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Yemen liberato dai ribelli sciiti, l’Onu minaccia sanzioni

9a31fd9d-dde4-458f-99e1-b5ddc6c051eddi Salvo Ardizzone

È finita com’era scritto che finisse: la Resistenza Houthi ha preso in mano le sorti dello Yemen. Venerdì scorso, con una dichiarazione costituzionale rilasciata dal Palazzo del Governo e diffusa dalla Tv di Stato, è stato sciolto il Parlamento e formato un Consiglio Presidenziale di cinque membri, che fungerà da governo di transizione per i prossimi due anni. Al contempo, è stata annunciata la costituzione di un Consiglio Nazionale di transizione, a cui parteciperanno tutte le componenti della frammentata società yemenita, ad eccezione dei salafiti dell’Islah, che in pratica si sono autoesclusi, e, ovviamente, delle formazioni qaediste che infestano ancora l’Est del Paese.

Il movimento Ansarullah controllava la capitale Sana’a da settembre, e aveva progressivamente preso il controllo di una vasta parte dello Yemen, riscuotendo consensi sempre più ampi anche fra le tribù sunnite, stanche delle violenze di salafiti e qaedisti, e del nepotismo e della corruzione del Governo, incurante della grave situazione del Paese.

Per molto tempo gli Houthi hanno provato ad arrivare ad un accordo per un Esecutivo di unità nazionale che comprendesse tutte le parti, ma i colloqui si sono arenati per la sostanziale indisponibilità di alcune componenti (leggi i salafiti dell’Islah e il presidente Hadi e il suo Governo) che, spalleggiati dall’Arabia Saudita, non hanno accettato di cedere le leve del potere.

Lo show down è iniziato a fine gennaio, quando nella capitale sono scoppiati scontri furiosi fra le forze di sicurezza presidenziali, che hanno provato a giocare il tutto per tutto, e le formazioni Houthi. È stato un tentativo velleitario e, in poco tempo, il movimento Ansarullah ha preso il controllo di tutti i centri nevralgici della città che ancora non controllava, mentre il presidente Mansur Hadi e il suo primo ministro Khaled Bahan, messi agli arresti domiciliari, davano le dimissioni.

Sono seguiti giorni di trattative per giungere ad un accordo che superasse il vuoto politico che la critica situazione del Paese non poteva sopportare. Si è giunti a un soffio dal trovare un equilibrio, ma l’Onu, sotto la spinta di Arabia Saudita e Usa, ha fatto deragliare i colloqui che pretendeva di dirigere a senso unico. A quel punto l’Ansarullah ha rotto gli indugi e, con la dichiarazione costituzionale articolata in 15 punti, si è assunto la responsabilità di guidare il Paese fuori dalla gravissima crisi in cui si trova. 

Subito il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha ventilato sanzioni contro i leader Houthi e l’ex presidente Saleh (che appoggia l’Ansarullah in chiave anti governativa) per il ruolo avuto nella svolta. È un meccanismo anche troppo chiaro: per Riyadh (e per Washington) è inconcepibile che la Resistenza prenda in mano le sorti di un Paese strategico come lo Yemen, ai confini del Regno Saudita, dinanzi al Corno d’Africa e sulle rotte vitali per Suez.

Ora il Movimento Houthi dovrà ricostruire una Nazione lacerata, povera, da troppo tempo saccheggiata dai gruppi di potere che si sono succeduti e infestata da bande qaediste a lungo foraggiate dai Sauditi. L’Ansarullah è riuscito ad avere il pieno appoggio delle realtà tribali e dell’Esercito, che si è schierato nella quasi totalità con gli Houthi; adesso, malgrado ostacoli, boicottaggi e la lotta spietata che le Monarchie del Golfo gli muoveranno, per lo Yemen è un nuovo inizio che scuoterà gli equilibri di tutta la Regione.    

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