spirituale, intellettuale e politica, ad aver fino ad ora dissuaso ogni potenziale biografo. Eppure il materiale disponibile per un simile compito è abbondante e vario quanto furono differenziati gli ambiti della sua azione; il presente autore spera di poter affrontare questa sfida in un prossimo futuro (data la sua natura di saggio preliminare, questo scritto non abbonda di annotazioni a margine. Una lista completa degli scritti dell’Imam, base da cui partire per una sua biografia si trova qui insieme ad una rassegna di fonti secondarie). Quella che segue non è altro che una bozza preliminare, che intende fornire al lettore un ragguaglio generale della vita dell’Imam e dei tratti salienti della sua persona in quanto guida islamica di eccezionale grandezza.
Infanzia e primi studi
Ruhullah Musavi Khomeini nacque il 20 Jamadi al-Akhir 1320 (24 Settembre 1902), giorno dell’anniversario della nascita di Hazrat Fatima [l’amata figlia del Profeta e moglie dell’Imam Ali, n.d.t.] nel villaggio di Khomeyn, circa centosessanta chilometri a sud-ovest di Qom. La sua famiglia aveva una lunga tradizione nel campo degli studi religiosi. I suoi antenati, discendenti dell’Imam Musa al-Kazim, il settimo Imam della Ahl al-Bayt [“Gente della Casa”, la famiglia del Profeta, n.d.t.] erano emigrati alla fine del diciottesimo secolo dalla loro terra di origine, Nishapur, fino alla regione di Lucknow nell’India settentrionale.
Qui si erano stabiliti nel piccolo villaggio di Kintur ed avevano iniziato a dedicarsi all’istruzione e guida religiosa della popolazione, che nella regione era prevalentemente sciita. Il più illustre rappresentante della famiglia era Mir Hamid Husayn (morto nel 1880), autore dello Aqabat al-Anwar fi Imamat al-A’immat al-Athar, un’opera voluminosa sugli argomenti tradizionalmente oggetto di discussione tra musulmani sunniti e sciiti.
Il nonno dell’Imam Khomeini, Sayyid Ahmad, un contemporaneo di Mir Hamid Husayn, lasciò Lucknow attorno alla metà del XIX secolo per andare in pellegrinaggio alla tomba di Hazrat Ali a Najaf.
A Najaf Sayyid Ahmad conobbe un certo Yusuf Khan, uno tra i cittadini più in vista di Khomeyn. Fu su invito di costui che Sayyid Ahmad decise di stabilirsi a Khomeyn per occuparsi delle esigenze religiose degli abitanti; si sposò con una figlia di Yusuf Khan. Questa decisione gli fece tagliare i rapporti con l’India, ma Sayyid Ahmad continuò ad essere chiamato “Hindi” dai suoi contemporanei, un appellativo che venne ereditato dai suoi discendenti; anche l’Imam Khomeini usò “Hindi” come pseudonimo in alcuni dei suoi ghazal [componimenti poetici, n.d.t.].
Poco prima dello scoppio della Rivoluzione Islamica, nel Febbraio del 1978, il regime dello Scià tentò di adoperare gli elementi indiani rintracciabili nella storia familiare dell’Imam per farlo passare come elemento straniero e traditore all’interno della società iraniana, un tentativo che si ritorse contro gli stessi che lo avevano messo in atto. Al momento della sua morte, di cui non conosciamo con esattezza la data, Sayyid Ahmad era padre di due bambini: una figlia di nome Sahiba, e Sayyid Mustafa Hindi, nato nel 1885, il padre dell’Imam Khomeini.
Sayyid Mustafa iniziò la propria formazione religiosa a Esfahan, con Mir Muhammad Taqi Modarresi, prima di continuare i suoi studi a Najaf e a Samarra sotto la guida di Mirza Hassan Shirazi (morto nel 1894), a quel tempo la principale autorità nella giurisprudenza sciita. Si trattava di un percorso di apprendimento – studi preliminari in Iran seguiti da studi avanzati negli ‘atabat(le città sante in Iraq) – che a lungo è rimasto normativo: l’Imam Khomeini è stato infatti la prima prominente guida religiosa la cui formazione abbia avuto interamente luogo in Iran.
Nel Dhu ‘l-Hijja 1320 (Marzo 1903), circa cinque mesi dopo la nascita dell’Imam, Sayyid Mustafa fu aggredito ed ucciso mentre percorreva la strada tra Khomeyn e la vicina città di Arak. L’identità dell’assassino fu immediatamente nota: si trattava di Jafar-quli Khan, cugino di un certo Bahram Khan, uno dei più ricchi possidenti della zona. Il movente dell’assassinio rimase invece difficile da stabilire con certezza.
Secondo una versione, divenuta quella ufficiale dopo la vittoria della Rivoluzione Islamica, Sayyid Mustafa aveva causato l’ira dei proprietari terrieri locali per aver preso le difese dei braccianti poveri. Lo stesso Sayyid Mustafa, comunque, oltre ad assolvere le sue funzioni religiose, era anche un contadino relativamente benestante, ed è possibile che sia finito vittima di una delle dispute sui diritti di irrigazione molto frequenti all’epoca. Una terza spiegazione è che Sayyid Mustafa, in qualità di giudice shariatico di Khomeyn, avesse punito qualcuno per aver violato il digiuno di Ramadan in pubblico e la famiglia dell’imputato si sarebbe poi vendicata uccidendolo.
I tentativi di Sahiba, la sorella di Sayyid Mustafa, di ottenere la punizione dell’assassino a Khomeyn fallì, e questo spinse la vedova, Hajar, a recarsi a Teheran per presentare appello, portando – secondo quanto è stato narrato – il piccolo Ruhullah tra le sue braccia. L’accompagnarono i suoi due fratelli maggiori, Morteza e Nur al-Din, e finalmente, nel Rabi’ al-Awwal 1323 (Maggio 1905) Ja’far-quli Khan venne giustiziato in pubblico a Teheran per ordine di Ayn al-Dawla, il primo ministro dell’epoca.
Nel 1918 l’Imam perse sia sua zia Sahiba, che aveva avuto un grande ruolo nella sua educazione iniziale, che sua madre Hajar. La responsabilità della famiglia ricadde quindi su suo fratello maggiore, Sayyid Morteza (più tardi noto come Ayatullah Pasandide). La tenuta ereditata dal padre sembra abbia sollevato i fratelli dalle necessità materiali, ma le angherie e i soprusi che gli erano costati la vita continuavano. Oltre che dalle continue faide tra proprietari terrieri, il paese di Khomeyn, ogni volta che ne avevano occasione, era funestato dalle razzie degli uomini delle tribù Bakhtiyari e Lor. Una volta che un capo tribù Bakhtiyari di nome Rajab ‘Ali compì una scorreria in paese, il giovane Imam fu obbligato ad imbracciare il fucile insieme coi suoi fratelli e a difendere la casa di famiglia.
Ricordando questi eventi molti anni più tardi, l’Imam affermò “Sono stato in guerra fin dalla mia infanzia”. Tra le scene a cui assistette durante la sua giovinezza e che gli rimasero nella sua memoria, contribuendo a definire la sua attività politica successiva, possono essere forse menzionati gli atti arbitrati e oppressivi dei proprietari terrieri e dei governatori provinciali. Egli ricorderà poi di come un governatore appena arrivato avesse fatto arrestare e flagellare il capo della corporazione dei mercanti di Golpayagan con il solo obiettivo di intimidire i suoi cittadini.
L’Imam Khomeyni
L’Imam Khomeini iniziò la sua formazione memorizzando il Corano in una maktab (la scuola primaria tradizionale islamica, n.d.t.) vicino la sua casa, retta da un certo Mullah Abu ‘l-Qasim; a sette anni diventò hafiz [completò la memorizzazione dell’intero Corano, n.d.t.]. Cominciò dunque lo studio dell’Arabo con Shaykh Ja’far, uno dei cugini di sua madre, e ricevette lezioni di altre materie prima da Mirza Mahmud Iftikhar al-‘Ulama’ e poi da un suo zio materno, Hajji Mirza Muhammad Mahdi. Suo cognato, Mirza Riza Najafi, fu il suo primo insegnante di logica. In ultimo, tra i suoi insegnanti a Khomayn, va menzionato il fratello maggiore dell’Imam, Morteza, che gli insegnò al-Mutawwal di Najm al-Din Katib Qazvini su badi’ [figure retoriche, n.d.t.] e ma’ani [significato dei vocaboli, n.d.t.] ed uno dei trattati di al-Suyuti sulla grammatica e la sintassi.
Sebbene Sayyid Morteza – che prese il cognome Pasandide dopo che nel 1928 l’assunzione di un cognome divenne obbligatoria per legge – avesse studiato per un certo periodo a Esfahan, egli non completò mai i livelli più elevati richiesti per una formazione religiosa; dopo aver lavorato per qualche tempo nell’ufficio dell’anagrafe di Khomeyn, si trasferì a Qom e vi rimase per il resto della sua vita.
Nel 1339/1920-21, Sayyid Morteza mandò l’Imam nella città di Arak (o Sultanabad, come era nota all’epoca) perché potesse giovare delle migliori possibilità formative ivi offerte. Arak era diventato un importante centro di insegnamento religioso grazie alla presenza dell’Ayatullah ‘Abd al-Karim Ha’iri (morto nel 1936), uno dei principali sapienti dell’epoca. Egli era giunto ad Arak nel 1332/1914, su invito della cittadinanza, e circa trecento studenti -un numero relativamente ampio- seguivano le sue lezioni nella madrasa Mirza Yusuf Khan.
E’ probabile che la formazione dell’Imam Khomeini non fosse ancora tale da permettergli di studiare direttamente sotto Ha’iri; egli si perfezionò quindi in logica con Shaykh Muhammad Golpayagani, lesse Sharh al-Lum’a di Shaykh Zayn al-Din al-‘Amili (morto nel 996/1558), uno dei principali testi di giurisprudenza Ja’farita, con Aqa-ye ‘Abbas Araki, e continuò i suoi studi su al-Mutawwal con Shaykh Muhammad ‘Ali Burujerdi. Un anno dopo l’arrivo dell’Imam ad Arak, Ha’iri accettò l’invito degli ulama di Qom di unirsi a loro e presiedere le loro attività.
Una delle prime roccaforti della Shi’a in Iran, Qom è stata tradizionalmente uno dei principali centri di istruzione religiosa nonché meta di pellegrinaggio al mausoleo di Hazrat-l Ma’suma, una figlia dell’Imam Musa al-Kazim, ma la sua fama era stata però oscurata per molti decenni dalle città sante dell’Iraq, con le loro superiori risorse di conoscenza. L’arrivo di Ha’iri a Qom non solo fece rivivere le madrasa ma dette il via al processo che ha portato la città a diventare la capitale spirituale dell’Iran, processo completato dalla lotta politica da lì lanciata dall’Imam Khomeini quarant’anni dopo.
L’Imam seguì Ha’iri a Qom dopo circa quattro mesi. Questo trasferimento fu il primo importante punto di svolta della sua vita. Fu infatti a Qom che egli ricevette l’intera sua alta formazione intellettuale e spirituale, e per tutto il resto della vita conservò un forte senso di identificazione con la città. E’ perciò possibile, sebbene non in senso riduttivo, definire l’Imam Khomeini come un prodotto di Qom. Nel 1980, rivolgendosi ad un gruppo di visitatori proveniente da Qom, disse: “In qualunque luogo mi possa capitare di trovarmi, io resto un cittadino di Qom, e ne sono orgoglioso. Il mio cuore è sempre con Qom e con la sua gente”.
Qom: gli anni della formazione intellettuale e spirituale (1923-1962)
Dopo il suo arrivo a Qom nel 1922 o nel 1923, l’Imam si dedicò in primo luogo a completare il livello formativo della madrasanoto come sutuh; lo fece studiando con insegnanti come Shaykh Muhammad Reza Najafi Masjed-e Shahi, Mirza Muhammad Taqi Khwansari e Sayyid ‘Ali Yasribi Kashani. Fin dai primi tempi della sua permanenza a Qom, comunque, l’Imam dette da pensare che sarebbe divenuto ben più che un’importante autorità nel campo della giurisprudenza Ja’farita.
Egli mostrò un eccezionale interesse in materie che non soltanto erano solitamente assenti dal curriculum della madrasa, ma che erano spesso oggetto di ostilità e sospetto: filosofia, nelle sue diverse scuole tradizionali, e la gnosi (‘irfan). Iniziò a coltivare questo interesse studiando il Tafsir-e Safi, un commento al Corano di Molla Mohsen Feyz-e Kashani (morto nel 1091/1680), autore di orientamento sufi, insieme all’Ayatullah Ali Araki (morto nel 1994), all’epoca un giovane studente come lui. La sua formazione formale nella gnosi e nelle connesse discipline dell’etica, iniziò con i corsi tenuti da Hajji Mirza Javad Maliki-Tabrizi, ma questo sapiente morì nel 1304/1925.
Anche per quanto riguarda la filosofia, l’Imam fu presto privato del suo primo insegnante, Mirza ‘Ali Akbar Hakim Yazdi, che era stato allievo del grande maestro Molla Hadi Sabzavari (morto nel 1295/1878), che morì nel 1305/1926. Un altro dei primi insegnanti di filosofia che l’Imam ebbe fu Sayyid Abu ‘l-Hasan Qazvini (morto nel 1355/1976), un sapiente che insegnava filosofia peripatetica ed illuminazionista; l’Imam fece parte della sua cerchia fino al 1310/1931, anno in cui Qazvini lasciò Qom.
Il maestro che ebbe la maggiore influenza nello sviluppo spirituale dell’Imam Khomeini fu, comunque, Mirza Muhammad ‘Ali Shahabadi (morto nel 1328/1950); a lui l’Imam Khomeini si riferì in molte delle sue opere come “shaykhuna” [mio maestro, N.d.t.] e “arif-l kamil” [gnostico completo, N.d.t.] e con lui ebbe una relazione paragonabile a quella che lega un murid[discepolo, iniziato, n.d.t.] al suo murshid [maestro spirituale, N.d.t.]. La prima volta che Shahabadi giunse a Qom, nel 1307/1928, il giovane Imam gli rivolse una domanda sulla natura della Rivelazione, e rimase affascinato dalla risposta che ne ricevette.
Su sua insistente richiesta, Shahabadi acconsentì ad insegnare a lui e ad un ristretto gruppo di studenti scelti il Fusus al-Hikam(“Il Libro dei Castoni delle Saggezze”) di Ibn Arabi. Anche se l’insegnamento verteva essenzialmente sul commento di Da’ud Qaysari al Fusus, l’Imam riferì che Shahabadi presentò anche sue intuizioni originali sull’opera. Tra le altre opere che l’Imam Khomeini studiò con Shahabadi vi erano il Manazil al-Sa’irin del sufi hanbalita Khwaja Abdullah Ansari (morto nel 482-1089) ed ilMisbah al-Uns di Muhammad bin Hamza Fanari (m. 834/1431), un commento al Mafatih al-Ghayb (“Chiavi dell’invisibile”) di Sadr al Din Qunavi (m. 673/1274).
E’ plausibile che l’Imam trasse da Shahabadi, almeno in parte, consapevolmente o meno, la fusione degli aspetti gnostici e politici che giunsero a caratterizzare la sua vita. Il maestro spirituale dell’Imam fu infatti uno dei relativamente pochi ulama dell’epoca di Reza Shah a prendere pubblicamente posizione contro le malefatte del regime, e nel suo Shadharat al-Ma’arif, un’opera di carattere essenzialmente gnostico, descrisse l’Islam come “una religione indubbiamente politica”.
Gnosi ed etica furono anche le materie trattate nei primi corsi tenuti dall’Imam; Shahabadi aveva ripreso i corsi di etica tenuti da Hajji Javad Aqa Maliki-Tabrizi a tre anni dalla morte di quest’ultimo, e quando Shahabadi partì per Teheran nel 1936 lasciò la ‘cattedra’ all’Imam Khomeini. Il corso consisteva innanzitutto in un’attenta lettura del Manazil al-Sa’irin di Ansari, ma spaziava poi oltre il testo, affrontando un’ampia varietà di questioni contemporanee. La popolarità del corso divenne tale che semplicemente per ascoltare le lezioni dell’Imam, insieme agli studenti di discipline religiose e comuni cittadini di Qom, giungevano persone fin da Teheran e da Esfahan.
Simile popolarità delle lezioni dell’Imam mal si accordava con le politiche ufficiali del regime Pahlavi, che voleva limitare l’influenza degli ulama al di fuori dei seminari di istruzione religiosa. Il governo impose per questo che le lezioni non si tenessero più nella prestigiosa madrasa Feyziye, ma nella madrasa Molla Sadiq, in cui non era possibile la partecipazione di un ampio uditorio. Comunque, dopo la deposizione di Reza Shah, nel 1941, le lezioni tornarono a svolgersi nella madrasa Feyziye e riguadagnarono all’istante la precedente popolarità. La capacità di rivolgersi a platee ampie, e non soltanto ai suoi colleghi all’interno del seminario religioso, che l’Imam Khomeini dimostrò per la prima volta in queste lezioni di etica, avrebbe avuto un importante ruolo nella lotta politica che egli guidò negli anni successivi.
Mentre impartiva lezioni di etica ad un uditorio numeroso e differenziato, l’Imam Khomeini iniziò ad insegnare importanti testi di gnosi, come il capitolo sull’anima dell’al-Asfar al-Arba’a (“I quattro viaggi”) di Mulla Sadra (m. 1050/1640) e lo Sharh al-Manzuma di Sabzavari, ad un piccolo gruppo di giovani sapienti, tra i quali vi era Morteza Mutahhari e Husayn ‘Ali Montazeri, che sarebbero divenuti due dei suoi principali collaboratori nel movimento rivoluzionario che l’Imam avrebbe lanciato trent’anni dopo.
Per quanto attiene i primi scritti dell’Imam, mostrano anch’essi come il suo principale interesse nei primi anni trascorsi a Qom fosse la gnosi. Nel 1928, per esempio, egli completò Sharh Du’a’ al-Sahar, un dettagliato commento alle invocazioni recitate durante il Ramadan dall’Imam Muhammad al-Baqir; al pari di tutte le opere dell’Imam Khomeini sulla gnosi, anche in questo testo il ricorso alla terminologia di Ibn ‘Arabi è frequente. Due anni dopo portò a compimento Misbah al-Hidaya ila ‘l-Khilafa wa ‘l-Wilaya (di prossima pubblicazione in lingua italiana, a Iddio piacendo, N.d.t.), un sistematico e denso trattato sui principali temi della gnosi. Un altro prodotto di quegli anni di concentrazione sulla gnosi furono una serie di glosse al commento di Qaysari alFusus.
In una breve autobiografia scritta per un volume pubblicato nel 1934, l’Imam affermava che aveva trascorso la maggior parte della sua vita studiando ed insegnando le opere di Mulla Sadra, che aveva studiato per molti anni la gnosi con Shahabadi, e che stava a quel tempo seguendo i corsi di fiqh (giurisprudenza islamica) tenuti dall’Ayatullah Ha’iri.
La sequenza di questi enunciati suggerisce che all’epoca lo studio del fiqh fosse ancora tra i suoi interessi secondari. La situazione sarebbe presto cambiata, ma la gnosi non fu mai per l’Imam un semplice argomento di studio, insegnamento e produzione letteraria. Essa rimase sempre parte integrante della sua personalità intellettuale e spirituale, e come tale infuse molte delle sue attività specificamente politiche degli anni successivi con un’inconfondibile impronta gnostica.
Durante gli anni Trenta l’Imam non partecipò ad alcuna aperta attività politica. Egli ritenne sempre che la guida delle attività politiche dovesse essere nelle mani dei sapienti religiosi eminenti, ma si trovò comunque obbligato ad accettare la decisione di Ha’iri di tenere un atteggiamento di relativa passività nei confronti dei provvedimenti presi da Reza Shah contro le tradizioni e la cultura islamica in Iran.
Ad ogni modo, essendo ancora una figura minore all’interno del seminario religioso di Qom, non si sarebbe trovato certamente in condizione di mobilitare la pubblica opinione su scala nazionale. Mantenne comunque i contatti con quei pochi ulama che osarono sfidare apertamente lo Shah: non solo Shahabadi, ma anche uomini come Hajji Nurullah Isfahani, Mirza Sadiq Aqa Tabrizi, Aqazada Kifai e Sayyd Hasan Modarres. Anche se soltanto in forma allusiva, l’Imam Khomeini espresse la propria posizione sul regime Pahlavi, le cui caratteristiche essenziali erano secondo lui l’oppressione e l’ostilità nei confronti della religione, in poemetti che faceva circolare privatamente.
L’Imam assunse una posizione politica pubblica per la prima volta in un proclama datato 15 Ordibehesht 1323 (4 Maggio 1944), nel quale esortava ad agire per liberare i musulmani dell’Iran e di tutto il mondo islamico dalla tirannia delle potenze straniere e dei loro complici interni. L’Imam iniziava citando il Corano, 34:46:
“Di’: ‘Ad una sola cosa vi esorto: sollevatevi per Allah, a coppie e da soli, e poi riflettete’”.
Lo stesso versetto apre il capitolo sul risveglio (bab al-yaqza) all’inizio stesso del Manazil al-Sa’irin di Ansari, il manuale per il percorso spirituale, insegnato dapprima all’Imam da Shahabadi. L’interpretazione di “sollevarsi” fornita dall’Imam ha, comunque, connotazioni sia spirituali che politiche, sia personali che collettive, una rivolta contro il lassismo che alberga al proprio interno e la corruzione nella società.
Lo stesso spirito di rivolta integrale permea la prima opera dell’Imam destinata alla pubblicazione, il Kashf al-Asrar (“I segreti rivelati”, Teheran, 1324/1945). Egli afferma di aver completato il libro in quarantotto giorni, guidato da una sorta di urgenza, e il fatto che il volume soddisfacesse una determinata esigenza è testimoniato dal fatto che nel primo anno venne stampato due volte. Il principale obiettivo del libro, desumibile anche dal titolo, era quello di confutare quanto ‘Ali Akbar Hakamizadeh affermava nel suo Asrar-e Hezarsaleh (“I segreti millenari”), un libro in cui si invocava una “riforma” dell’Islam sciita. Attacchi simili alla tradizione sciita venivano condotti, nello stesso periodo, da Shari’at Sanglaji (morto nel 1944), un ammiratore del wahabismo nonostante l’aperta ostilità verso l’Islam Sciita che connota quella setta, e da Ahmad Kasravi (morto nel 1946), tanto competente come storico quanto mediocre come pensatore.
La rivendicazione dell’Imam di aspetti della pratica sciita quali le cerimonie di lutto del mese di Muharram, il pellegrinaggio (ziyara) alle tombe degli Imam e la recitazione delle invocazioni composte dagli Imam, era quindi una risposta alle critiche mosse dai tre personaggi suddetti. L’Imam Khomeini collegò questi attacchi contro la tradizione alle politiche anti-religiose promosse da Reza Shah, e criticò duramente il regime Pahlevi per la distruzione della morale pubblica.
Si fermò però dall’invocare l’abolizione della monarchia, proponendo piuttosto che un’assemblea di mujtahid (esperti di diritto sciita autorizzati ad emettere responsi giuridici, n.d.t.) qualificati potesse designare “un giusto monarca che non violi le leggi di Dio, che combatta malefatte e l’oppressione, e che non agisca contro la proprietà, la vita e l’onore delle persone”.
Anche questa legittimazione condizionale della monarchia sarebbe durata “fintanto che non si sarà potuto stabilire un sistema di governo migliore”. Non vi può esser dubbio che il “sistema migliore” già prospettato dall’Imam Khomeini fin dal 1944 fosse quello della wilayat al-faqih, che divenne la pietra angolare costituzionale della Repubblica Islamica dell’Iran stabilita nel 1979.
Quando Shaykh ‘Abd al-Karim Ha’iri morì nel 1936, la supervisione sulle istituzioni religiose di Qom fu assunta congiuntamente dagli Ayatullah Khwansari, Sadr e Hujjat. Un senso di carenza venne comunque percepito. Quando l’Ayatullah Abu ‘l-Hasan Isfahani, il principale marja-i taqlid (“fonte di imitazione”, massima autorità nella giurisprudenza sciita, n.d.t.) del suo tempo, che risiedeva a Najaf, venne a mancare nel 1946, la necessità di una guida unica per tutti i musulmani sciiti cominciò a farsi sentire sempre di più, e iniziò la ricerca di una singola persona che fosse capace di assolvere ai compiti e alle funzioni che erano state di Ha’iri e di Isfahani.
L’Ayatullah Burujerdi, allora residente a Hamadan, venne considerato il più adatto al ruolo; sembra che l’Imam Khomeini abbia avuto un ruolo importante nel convincerlo a recarsi a Qom. L’Imam era in parte indubbiamente mosso dalla speranza che Burujerdi avrebbe adottato una ferma posizione di fronte allo Shah Mohammed Reza, il secondo regnante della dinastia Pahlavi. Questa speranza dovette rimanere in gran misura insoddisfatta. Nell’Aprile del 1949 l’Imam Khomeini venne a sapere che Burujerdi era coinvolto in una trattativa col governo riguardo a possibili emendamenti costituzionali a quel tempo in agenda, e gli scrisse una lettera in cui esprimeva la sua preoccupazione in merito alle possibili conseguenze.
Nel 1955 fu lanciata una campagna nazionale contro la setta dei Baha’i, per la quale l’Imam cercò di ottenere il supporto di Burujerdi, ma con scarso successo. Per quanto riguarda le personalità religiose all’epoca militanti sulla scena politica, specialmente l’Ayatullah Abu ‘l-Qasim Kashani e Navvab Safavi, il leader dei Feda’iyan-e Islam, con loro l’Imam non ebbe che rapporti sporadici e inconcludenti.
La riluttanza che in questo periodo l’Imam Khomeini mostrò verso un coinvolgimento politico diretto fu probabilmente dovuta dalla convinzione che qualunque movimento che si battesse per un cambiamento radicale dovesse essere guidato dalle gerarchie più alte dell’istituzione religiosa. Per giunta, il personaggio più influente dell’affollatissima e confusa scena politica dell’epoca era un nazionalista secolare, il dottor Muhammad Mosadeq.
L’Imam Khomeini si concentrò quindi, durante gli anni in cui Qom era sotto la guida di Burujerdi, sull’insegnamento del fiqh e raccogliendo attorno a sé alcuni studenti che poi sarebbero stati suoi compagni nel movimento che avrebbe portato alla fine del regime dei Pahlavi: non soltanto Mutahhari e Montazeri, ma anche uomini più giovani come Muhammad Javad Bahonar e ‘Ali Akbar Hashemi Rafsanjani. Nel 1946 iniziò ad insegnare usul al-fiqh (principi della giurisprudenza) al livello di kharij (il più alto livello di studio nei seminari sciiti, n.d.t.), usando come testo base il capitolo sulle prove razionali nel secondo volume del Kifayat al-Usul di Akhund Muhammad Kazim Khurasani (morto nel 1329/1911).
Seguito inizialmente da non più di una trentina di studenti, il suo corso divenne tanto popolare a Qom che quando fu tenuto per la terza volta i presenti erano cinquecento. Stando alla testimonianza di quanti lo frequentarono, esso si differenziava dagli altri analoghi corsi tenuti a Qom sulla stessa materia per lo spirito critico che l’Imam era capace di infondere nei suoi studenti, e per la competenza con cui l’Imam Khomeini sapeva collegare il fiqh a tutte le altre dimensioni dell’Islam – etica, gnostica, filosofica, politica e sociale.
Gli anni della lotta politica e dell’esilio (1962-1978)
L’accentuarsi dell’attività dell’Imam iniziò a cambiare con la morte di Burujerdi, il 31 Marzo 1961, perché l’Imam emerse come uno dei successori alla posizione di guida ricoperta del defunto. Questo suo affermarsi è testimoniato dalla pubblicazione di alcuni suoi scritti sul fiqh, e in particolare dal manuale basilare di pratica religiosa intitolato, come altre opere dello stesso filone,Tauzih al-Masa’il. Egli venne presto accettato come marja’-i taqlid da un alto numero di sciiti iraniani. Il suo ruolo di guida, comunque, era destinato ad andare ben oltre quello tradizionale di marja’-i taqlid e ad ottenere una onnicompensività unica nella storia degli ulama sciiti.
La cosa divenne evidente subito dopo la morte di Burujerdi, quando lo Shah Muhammad Reza, sicuro del suo potere dopo il colpo di stato organizzato dalla CIA nell’agosto del 1953, mise in cantiere una vasta gamma di misure destinate a stroncare qualunque fonte di opposizione, effettiva o potenziale, e ad inserire l’Iran in pianta stabile all’interno dei piani di dominio strategico ed economico statunitense. Nell’autunno del 1962 il governo promulgò una nuova legge elettorale per i consigli locali e provinciali, che cancellava per i neoeletti l’obbligo di giuramento sul Corano.
Ravvisando in questo un piano per permettere ai Baha’i di infiltrarsi nella vita pubblica, l’Imam Khomeini inviò un telegramma allo Shah e al primo ministro in carica, ammonendoli perché cessassero di violare sia la legge dell’Islam che la Costituzione iraniana del 1907, ed avvertendoli che in caso contrario gli ulama avrebbero condotto una dura campagna di protesta. Rifiutandosi di scendere a compromessi, l’Imam riuscì ad imporre il ritiro della legge elettorale sette settimane dopo che era stata promulgata. Questo risultato lo fece emergere sulla scena politica come la principale voce di opposizione allo Shah.
L’occasione per un confronto più serio non si fece attendere. Nel Gennaio 1963 lo Shah annunciò un programma di riforme in sei punti da lui denominato “Rivoluzione Bianca”, un pacchetto di misure ispirato dagli Stati Uniti e destinato a dare al regime una facciata progressista e liberale. L’Imam Khomeini convocò a Qom un’assemblea con i suoi colleghi per evidenziare loro quanto fosse pressante la necessità di opporsi ai piani dello Shah, ma essi furono inizialmente esitanti. Inviarono dallo Shah come loro rappresentante, per capire le sue intenzioni, l’Ayatullah Kamalvand.
Sebbene lo Shah non mostrò alcuna intenzione di abbandonare il disegno di legge o di giungere a compromessi, ciò portò l’Imam Khomeini ad esercitare ulteriori pressioni sugli altri anziani ulama di Qom per persuaderli a decretare un boicottaggio del referendum che lo Shah aveva indetto nell’intento di ottenere una parvenza di approvazione popolare per la sua Rivoluzione Bianca. Da parte sua, il 22 Gennaio 1963 l’Imam Khomeini redasse una dichiarazione dai forti toni nella quale denunciava lo Shah ed i suoi piani. Pensando forse di imitare il padre, che nel 1928 aveva marciato su Qom alla testa di una colonna armata per intimidire certi ulama senza peli sulla lingua, lo Shah giunse a Qom due giorni dopo. Fu boicottato da tutti i maggiorenti della città, e tenne un discorso in cui attaccava aspramente l’intera classe degli ulama.
Il 26 Gennaio si tenne il referendum e la bassa affluenza fu una prova della fiducia crescente che il popolo iraniano riponeva nelle direttive dell’Imam Khomeini. L’Imam andò avanti con la sua opera di denuncia dei programmi dello Shah redigendo un manifesto, che venne firmato anche da altri otto anziani sapienti.
In esso si enumeravano i vari casi in cui lo Shah aveva violato la Costituzione, si condannava la corruzione morale del paese e si accusava lo Shah di totale sottomissione all’America ed Israele. “Vedo la soluzione nella rimozione di questo governo tirannico che ha violato i dettami dell’Islam e calpestato la costituzione. Deve essere sostituito da un governo che sia fedele all’Islam e si preoccupi della nazione iraniana”. Decretò inoltre la cancellazione delle celebrazioni per il Nowruz (il capodanno persiano) dell’anno iraniano 1342, corrispondente al 21 Marzo 1963, in segno di protesta contro la politica del governo.
Il giorno successivo alla madrasa Feyziye di Qom, il luogo in cui l’Imam teneva i suoi discorsi pubblici, arrivarono i paracadutisti. Uccisero diversi studenti, ne picchiarono ed arrestarono molti altri, e perquisirono l’edificio. Indomito, l’Imam continuò con i suoi attacchi al regime.
Il primo Aprile denunciò il persistente silenzio di certi ulama apolitici come “equivalente alla collaborazione con il regime tirannico”, ed il giorno successivo proclamò la neutralità politica sotto la maschera della taqiya come haram (proibita). Quando lo Shah inviò suoi emissari a casa degli ulama di Qom perché li minacciassero di distruggere le loro abitazioni, l’Imam reagì con veemenza riferendosi allo Shah come “quell’omuncolo (mardak)”.
Il 3 Aprile 1963, quattro giorni dopo l’attacco alla madrasa Feyziye, egli descrisse il governo iraniano come determinato a sradicare l’Islam per conto degli Stati Uniti e Israele, e sé stesso come risoluto a combatterlo.
Circa due mesi dopo, il confronto portò ad una insurrezione. L’inizio del mese di Muharram, da sempre un periodo di accentuata consapevolezza e sensibilità religiosa, fu aperto a Teheran da un corteo che portava ritratti dell’Imam e denunciava lo Shah davanti al suo stesso palazzo. Nel pomeriggio del giorno di Ashura (3 Giugno 1963), nella madrasa Feyziye l’Imam Khomeini tenne un discorso in cui tracciava un parallelo tra il califfo omayyade Yazid e lo Shah, ed avvertiva lo Shah che, se non avesse cambiato linea politica, sarebbe arrivato il giorno in cui il popolo avrebbe ringraziato per la sua partenza dal paese.
Questo monito fu straordinariamente preveggente, perché il 16 Gennaio 1979 lo Shah fu davvero costretto ad abbandonare l’Iran in mezzo a scene di gioia popolare. L’effetto immediato del discorso dell’Imam fu, comunque, il suo arresto, due giorni dopo, alle tre del mattino, da parte di un gruppo di commando che velocemente lo trasferirono nel carcere di Qasr a Teheran.
All’alba del 5 Giugno la notizia del suo arresto si diffuse prima a Qom e poi nelle altre città. A Qom, Teheran, Shiraz, Mashhad e Varamin masse di dimostranti inferociti furono affrontate coi carri armati e massacrate senza pietà. Il completo ripristino dell’ordine pubblico richiese non meno di sei giorni. La rivolta del 15 Khordad 1342 (il giorno del suo inizio nel calendario iraniano) rappresenta un punto di svolta per la storia iraniana. Da quel momento in poi la natura repressiva e dittatoriale del regime dello Shah, rafforzata dal risoluto appoggio degli Stati Uniti, si intensificò con continuità, e di pari passo crebbe il prestigio dell’Imam Khomeini, considerato l’unica personalità di rilievo –sia sul piano secolare che su quello religioso- in grado di sfidarlo.
L’arroganza incarnata della politica dello Shah portò molti ulama ad abbandonare il loro quietismo e ad allinearsi agli obiettivi radicali prospettati dall’Imam. Il movimento del 15 Khordad può quindi essere considerato come il preludio della Rivoluzione Islamica del 1978-79; gli obiettivi di questa rivoluzione e la sua guida erano già stati definiti.
Dopo diciannove giorni nel carcere di Qasr, l’Imam Khomeini fu prima trasferito nella base militare di Ishratabad e poi in una casa nel quartiere di Davudiya a Teheran, dove venne tenuto sotto stretta sorveglianza. Nonostante i massacri verificatisi durante l’insurrezione, a Teheran ed in altre città si svolsero manifestazioni di massa che richiedevano la sua liberazione, ed alcuni dei suoi colleghi giunsero da Qom nella capitale per sostenere la richiesta. Egli non venne comunque rilasciato fino al 7 Aprile 1964, ritenendo che la prigionia avesse smorzato le sue idee e che il movimento da lui guidato si sarebbe tranquillamente placato.
Tre giorni dopo la sua liberazione e ritornato a Qom, l’Imam Khomeini fece piazza pulita di qualunque illusione al riguardo smentendo le dicerie, diffuse dalle autorità, secondo cui aveva raggiunto un accordo con il regime dello Shah; al contrario dichiarò che il movimento iniziato il 15 Khordad sarebbe continuato. Consapevole del persistere di differenze di approccio tra l’Imam ed alcuni degli anziani sapienti religiosi, il regime aveva cercato di screditarlo ulteriormente fomentando il dissenso a Qom. Anche tali tentativi non furono coronati da successo, poiché all’inizio del Giugno del 1964 tutti gli ulama più importanti firmarono le dichiarazioni che commemoravano il primo anniversario dell’insurrezione del 15 Khordad.
Nonostante il proprio fallimento nel marginalizzare o a ridurre al silenzio l’Imam Khomeini, il regime dello Shah proseguì inflessibile nella propria politica filoamericana. Nell’autunno del 1964 esso strinse un accordo con gli Stati Uniti in base al quale veniva assicurata l’immunità giuridica a tutto il personale americano in Iran e ai loro dipendenti.
In questa occasione l’Imam pronunciò quello che probabilmente fu il suo più veemente discorso nell’intera lotta contro lo Shah; uno dei suoi compagni più stretti, l’Ayatullah Muhammed Mofatteh, riferì di non averlo mai visto tanto agitato. L’Imam denunciò l’accordo come un cedimento della sovranità e dell’indipendenza dell’Iran, compiuto in cambio di un prestito di duecento milioni di dollari di cui avrebbero beneficiato solo lo Shah ed i suoi associati, e dipinse come traditori tutti coloro che, nel Majlis (assemblea parlamentare iraniana), vi avevano votato a favore. Concluse affermando che il governo aveva perduto ogni legittimità.
Poco prima dell’alba del 4 Novembre 1964, un reparto di commando circondò nuovamente la casa dell’Imam a Qom, lo arrestò, e questa volta lo portò direttamente all’aeroporto Mehrabad di Teheran per esiliarlo immediatamente in Turchia. La decisione di espellerlo piuttosto che arrestarlo e incarcerarlo venne presa senza dubbio nella speranza che, una volta esiliato, l’Imam sarebbe svanito dalla memoria popolare. Eliminarlo fisicamente avrebbe comportato il rischio di una insurrezione incontrollabile. La scelta della Turchia indicava la cooperazione tra questo paese e il regime dello Shah nel campo della sicurezza.
L’Imam ebbe come prima sistemazione la stanza 514 del Bulvar Palas Oteli ad Ankara, un albergo di medio livello nella capitale turca, sotto la sorveglianza congiunta di agenti di sicurezza iraniani e turchi. Il 12 Novembre venne trasferito da Ankara a Bursa, dove rimase altri undici mesi.
La permanenza in Turchia non fu congeniale; la legge locale impediva all’Imam Khomeini di indossare il turbante e la tunica di sapiente islamico, un’identità che era integrale al suo essere; le poche fotografie esistenti che lo mostrano a capo scoperto risalgono tutte al periodo dell’esilio turco.
Il 3 Dicembre 1964 venne comunque raggiunto a Bursa dal figlio maggiore, Hajj Mustafa Khomeini; ebbe anche il permesso di ricevere visitatori occasionali provenienti dall’Iran, e gli furono inoltre forniti vari libri sul fiqh. Utilizzò il soggiorno forzato a Bursa per scrivere il Tahrir al-wasila, un compendio in due volumi su questioni di giurisprudenza. Importanti e distintive sono lefatwa (responsi giuridici) contenute in questi volumi, raccolte sotto il titolo al-amr bi ‘l-ma’ruf wa ‘l-nahy ‘an al-munkar (ordinare il bene e vietare il male) e difa’ (difesa militare, n.d.t.).
L’Imam decreta, ad esempio, che “se si teme che il dominio politico ed economico (da parte di stranieri) su una terra islamica possa condurre alla riduzione in schiavitù ed all’indebolimento dei musulmani, bisogna respingere simile dominio con i mezzi appropriati, come la resistenza passiva, il boicottaggio delle merci straniere, l’abbandono di ogni accordo e di ogni legame con gli stranieri in questione”. Similmente, “se giunge notizia di un imminente attacco straniero contro uno dei paesi islamici, è responsabilità di ogni paese islamico respingerlo con ogni mezzo possibile; un simile dovere, infatti, incombe su tutti i musulmani nella loro totalità”.
Il 5 Settembre 1965 l’Imam Khomeini lasciò la Turchia per recarsi a Najaf, in Iraq, dove avrebbe trascorso tredici anni. In quanto centro tradizionale di studio e di pellegrinaggio per gli sciiti, Najaf rappresentava sicuramente un luogo di esilio preferibile e più congeniale. Inoltre era già stata bastione dell’opposizione degli ulama alla monarchia iraniana durante la Rivoluzione Costituzionale del 1906-1909. Ma non fu per facilitare l’Imam che lo Shah organizzò il suo trasferimento a Najaf.
In primis, c’era una continua inquietudine tra i seguaci dell’Imam per la sua permanenza forzata a Bursa, lontano dall’ambiente tradizionale della madrasa sciita; simili obiezioni sarebbero state soddisfatte trasferendolo a Najaf. Si sperava inoltre che, una volta a Najaf, la figura dell’Imam sarebbe stata offuscata dai prestigiosi ulama che vi risiedevano, come l’Ayatullah Abu ‘l-Qasim Khu’i (morto nel 1995), o che l’Imam avrebbe tentato di sfidare la loro avversione per l’attività politica e confrontandoli avrebbe finito per esaurire le proprie energie.
L’Imam Khomeini evitò questo doppio rischio mostrando il proprio rispetto nei loro riguardi, continuando comunque a perseguire i traguardi che si era posto prima di lasciare l’Iran. Un’altra trappola che evitò fu quella di associarsi con il governo iracheno, che periodicamente aveva qualche attrito col regime dello Shah e avrebbe voluto utilizzare la presenza dell’Imam a Najaf per i propri scopi. L’Imam rifiutò l’opportunità di farsi intervistare dalla televisione irachena subito dopo il suo arrivo, e mantenne risolutamente la sua distanza dalle amministrazioni irachene che si succedevano.
Stabilitosi a Najaf, l’Imam Khomeini cominciò ad insegnare il fiqh alla madrasa Shaykh Murtaza Ansari. Le sue lezioni erano seguite con attenzione da studenti che provenivano non solo dall’Iran, ma anche da Iraq, India, Pakistan, Afghanistan e Stati del Golfo Persico. In realtà una migrazione di massa da Qom e dagli altri centri di insegnamento religioso dell’Iran a Najaf venne proposta all’Imam, ma egli criticò questa misura che avrebbe spopolato Qom e indebolito il suo centro di guida religiosa.
Fu sempre nella madrasa Shaykh Murtaza Ansari che tra il 21 Gennaio e l’8 Febbraio del 1970 egli tenne le celebri lezioni sullawilayat al-faqih, la dottrina di governo che sarebbe stata tradotta in pratica dopo il trionfo della Rivoluzione Islamica (il testo di queste lezioni fu pubblicato a Najaf, non molto tempo dopo che si erano tenute, sotto il titolo di Wilayat al-Faqih ya Hukumat-i Islami; fu seguito poco dopo da una traduzione in arabo leggermente abbreviata).
Questa teoria, che può essere sintetizzata come l’assunzione, da parte di ulama opportunamente qualificati, delle funzioni politiche e giudiziarie del Dodicesimo Imam durante il tempo della sua occultazione, era già presente in nuce nella sua prima opera, il Kashf al-Asrar. Adesso l’Imam la presenta come la conseguenza postulata ed incontestabile della dottrina sciita dell’Imamato, citando e analizzando a sostegno di ciò tutti i testi rilevanti tratti dal Corano e dalle Tradizioni del Profeta e dei Dodici Imam.
Egli evidenzia con molta enfasi anche il male che aveva colpito l’Iran (così come gli altri paesi musulmani), nell’abbandonare la legge ed il governo islamico e nel lasciare l’ambito politico ai nemici dell’Islam. Delineava infine il programma per l’insediamento di un governo islamico, sottolineando in particolare la responsabilità degli ulama nel superare le loro trascurabili preoccupazioni e nel rivolgersi senza timore al popolo: “E’ preciso dovere di tutti noi rovesciare il taghut, le potenze politiche illegittime che oggi governano l’intero mondo islamico”.
Il testo delle lezioni sulla Wilayat al-Faqih fu introdotto in Iran da visitatori che avevano incontrato l’Imam a Najaf, e da comuni cittadini arrivati in pellegrinaggio alla tomba di Hazrat ‘Ali (as). Gli stessi canali vennero usati per trasmettere in Iran le numerose lettere e proclami nei quali l’Imam commentava quanto accadeva nel suo paese durante i lunghi anni del suo esilio.
Il primo di questi documenti, una lettera agli ulama iraniani in cui assicurava loro che la caduta del regime dello Shah era prossima, è datata 16 Aprile 1967. Quello stesso giorno scrisse anche al primo ministro Amir ‘Abbas Huvayda accusandolo di gestire “un regime di terrore e di ladrocinio”. Quando scoppiò la Guerra dei Sei Giorni nel Giugno del 1967, l’Imam rilasciò una dichiarazione in cui proibiva ogni tipo di rapporto con Israele e la compravendita di merci israeliane.
Questa dichiarazione venne ampiamente ed apertamente pubblicizzata in Iran, cosa che comportò una nuova perquisizione della casa dell’Imam Khomeini a Qom e l’arresto del suo secondogenito, Hajj Sayyid Ahmad Khomeini, che vi abitava a quel tempo. In questa occasione andarono perdute o distrutte alcune delle opere dell’Imam non ancora pubblicate. Fu a quel tempo che il regime prese in considerazione anche l’idea di deportare l’Imam dall’Iraq in India, un luogo dal quale comunicare con l’Iran sarebbe stato assai più difficile, ma il piano venne sventato.
Altri avvenimenti che l’Imam Khomeini commentò da Najaf furono le stravaganti celebrazioni dei duemilacinquecento anni della monarchia iraniana nell’Ottobre 1971 (“E’ dovere del popolo iraniano rifiutarsi dal partecipare a questi festeggiamenti illegittimi”); l’insediamento formale di un sistema politico basato sul partito unico in Iran nel Febbraio 1975 (l’Imam proibì di iscriversi al partito, chiamato Hezb-e Rastakhez, in una fatwa emessa il mese seguente); e la sostituzione, nel corso dello stesso mese, del calendario imperiale (shahanshahi) in luogo del calendario solare basato sull’Egira (l’emigrazione del Profeta da Mecca a Medina, n.d.t.) utilizzato ufficialmente in Iran fino a quel momento.
In occasione di determinati avvenimenti, l’Imam emise vere e proprie fatwa piuttosto che proclami: l’Imam respinse ad esempio come incompatibile coi dettami dell’Islam la “legge per la tutela della famiglia” varata nel 1967, e definì adultere le donne che si erano risposate dopo aver ottenuto il divorzio in base ad essa.
L’Imam Khomeini dovette poi affrontare anche il cambiamento delle circostanze in Iraq. Il partito Ba’th, fondamentalmente ostile alla religione, era giunto al potere nel Luglio del 1967 ed iniziò presto a fare pressione sui sapienti religiosi, iracheni ed iraniani, di Najaf. Nel 1971 Iraq re dal suo territorio iraniani i cui avi vivevano in Iraq in alcuni casi da generazioni. L’Imam, che fino a quel momento aveva sempre mantenuto le distanze dalle autorità irachene, iniziò a rivolgersi direttamente ai più alti gradi del governo iracheno, condannandone le azioni.
L’Imam Khomeini era, infatti, costantemente e acutamente consapevole delle connessioni tra le questioni iraniane e quelle del mondo islamico in generale e delle terre arabe in particolare. Questa consapevolezza lo portò a rilasciare un proclama da Najaf diretto a tutti i musulmani del mondo in occasione dell’hajj (Pellegrinaggio) del 1971, e di commentare, con frequenza ed enfasi particolare, i problemi posti da Israele al mondo islamico.
La particolare preoccupazione dell’Imam per la questione palestinese lo portò ad emettere una fatwa, il 27 Agosto 1968, in cui autorizzava l’utilizzo del denaro raccolto per fini religiosi (vujuh-i shar’i) per sostenere la nascente attività di al-Asifa, il braccio armato dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina; essa venne confermata da un responso giuridico simile e più dettagliato emesso dopo un incontro con i rappresentanti dell’O.L.P. a Baghdad.
Il fatto che i proclami e le fatwa dell’Imam Khomeini fossero diffusi in Iran, anche se soltanto su scala limitata, fu sufficiente a far sì che durante gli anni dell’esilio il suo nome non venisse dimenticato. Di pari importanza, il movimento di opposizione islamica allo Shah nato dall’insurrezione del 15 Khordad aveva continuato a crescere nonostante la brutale repressione cui lo Shah aveva senza esitazioni dato via libera. Numerosi gruppi e persone prestarono esplicitamente la loro alleanza all’Imam. Poco dopo l’inizio del suo esilio era stata messa in piedi una rete chiamata Hey’athe-ye Mo’talife-ye Eslami (Alleanza delle Associazioni Islamiche), il cui quartier generale era a Teheran, ma che disponeva di branche in tutto l’Iran.
Ne erano membri attivi molti tra coloro che avevano studiato a Qom sotto la guida dell’Imam, e che dopo la Rivoluzione avrebbero ricoperto cariche importanti; uomini come Hashemi Rafsanjani e Javad Bahonar. Nel Gennaio del 1965 quattro membri dell’Alleanza uccisero Hasan ‘Ali Mansur, il primo ministro che aveva disposto l’esilio per l’Imam.
Per tutto il tempo che l’Imam Khomeini rimase in esilio, nessuno fu né ufficialmente né clandestinamente autorizzato a rappresentarlo in Iran.
Ciò nonostante, ulama autorevoli come l’Ayatullah Morteza Mutahhari, l’Ayatullah Sayyid Muhammad Husayn Beheshti (martirizzato nel 1981) e l’Ayatullah Husayn Ali Montazeri rimasero in contatto, diretto ed indiretto, con lui, ed era noto che parlavano a nome suo su questioni importanti. Così come le loro controparti più giovani nell’Alleanza, tutti e tre avrebbero avuto un ruolo importante durante la Rivoluzione e negli anni seguenti.
La continua crescita del movimento islamico durante l’esilio dell’Imam Khomeini non dovrebbe essere attribuita soltanto alla sua perdurante influenza o all’attività degli ulama che agivano in accordo con lui. Furono importanti anche le lezioni ed i libri di Ali Shari’ati (morto nel 1977), un intellettuale di cultura universitaria la cui comprensione e presentazione dell’Islam era stata influenzata da ideologie occidentali, marxismo incluso, ad un livello tale che molti ulama ritenevano come pericolosamente sincretista.
Quando all’Imam venne chiesto di pronunciarsi sulle teorie di Shari’ati, sia da parte di coloro che lo difendevano che da parte di coloro che lo avversavano, egli evitò con discrezione di pronunciarsi in modo reciso, così da non creare nel movimento islamico una frattura da cui avrebbe potuto trarre giovamento il regime dello Shah.
Il segnale più chiaro della persistente popolarità dell’Imam Khomeini negli anni che precedettero la Rivoluzione, soprattutto nel cuore dell’istituzione religiosa a Qom, avvenne nel Giugno 1975, in occasione dell’anniversario dell’insurrezione del 15 Khordad. Gli studenti della madrasa Feyziye inscenarono una manifestazione all’interno della madrasa e una folla di simpatizzanti si raccolse all’esterno.
Entrambe le manifestazioni continuarono per tre giorni, finché non vennero attaccate da terra dai commando, e dall’aria da elicotteri militari, con numerose persone uccise. L’Imam reagì con un messaggio in cui dichiarava che gli eventi di Qom ed altre agitazioni dello stesso tipo verificatesi altrove andavano considerate come segno di speranza che “la libertà e la liberazione dalle catene dell’imperialismo” erano ormai a portata di mano. La Rivoluzione iniziò infatti due anni e mezzo dopo.
La Rivoluzione Islamica (1978-1979)
La catena di eventi che si concluse nel Febbraio 1979 con il rovesciamento del regime Pahlavi e con la fondazione della Repubblica Islamica ebbe inizio con la morte di Hajj Sayyid Mustafa Khomeini, avvenuta a Najaf il 23 Ottobre 1977 in maniera inaspettata e in circostanze misteriose. La responsabilità dell’accaduto fu da più parti addossata al SAVAK, i servizi segreti iraniani, e manifestazioni di protesta si tennero a Qom, Teheran, Yazd, Mashhad, Shiraz e Tabriz. L’Imam Khomeini stesso, con il solito distacco tenuto di fronte alle perdite personali, descrisse la morte di suo figlio come uno dei “favori nascosti” (altaf-i khafiya) di Dio, e raccomandò ai musulmani dell’Iran di mostrarsi risoluti e fiduciosi.
La stima di cui l’Imam Khomeini godeva e la determinazione inflessibile che il regime mostrava nel tentare di minarla con ogni mezzo emersero di nuovo il 7 Gennaio 1978, quando sul quotidiano semiufficiale Ittila’at comparve un articolo che lo attaccava in termini estremamente rudi, dipingendolo come un traditore che operava congiuntamente ai nemici esterni del paese.
Il giorno seguente a Qom ebbe luogo una furiosa protesta di massa che fu soppressa dalle forze di sicurezza con ampio spargimento di sangue. Si trattava del primo di una serie di confronti popolari che, crescendo di intensità per tutto il 1978, si trasformarono presto in un vasto movimento rivoluzionario intenzionato a rovesciare il regime Pahlavi e ad instaurare un governo islamico.
I martiri di Qom furono commemorati quaranta giorni più tardi, con manifestazioni e la chiusura dei negozi in tutte le più grandi città dell’Iran. I disordini a Tabriz furono particolarmente gravi e si conclusero soltanto dopo che più di cento persone vennero uccise dall’esercito dello Shah. Il 29 Marzo, quarantesimo giorno dopo il massacro di Tabriz, fu contrassegnato da un’ulteriore tornata di manifestazioni che coinvolsero qualcosa come cinquantacinque città; gli incidenti più gravi si ebbero questa volta a Yazd, dove le forze di sicurezza aprirono il fuoco contro un assembramento di persone nella moschea principale. All’inizio di Maggio i peggiori episodi di violenza si verificarono a Teheran; per la prima volta dal 1963 le strade furono occupate da colonne di blindati che tentavano di contenere la rivoluzione.
A Giugno, per esclusivo calcolo politico, lo Shah fece una serie di concessioni superficiali alle forze politiche che lo avversavano – come l’abolizione del “calendario imperiale” – ma continuò altresì la repressione. Quando il 17 Agosto il governo perse il controllo di Esfahan, l’esercito attaccò la città ed uccise centinaia di dimostranti disarmati. Due giorni più tardi quattrocentodieci persone arsero vive dietro le porte bloccate in un cinema di Abadan, cosa di cui il governo fu ritenuto responsabile.
Il giorno di ‘Id al-fitr (la festa che conclude il mese di Ramadan), che quell’anno cadde il 4 Settembre, ci furono cortei in tutte le città più grandi; si stima che in totale vi abbiano partecipato quattro milioni di dimostranti. Si richiedeva a gran voce l’abolizione della monarchia e l’insediamento di un governo islamico guidato dall’Imam Khomeini. Davanti alla realtà di una rivoluzione incombente, lo Shah decretò la legge marziale e proibì ulteriori manifestazioni.
Il 9 Settembre una folla che si era riunita nella Meydan-e Zhala di Teheran (ribattezzata successivamente Meydun-e Shohada’, Piazza dei Martiri), fu attaccata dall’esercito che aveva bloccato tutte le vie d’uscita della piazza, e solo qui vennero uccise circa duemila persone. Altre duemila vennero uccise in altre zone di Teheran dagli elicotteri militari forniti dagli USA che si libravano a bassa quota. Questa giornata di massacri, nota come “Venerdi Nero”, segnò il punto di non ritorno. Era stato versato troppo sangue perché lo Shah potesse avere alcuna speranza di sopravvivere, e gli stessi militari cominciarono ad essere stanchi di obbedire all’ordine di commettere massacri.
Mentre in Iran avevano luogo questi eventi, l’Imam Khomeini realizzò un’intera serie di messaggi e di discorsi che raggiunsero la sua madrepatria non soltanto sottoforma di stampati, ma anche su cassette registrate. Si poteva sentire la sua voce che si congratulava con il popolo per i sacrifici che aveva sopportato, che dipingeva senza mezzi termini lo Shah come un criminale incallito e sottolineava le responsabilità degli USA per le stragi e per la repressione (ironicamente il presidente americano Carter aveva visitato Teheran per il Capodanno del 1978 e aveva lodato lo Shah per aver creato “un’isola di stabilità in una delle più turbolente aree del mondo”).
Mentre ogni parvenza di stabilità veniva meno, gli Stati Uniti continuarono a sostenere lo Shah militarmente e politicamente, nulla cambiando nel proprio comportamento fatta salva qualche superficiale esitazione. Di maggiore importanza fu che l’Imam comprese che una congiuntura unica si stava verificando nella storia dell’Iran: un momento genuinamente rivoluzionario che se fosse svanito sarebbe stato impossibile ricostruire. Lanciò quindi ammonimenti contro ogni tendenza al compromesso e dall’essere ingannati dagli sporadici gesti di riconciliazione che provenivano dallo Shah.
Così, in occasione dell’ ‘Id al-Fitr, dopo che cortei imponenti avevano attraversato una Teheran apparentemente tranquilla, pronunciò la seguente dichiarazione: “Nobile popolo dell’Iran! Continuate il vostro movimento e non tentennate neppure per un momento; so bene che non lo farete! Che nessuno pensi che dopo il sacro mese del Ramadan i doveri che Dio gli ha affidato siano cambiati. Queste dimostrazioni che spazzano via la tirannia e promuovono la causa dell’Islam rappresentano una forma di devozione che non è limitata soltanto a certi mesi o certi giorni, perché il loro intento è quello di salvare il paese, di instaurare la giustizia islamica e di stabilire una forma di governo divino basato sulla giustizia”.
In uno dei numerosi errori di calcolo che contraddistinsero i suoi tentativi di distruggere la rivoluzione, lo Shah decise di deportare l’Imam Khomeini dall’Iraq, senza dubbio nella convinzione che una volta costretto ad abbandonare la prestigiosa località di Najaf e la sua vicinanza all’Iran, sarebbe stato in qualche modo ridotto al silenzio. L’accordo del governo iracheno venne ottenuto a New York in un incontro tra i ministri degli esteri iraniano ed iracheno, ed il 24 Settembre 1978 l’esercito circondò la casa dell’Imam a Najaf.
Egli venne informato che la sua permanenza in Iraq era legata al suo abbandono dell’attività politica, una condizione che sapevano con sicurezza avrebbe rifiutato. Il 3 Ottobre l’Imam lasciò l’Iraq alla volta del Kuwait, ma fu respinto alla frontiera. Dopo qualche esitazione, e dopo aver preso in considerazione la Siria, il Libano e l’Algeria come destinazioni possibili, l’Imam Khomeini partì per Parigi su consiglio del suo secondogenito, Hajj Sayyid Ahmad Khomeini, che lo aveva nel frattempo raggiunto. Una volta giunto a Parigi, l’Imam trovò una sistemazione nel sobborgo di Neauphle-le-Chateau, in una casa presa in affitto per lui da esuli iraniani in Francia.
Il fatto di dover vivere in un paese non musulmano fu senza alcun dubbio ritenuto insopportabile dall’Imam Khomeini, e in una dichiarazione rilasciata da Neauphle-le-Chateau l’11 Ottobre 1978, quarantotto giorni dopo i massacri del Venerdì Nero, annunciò la sua intenzione a trasferirsi in qualunque paese islamico gli avesse assicurato libertà di parola.
Tale garanzia non si materializzò. La sua partenza forzata da Najaf accrebbe in compenso più che mai il risentimento popolare in Iran. Fu il regime dello Shah, comunque, a risultare sconfitto con questa mossa. Le comunicazioni telefoniche con Teheran erano più facili da Parigi che da Najaf, grazie alla determinazione con cui lo Shah aveva voluto che l’Iran fosse collegato in ogni modo possibile al mondo occidentale, e così i messaggi e le istruzioni che l’Imam comunicava poterono susseguirsi senza interruzioni dal modesto quartier generale che aveva messo in piedi in una casetta dall’altro lato della strada rispetto a quella nella quale risiedeva. Inoltre giornalisti da tutto il mondo cominciarono a recarsi in Francia, e presto l’immagine e le parole dell’Imam divennero una presenza quotidiana nei mass-media di tutto il mondo.
Nel frattempo, in Iran, lo Shah operava continui rimpasti di governo. Dapprima nominò come primo ministro Sharif Imami, un individuo che aveva fama di essere vicino agli elementi più conservatori tra gli ulama. Poi, il 6 Novembre, formò un governo militare sotto la guida del generale Gholam Reza Azhari, una mossa, questa, cui fu esplicitamente esortato dagli Stati Uniti. Simili manovre politiche non ebbero alcun effetto sull’avanzare della rivoluzione.
Il 23 Novembre, una settimana prima dell’inizio del mese di Muharram, l’Imam rilasciò una dichiarazione in cui paragonava il mese ad “una spada divina nelle mani dei combattenti dell’Islam, delle nostre grandi guide religiose, dei nostri rispettati devoti, e di tutti i seguaci dell’Imam Hussein, Sayyid al-shuhada (il Principe dei Martiri)”. Essi dovevano, continuava, “farne il più ampio uso; confidando nel potere di Dio, devono tagliare le radici residue di quest’albero di oppressione e di tradimento”. Quanto al governo militare, esso era contrario alla Shari’ah (la Legge divina) e opporvisi era un dovere religioso.
Con l’inizio del mese di Muharram imponenti manifestazioni di piazza ebbero luogo in tutto l’Iran. Migliaia di persone indossarono il sudario bianco, mostrando con questo segno di esser pronti al martirio, e vennero uccise per non aver rispettato il coprifuoco notturno. Il 9 di Muharram, un milione di persone marciò a Teheran chiedendo la fine della monarchia, ed il giorno seguente, il giorno di Ashura, più di due milioni di manifestanti approvarono per acclamazione una dichiarazione in diciassette punti, il più importante dei quali prevedeva la formazione di un governo islamico guidato dall’Imam Khomeini.
L’esercito continuò ad uccidere, ma la disciplina militare cominciò a vacillare e la rivoluzione acquisì anche una dimensione economica grazie alla proclamazione di uno sciopero nazionale indetto il 18 Dicembre. Con il suo regime traballante, lo Shah tentò di coinvolgere politici secolari e liberal-nazionalisti, onde impedire la formazione di un governo islamico.
Il 3 Gennaio 1979, Shahpur Bakhtiyar, del Fronte Nazionale (Jebhe-ye Melli) sostituì il generale Azhari alla poltrona di primo ministro; furono messi a punto i piani per consentire allo Shah di abbandonare il paese per quella che si pensava sarebbe stata un’assenza temporanea. Il 12 Gennaio fu annunciata la formazione di un “consiglio di reggenza” costituito da nove membri, capeggiato da un Jalal ad-Din Tehrani, di cui si proclamavano credenziali religiose, destinato a fare le veci dello Shah durante la sua assenza. Nessuna di queste manovre distolse l’Imam dall’obiettivo, che si faceva adesso ogni giorno più vicino.
Il giorno successivo a quello della formazione del “consiglio di reggenza”, egli annunciò da Neauphle-le-Chateau la formazione del Consiglio della Rivoluzione Islamica (Shura-ye Enqelab-e Eslami), un organismo incaricato di formare un governo di transizione che sostituisse l’amministrazione Bakhtiyar. Il 16 Gennaio, in mezzo a scene di giubilo popolare, lo Shah abbandonò il paese per l’esilio e la morte.
Ormai c’era soltanto da rimuovere Bakhtiyar e da prevenire un eventuale colpo di stato militare che permettesse il ritorno dello Shah. Il primo obiettivo fu sul punto di essere raggiunto il giorno in cui Sayyid Jalal al-Din Tehrani andò a Parigi per tentare di raggiungere un compromesso con l’Imam Khomeini. L’Imam Khomeini rifiutò di riceverlo fino a quando non si fosse dimesso dal “consiglio di reggenza” e lo avesse dichiarato illegale.
Nell’esercito il divario tra i generali, incondizionatamente fedeli allo Shah, e gli ufficiali inferiori e soldati, un crescente numero dei quali simpatizzava per la rivoluzione, si faceva sempre più profondo. Quando gli Stati Uniti incaricarono il Generale Huyser, comandante delle forze di terra della NATO in Europa, di verificare se vi fosse la possibilità di un colpo di stato militare, Huyser dovette riferire che era inutile anche solo considerare una simile eventualità.
Ormai sussistevano tutte le condizioni perché l’Imam Khomeini rientrasse in Iran e dirigesse le ultime fasi della rivoluzione. Dopo una serie di ritardi, inclusa l’occupazione militare dell’aeroporto di Mehrabad dal 24 al 30 Gennaio, l’Imam poté imbarcarsi su un volo charter dell’Air France la sera del 31 Gennaio, arrivando a Teheran la mattina successiva.
In mezzo a scene di gioia popolare mai viste prima – si stima che più di dieci milioni di persone si siano riversate nella città di Teheran per dargli il bentornato nella sua terra – l’Imam Khomeini si diresse al cimitero di Behesht-e Zahra a sud di Teheran, dove erano sepolti i martiri della rivoluzione. Qui condannò apertamente il governo Bakhtiyar definendolo “l’ultimo flebile rantolo del regime dello Shah” e dichiarò l’intenzione di designare un governo che avrebbe rappresentato “un pugno in faccia al governo Bakhtiyar”.
Il 5 Febbraio il governo islamico provvisorio che l’Imam aveva promesso era pronto. La guida venne affidata a Mahdi Bazargan, un individuo attivo per molti anni in varie organizzazioni islamiche, e specialmente nel Movimento per la Libertà (Nehzat-e Azadi).
Il confronto decisivo avvenne meno di una settimana dopo. Davanti al disfacimento progressivo delle forze armate, con moltissimi casi di ufficiali e soldati che disertavano portandosi dietro le armi e ai Comitati Rivoluzionari che stavano nascendo ovunque, Bakhtiyar istituì il coprifuoco a Teheran a partire dalle ore sedici del 10 Febbraio.
L’Imam Khomeini ordinò che il coprifuoco venisse ignorato, ed avvertì anche che se gli elementi dell’esercito rimasti fedeli allo Shah avessero continuato ad uccidere la gente, avrebbe proclamato formalmente una fatwa a favore del jihad. Il giorno successivo il Supremo Consiglio Militare tolse a Bakhtiyar il proprio appoggio e finalmente il 12 febbraio 1979 tutti gli organi politici, amministrativi e militari del regime crollarono definitivamente. La rivoluzione aveva trionfato.
Nessuna rivoluzione può ovviamente essere considerata frutto del lavoro di un singolo uomo, né può essere interpretata in termini meramente ideologici; i cambiamenti economici e sociali avevano preparato il terreno per il movimento rivoluzionario del 1978-79. Nella rivoluzione ci fu anche un coinvolgimento marginale, soprattutto durante le sue fasi finali, quando la vittoria sembrava ormai assicurata, di elementi secolari, liberal-nazionalisti e di sinistra.
Non può tuttavia esserci alcun dubbio sulla centralità del ruolo ricoperto dall’Imam Khomeini e sulla natura integralmente islamica della rivoluzione che egli guidò. Allontanato fisicamente dai suoi compatrioti per quattordici anni, seppe coglierne e portarne alla luce in modo infallibile le potenzialità rivoluzionarie e seppe mobilitare le masse del popolo iraniano perché ottenessero quello che a molti osservatori in Iran (incluso il primo ministro ch aveva scelto, Bazargan), pareva un obiettivo distante ed eccessivamente ambizioso.
Il suo ruolo non fu semplicemente quello di ispiratore morale e guida simbolica: egli fu la guida operativa della rivoluzione. Occasionalmente accettò consigli sui dettagli delle strategie da parte di persone in Iran, ma prese da solo tutte le decisioni fondamentali, mettendo a tacere fin dall’inizio ogni sostenitore di una politica di compromesso con lo Shah. Le moschee furono le basi operative della rivoluzione e le preghiere di massa, le manifestazioni e il martirio – fino alle ultimissime fasi – le sue armi principali.
1979-1989: I primi dieci anni della Repubblica Islamica, gli ultimi dieci anni nella vita dell’Imam
L’Imam Khomeini ebbe un ruolo centrale anche nel dare forma al nuovo ordinamento politico che nacque dalla rivoluzione, la Repubblica Islamica dell’Iran. In un primo momento sembrò che potesse esercitare il suo ruolo direttivo da Qom, perché il 28 Febbraio vi si recò da Teheran trasformando di fatto la città nella seconda capitale del paese.
Un referendum tenuto in tutta la nazione tra il 30 ed il 31 Marzo ebbe come esito un massiccio voto favorevole alla nascita di una Repubblica Islamica. Il giorno successivo, 1 Aprile 1979, fu definito dall’Imam “Il primo giorno del governo di Dio”. L’istituzionalizzazione del nuovo ordinamento continuò con l’elezione, il 3 Agosto, di un’Assemblea di Esperti (Majles-e Khobregan), che aveva il compito di perfezionare la bozza di una costituzione pronta già il 18 Giugno; cinquantacinque eletti su settantatre erano sapienti religiosi.
Non ci si doveva comunque aspettare che fosse possibile una regolare transizione dal vecchio regime. Poteri e compiti del Consiglio della Rivoluzione Islamica, che avrebbe dovuto servire da legislatore ad interim, non erano stati delineati chiaramente dai membri del governo provvisorio presieduto da Bazargan.
Di importanza ancor maggiore, significative differenze di prospettiva e approccio separavano i due organismi uno dall’altro. Il Consiglio, composto soprattutto di ulama, era favorevole ad un cambiamento immediato e radicale e avrebbe voluto rafforzare gli organismi rivoluzionari che erano stati creati: i Comitati Rivoluzionari, i Tribunali Rivoluzionari incaricati di punire i membri del passato regime colpevoli di gravi crimini, e il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (Sepah-e Pasdaran-e Enqelab-e Eslami), creato il 5 Maggio 1979. Il governo, guidato da Bazargan e comprendente molti tecnocrati liberali di orientamento islamico, considerava possibile una veloce normalizzazione della situazione ed il graduale abbandono delle istituzioni rivoluzionarie.
Anche se l’Imam Khomeini esortò i membri dei due organi a lavorare di concerto ed evitò, in più occasioni, di fare da arbitro per le loro differenze, le sue simpatie andavano chiaramente al Consiglio della Rivoluzione Islamica.
Il primo Luglio Bazargan presentò all’Imam Khomeini le sue dimissioni, che vennero rifiutate; quattro membri del Consiglio, Rafsanjani, Bahonar, Mahdavi-Kani e l’Ayatullah Sayyid Ali Khamene’i entrarono nel governo Bazargan nel tentativo di migliorare la coordinazione dei due organismi. Oltre ai contrasti interni al governo, un altro fattore di instabilità era rappresentato dalle attività terroristiche di gruppi che operavano nell’ombra, decisi a privare la nascente Repubblica Islamica di alcune tra le sue più competenti personalità.
Il primo Maggio 1979 l’Ayatullah Murtaza Mutahhari, importante membro del Consiglio della Rivoluzione Islamica e studente particolarmente caro all’Imam Khomeini, venne assassinato a Teheran. Per una volta, l’Imam pianse in un’aperta dimostrazione di dolore.
La rottura definitiva tra Bazargan e la rivoluzione si determinò come conseguenza dell’occupazione dell’ambasciata statunitense a Teheran, compiuta il 4 Novembre 1979 da un gruppo di studenti universitari della capitale. Nonostante avesse dichiarato di voler “rispettare la volontà del popolo iraniano” e di voler riconoscere la Repubblica Islamica, il 22 Ottobre 1979 il governo USA avevano ammesso sul proprio territorio lo Shah.
Il pretesto era quello della necessità di cure mediche, ma in Iran un po’ tutti temevano che il suo arrivo negli Stati Uniti, dove si erano rifugiati molti alti ufficiali del precedente regime, potesse preludere ad un tentativo sostenuto dagli USA di riportarlo al potere, sulla falsariga del riuscito colpo di stato pilotato dalla CIA nell’Agosto del 1953. Gli studenti che occupavano l’ambasciata chiesero dunque l’estradizione dello Shah come condizione per il rilascio degli ostaggi presenti all’interno.
E’ probabile che gli studenti avessero illustrato in precedenza la loro azione a qualcuno molto vicino all’Imam Khomeini, perché egli velocemente offrì loro la sua protezione, definendo la loro azione “una rivoluzione più grande della prima”. Due giorni dopo predisse che di fronte a questa “seconda rivoluzione” gli Stati Uniti “non avrebbero potuto fare un accidente (Amrika hich ghalati namitavanad bokonad)”.
Una predizione che a molti, anche in Iran, parve piuttosto stravagante, ma il 22 Aprile 1980 un’operazione militare orchestrata dagli USA per liberare gli ostaggi americani e, magari, colpire alcuni siti strategici a Teheran fallì in modo improvviso ed umiliante quando mezzi dell’aviazione statunitense si scontrarono l’uno con l’altro durante una tempesta di sabbia vicino a Tabas, nell’Iran sudorientale.
Il 7 Aprile gli USA avevano formalmente rotto le relazioni diplomatiche con l’Iran, una mossa che l’Imam Khomeini aveva accolto come un’occasione di gioia per l’intero paese. Gli ostaggi americani furono rilasciati infine soltanto il 21 Gennaio 1981.
Due giorni dopo l’occupazione dell’ambasciata statunitense, Bazargan offrì nuovamente le sue dimissioni, che stavolta vennero accettate. In aggiunta, il governo provvisorio venne sciolto ed il Consiglio della Rivoluzione Islamica assunse pro tempore il governo del paese.
Ciò portò alla scomparsa definitiva dalla scena di Bazargan e di tutte le altre personalità a lui affini; da allora, il termine “liberale” è entrato nell’uso come dispregiativo, per indicare quanti avevano la tendenza a mettere in discussione le linee fondamentali della Rivoluzione. Gli studenti che occupavano l’ambasciata riuscirono inoltre a mettere le mani sui voluminosi documenti che gli americani avevano messo insieme sul conto di tutte le personalità iraniane che nel corso degli anni avevano frequentato l’ambasciata; queste carte furono pubblicate e screditarono tutte le persone coinvolte.
L’occupazione dell’ambasciata costituì soprattutto una “seconda rivoluzione” in un Iran che si presentava ora come l’esempio pressoché unico in cui la superpotenza americana era stata sconfitta, e che veniva considerato dai politici statunitensi come il principale avversario in Medio Oriente.
L’entusiasmo con cui era stata accolta l’occupazione dell’ambasciata contribuì anche ad assicurare un suffragio amplissimo al referendum che si tenne il 2 ed il 3 Dicembre 1979 per ratificare la Costituzione già approvata dal Consiglio degli Esperti il 15 Novembre. La Costituzione venne approvata ad ampissima maggioranza ma differiva enormemente dalla bozza originale, soprattutto per l’inclusione del principio della Wilayat al-Faqih come basilare e determinante. Brevemente accennato nel preambolo, viene compiutamente sviluppato nell’Articolo 5:
“Per tutto il tempo dell’Occultazione del Signore dell’Epoca (Sahib al-Zaman, il Dodicesimo Imam)…il governo e la guida della nazione sono responsabilità di un giusto e pio faqih, che abbia familiarità con le circostanze della propria epoca, che sia coraggioso, pieno di risorse e competente in materia di amministrazione, che sia riconosciuto ed accettato come Guida (rahbar) dalla maggioranza della popolazione. Nel caso in cui nessun faqih venga considerato come tale dalla maggioranza, le stesse responsabilità spetteranno ad un Consiglio composto da fuqaha in possesso delle stesse qualità”.
L’Art. 109 precisava le competenze e gli attributi della Guida, definiti come “idoneità rispetto alla conoscenza e pietà, come richiesto a chi intenda rivestire le cariche di mufti’ e di marja’”. L’Art. 110 elencava invece i poteri di cui è investito, che comprendono il comando supremo delle forze armate, la nomina del capo della magistratura, l’approvazione del decreto che formalizza l’elezione del Presidente della Repubblica e, in certe condizioni, anche il potere di destituirlo. (36)
Questi articoli rappresentavano la base costituzionale del ruolo guida dell’Imam Khomeini. Dal Luglio 1979 in avanti l’Imam aveva inoltre nominato un Imam Jum’a (Guida della Preghiera del Venerdì, n.d.t.) per tutte le città principali, che avrebbe avuto il compito non solo di tenere il sermone del venerdì ma anche di agire come suo rappresentante. Un rappresentante dell’Imam si trovava anche nella maggior parte delle istituzioni governative, anche se in ultima analisi la più importante fonte di influenza era costituita proprio dal suo immenso prestigio morale e spirituale, che lo portò ad essere designato come “Imam” per antonomasia, ossia come colui che riveste il ruolo di guida completa della comunità.
Il 23 Gennaio 1980 l’Imam Khomeini, sofferente di cuore, fu portato da Qom a Teheran per ricevervi le cure necessarie. Dopo trentanove giorni in ospedale, si stabilì nel sobborgo settentrionale di Darband, ed il 22 Aprile si trasferì in una modesta abitazione a Jamaran, un altro sobborgo a nord della capitale. Un complesso fittamente presidiato crebbe attorno alla casa, ed era qui che egli avrebbe trascorso il resto della sua vita.
Il 25 Gennaio, mentre l’Imam era in ospedale, Abu‘I-Hasan Bani Sadr, un economista che aveva studiato in Francia, venne eletto primo Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran. Il suo successo era in parte dovuto al fatto che l’Imam pensava non fosse opportuno che un sapiente religioso si candidasse alle elezioni presidenziali. Questo evento, seguito il 14 Marzo dalle prime elezioni per il Majlis, poteva essere considerato come un passo essenziale verso l’istituzionalizzazione e la stabilizzazione del nuovo sistema politico.
Tuttavia, l’atteggiamento di Bani Sadr, insieme alle tensioni che presto sorsero nei rapporti tra lui e la maggioranza dei deputati nel Majlis, causò una grave crisi politica che si concluse con le dimissioni di Bani Sadr. Il presidente, la cui megalomania era stata rafforzata dalla vittoria elettorale, era reclutante verso la supremazia dell’Imam Khomeini ed aveva quindi cercato di mettere insieme un proprio seguito, in gran parte costituito da personaggi provenienti dalla sinistra che dovevano esclusivamente a lui la propria fortuna.
Nel corso del tentativo fu per lui inevitabile scontrarsi con il neonato Partito della Repubblica Islamica (Hezb-e Jomhuri-ye Eslami), guidato dall’Ayatullah Beheshti, che dominava il Majlis ed era fedele a quella che definiva la “linea dell’Imam” (khatt-e Imam). Così come aveva fatto in occasione delle dispute tra governo provvisorio e Consiglio della Rivoluzione Islamica, l’Imam tentò di mediare tra le parti e l’11 Settembre 1980 fece appello a tutte le componenti del governo ed ai loro membri affinché mettessero da parte le loro differenze.
Mentre questa nuova crisi di governo era in corso, il 22 Settembre 1980 l’Iraq inviò le proprie truppe oltre la frontiera iraniana e lanciò una guerra di aggressione che sarebbe durata per quasi otto anni. Gli Stati arabi del Golfo Persico, primo tra tutti l’Arabia Saudita, finanziarono lo sforzo bellico iracheno.
L’Imam Khomeini, tuttavia, identificò correttamente negli Stati Uniti il principale istigatore esterno del conflitto, ed il coinvolgimento statunitense si fece sempre più evidente man mano che la guerra procedeva. Anche se l’Iraq avanzava pretese territoriali nei confronti dell’Iran, il vero e mal celato obiettivo dell’aggressione era di approfittare delle difficoltà causate in Iran dalla rivoluzione, e specialmente dell’indebolimento dell’esercito dovuto alle epurazioni degli ufficiali sleali al nuovo governo, per distruggere la Repubblica Islamica.
Così come aveva fatto durante la rivoluzione, l’Imam Khomeini insisté perché non si venisse a compromessi e ispirò una tenace resistenza che impedì una facile vittoria irachena, che molti osservatori stranieri avevano dato per certa, sia pur in via confidenziale. Inizialmente, comunque, l’Iraq ottenne qualche successo, conquistando la città portuale di Khorramshahr e circondando Abadan.
Il modo di affrontare la guerra divenne un motivo di disputa in più tra Bani Sadr e i suoi oppositori. Nei continui sforzi di riconciliare le due fazioni, l’Imam Khomeini istituì una commissione di tre membri destinata ad indagare quanto fossero fondate le lamentele che una parte avanzava nei confronti dell’altra. Il 1 Giugno 1981 una commissione riferì che Bani Sadr aveva violato la Costituzione e contravvenuto alle istruzioni dell’Imam. Il Majlis lo dichiarò privo delle competenze necessarie a ricoprire la carica di presidente, ed il giorno successivo, secondo quanto stabilito dall’Art. 110 sezione (e) della Costituzione, l’Imam Khomeini lo rimosse dall’incarico. Bani Sadr si dette alla clandestinità ed il 28 Giugno salì su un aereo per Parigi, vestito da donna.
Verso la fine del suo periodo di presidenza Bani Sadr si era alleato con il Sazeman-e Mojahedin-e Khalq (Organizzazione dei Combattenti del Popolo; questo gruppo è comunque comunemente conosciuto in Iran come monafeqin, “ipocriti”, e nonmujahidin, a causa dell’ostilità dei suoi membri verso la Repubblica Islamica), un’organizzazione dalla storia ideologica e politica tortuosa, che sperava, come Bani Sadr, di scalzare l’Imam Khomeini e di insediarsi al potere al suo posto.
Dopo che Bani Sadr dovette andare in esilio, alcuni appartenenti all’organizzazione iniziarono una campagna di assassini di importanti esponenti governativi, nella speranza che la Repubblica Islamica sarebbe crollata. Prima ancora che Bani Sadr fuggisse, un’enorme esplosione devastò il quartier generale del Partito della Repubblica Islamica, uccidendo più di settanta persone tra le quali l’Ayatullah Beheshti.
Il 30 Agosto 1981 Muhammad Ali Raja’i, che era succeduto a Bani Sadr alla carica di presidente, venne ucciso da un’altra bomba (insieme, tra gli altri, all’allora primo ministro, l’Hujjatulislam Mohammad Javad Bahonar, n.d.t.). Nei successivi due anni furono compiuti molti altri omicidi, compresi cinque Imam Jum’a e molte altre persone che ricoprivano cariche di minore importanza. In mezzo a queste sciagure l’Imam Khomeini conservò sempre la compostezza che gli era propria, affermando per esempio, in occasione dell’assassinio di Raja’i, che queste uccisioni non avrebbero cambiato nulla e dimostravano piuttosto che l’Iran era “il paese più stabile del mondo”, data la capacità del governo di funzionare normalmente anche in un simile frangente.
Il fatto che l’Iran fosse in grado di affrontare le conseguenze di simili colpi interni mentre continuava la guerra di difesa contro l’Iraq, testimoniava che le radici del nuovo ordinamento avevano attecchito, e che il prestigio dell’Imam Khomeini come Guida della nazione non era affatto diminuito.
L’Ayatullah Khamene’i, da molti anni vicino e fedele dell’Imam, fu eletto presidente il 2 Ottobre 1981 e rimase in carica finché non successe all’Imam Khomeini come Guida della Repubblica Islamica alla sua morte, nel 1989. Durante la sua presidenza non vi furono crisi di governo paragonabili a quelle dei primi anni di esistenza della Repubblica Islamica. Persistevano al contrario vari problemi strutturali.
La Costituzione prevedeva che le leggi passate all’esame del Majlis venissero poi riviste da un organo composto da fuqahachiamato Consiglio dei Guardiani (Shura-ye Negahban) che verificasse la conformità della legge con quanto prescritto dal fiqhja’farita (la giurisprudenza sciita, n.d.t.). Questo portava a frequenti fasi di stallo, che riguardavano anche questioni legislative di primaria importanza.
In almeno due occasioni, nell’Ottobre del 1981 e nel Gennaio 1983, Hashemi Rafsanjani, all’epoca presidente del Majlis, chiese all’Imam di intervenire in maniera decisiva, definendo le competenze della dottrina della Wilayat al-Faqih, per risolvere l’ìmpasse. L’Imam era reclutante nel farlo, preferendo sempre che si raggiungesse un accordo.
Il 6 Gennaio 1988, comunque, in una lettera indirizzata a Khamene’i, l’Imam espose un’ampia definizione di Wilayat al-Faqih, dichiarata ora “assoluta” (mutlaqa), che rendeva teoricamente possibile per la Guida superare tutte le obiezioni possibili alle politiche da essa sostenute. Quello del governo, affermava l’Imam Khomeini, è il più importante tra i precetti divini (ahkam-e ilahi) e deve avere la precedenza su tutti gli ordini divini secondari (ahkam-e far’ya-ye ilahiya).
Non solo allo Stato islamico è dunque permesso promulgare un ampio numero di leggi non menzionate in modo specifico nelle fonti della Shari’ah (Legge sacra), come quella sulla proibizione degli stupefacenti e la riscossione dei dazi doganali, ma può anche decretare la sospensione di un dovere religioso fondamentale come il Pellegrinaggio (hajj) nel caso questo sia necessario per il bene supremo dei musulmani.
A un primo sguardo, la teoria della wilayat mutlaqa-ye faqih potrebbe apparire una giustificazione per l’illimitato potere individuale della Guida (rahbar). Un mese dopo questi eventi, tuttavia, l’Imam Khomeini investì di queste prerogative, finalmente definite per esteso, una commissione chiamata Assemblea per la Definizione dell’Interesse dell’Ordine Islamico (Majma’-e Tashkhis-e Maslahat-e Nezam-e Eslami). L’Assemblea ha il potere di dirimere in modo definitivo tutti i contrasti che possono sorgere in materia legislativa tra il Majlis e Consiglio dei Guardiani.
La guerra contro l’Iraq continuò ad affliggere l’Iran fino al Luglio del 1988. L’Iran era giunto a definire che lo scopo della guerra non era soltanto la liberazione di tutte le parti del suo territorio occupate dall’Iraq, ma anche il rovesciamento del regime di Saddam Husayn. Un certo numero di vittorie militari aveva fatto percepire come realistico l’obiettivo.
Il 29 Novembre 1981 l’Imam Khomeini si congratulò con i suoi comandanti militari per i successi conseguiti in Khuzestan, sottolineando il fatto che gli iracheni erano stati costretti alla ritirata al cospetto della fede e della sete di martirio delle truppe iraniane.
L’anno seguente, il 24 Maggio, fu liberata la città di Khorramshahr, che gli iracheni avevano occupato poco dopo l’inizio della guerra; in mano irachena rimanevano così soltanto piccoli lembi di territorio iraniano. L’Imam approfittò della circostanza per condannare nuovamente i paesi del Golfo Persico che avevano sostenuto Saddam Husayn e descrisse la vittoria come un dono divino.
L’Iran non riuscì però a sfruttare la vittoria a sorpresa, ed il momento favorevole, che avrebbe potuto condurre alla distruzione del regime di Saddam Husayn, svanì mentre la guerra proseguì con alti e bassi. Gli Stati Uniti si stavano in ogni caso adoperando con determinazione perché l’Iran non conseguisse una vittoria decisiva e si intromisero nel conflitto in vari modi.
Il 2 Luglio 1988, infine, la marina americana di stanza nel Golfo Persico abbatté un aereo civile iraniano causando la morte dei duecentonovanta passeggeri. Con estrema riluttanza l’Imam Khomeini decise di porre fine alla guerra in base ai termini specificati nella risoluzione n. 598 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma in una lunga dichiarazione pubblicata il 20 Luglio comparava la sua decisione all’ingerire un veleno.
Qualunque dubbio che l’accettazione del cessate il fuoco con l’Iraq fosse il segnale di una minore prontezza dell’Imam nel combattere i nemici dell’Islam venne dissipato il 14 Febbraio 1989, con l’emissione della fatwa che condannava a morte Salman Rushdie, autore dell’osceno e blasfemo romanzo “I versetti satanici”, e tutti coloro che avessero pubblicato e diffuso il libro.
La fatwa ricevette ampio sostegno in tutto il mondo islamico, che vide in essa l’articolazione più autorevole dell’indignazione popolare per l’enorme insulto che Rushdie rivolgeva all’Islam. Sebbene l’ordine non venne eseguito, mostrò chiaramente quali sarebbero state le conseguenze che dovevano aspettarsi eventuali imitatori di Rushdie, ed ebbe dunque un importante effetto di deterrenza.
All’epoca ci fu poca considerazione per il solido retroterra che la giurisprudenza, sia sciita che sunnita, presentava alla fatwa dell’Imam; in sostanza, in essa non vi era alcunché di innovativo. Quel che dette alla fatwa un particolare significato fu il fatto che proveniva da una figura di grande autorità morale come l’Imam.
L’Imam aveva richiamato l’attenzione del mondo esterno, sia pure in modo meno spettacolare, il 4 Gennaio 1989, quando aveva inviato a Mikhail Gorbaciov, allora segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, una lettera in cui prevedeva il collasso dell’URSS e la scomparsa del comunismo: “D’ora in poi sarò necessario cercare il comunismo nel museo della storia politica del mondo”.
Egli mise inoltre in guardia Gorbaciov ed il popolo russo affinché non sostituissero il comunismo con un materialismo di tipo occidentale: “La difficoltà principale del Suo Paese non è costituita dal problema della proprietà, dell’economia e della libertà. Il vostro problema è l’assenza di una vera credenza in Dio, lo stesso problema che ha trascinato o trascinerà l’Occidente in un vicolo cieco, nel nulla”.
Per quanto riguarda la politica interna, il più importante avvenimento dell’ultimo anno di vita dell’Imam Khomeini fu, senza dubbio, l’estromissione dell’Ayatullah Montazeri dalla sua carica di successore alla guida della Repubblica Islamica.
Un tempo studente e compagno tra i più vicini all’Imam, che era giunto al punto di definirlo “il frutto della mia vita”, Montazeri nel corso degli anni aveva tra i suoi collaboratori persone giustiziate per attività controrivoluzionarie, incluso un genero, Mahdi Hashemi, e aveva poi mosso ampie critiche nei confronti della Repubblica Islamica, ed in particolare verso le questioni giudiziarie.
Il 31 Luglio 1988 egli scrisse una lettera all’Imam rispetto alle esecuzioni – a suo giudizio arbitrarie – di membri del Sazman-e Mojahedin-e Khalq avvenute nelle carceri iraniane dopo che l’organizzazione, dalla sua base in Iraq, aveva compiuto incursioni ad ampio raggio nel territorio iraniano durante le ultime fasi della guerra con l’Iraq. La vicenda si concluse l’anno seguente, ed il 28 Marzo 1989 l’Imam scrisse a Montazeri accettando la sua rinuncia alla successione, rinuncia che, date le circostanze, egli era stato obbligato a presentare.
Il 3 Giugno 1989, dopo undici giorni trascorsi in ospedale per un’operazione per fermare un’emorragia interna, l’Imam Khomeini entrò in una situazione critica e morì. Le espressioni di cordoglio furono massicce e spontanee, in contrapposizione totale con quelle di gioia che avevano accolto il suo ritorno in patria poco più di dieci anni prima.
Tale era l’ampiezza della folla in lutto, stimata in circa nove milioni di persone, che il suo corpo dovette essere portato sul luogo di sepoltura – a sud di Teheran, sulla strada per Qom – con un elicottero. Un complesso di edifici ancora in espansione è sorto attorno al mausoleo dell’Imam, che in futuro sembra potrà divenire il centro di una città totalmente nuova devota alla ziyara(pellegrinaggio) e agli studi religiosi.
Il testamento dell’Imam Khomeini fu reso pubblico subito dopo la sua morte. Si tratta di un lungo documento che si rivolge principalmente alle diverse classi della società iraniana, esortandole ad adoperarsi per la preservazione ed il rafforzamento della Repubblica Islamica. E’ significativo, comunque, che esso si apra con una lunga meditazione sullo hadith Thaqalayn: “Io vi lascio due grandi e preziose cose: il Libro di Dio e la mia discendenza; essi non verranno separate l’una dall’altra, fin quando non mi incontreranno alla fonte”.
L’Imam Khomeini interpreta le avversità che i Musulmani hanno dovuto affrontare nel corso della storia, ed in particolare quelle dell’epoca attuale, come il risultato degli sforzi deliberatamente compiuti per separare il Corano dalla progenie del Profeta (S).
Il lascito dell’Imam Khomeini è considerevole. Non soltanto ha lasciato al suo paese un ordinamento politico che riesce a far coesistere il principio della guida religiosa con quello di un organismo legislativo e di un capo dell’esecutivo eletti, ma anche un ethos ed un’immagine nazionale completamente nuovi, un atteggiamento di dignitosa indipendenza nel confronto con l’Occidente nel mondo islamico.
Egli era profondamente imbevuto della tradizione e della visione del mondo dell’Islam sciita, ma considerava la rivoluzione che aveva guidato e la Repubblica che aveva fondato come la base per un risveglio mondiale di tutti i musulmani. Si adoperò per questo, tra le altre cose, rilasciando proclami agli hujjaj (i partecipanti al Pellegrinaggio alla Ka’ba nella città santa di Mecca, n.d.t.) in numerose occasioni, mettendoli in guardia contro i pericoli provenienti dal dominio statunitense in Medio Oriente, l’instancabile attività di Israele per sovvertire il mondo islamico e l’atteggiamento servile verso Israele e gli Stati Uniti tenuto da molti governi mediorientali.
L’unità tra sciiti e sunniti fu una delle sue durevoli preoccupazioni; egli fu, infatti, la prima autorità sciita a dichiarare incondizionatamente valide le preghiere dei fedeli sciiti ufficiate da un imam sunnita.
Va infine sottolineato che, nonostante l’ampiezza dei traguardi politici raggiunti, la personalità dell’Imam Khomeini era essenzialmente quella di uno gnostico, per il quale l’attività politica non rappresentò altro che lo sbocco naturale di una intensa vita interiore dedita alla devozione. La visione onnicomprensiva dell’Islam che riuscì ad articolare e che esemplificò rappresenta la sua eredità più importante.
di Hamid Algar
Fonte: http://www.islamshia.org/