Attualità

India, quando acqua e salute vengono negate

Dei tanti problemi che assillano l’India, quello dell’acqua è uno dei principali: con il 16% della popolazione mondiale dispone solo del 4% delle risorse idriche. Come riporta il New York Times, è “un gigante assetato”. In media, in vastissime zone, un indiano deve accontentarsi di poco più d’un metro cubo d’acqua all’anno, tre litri al giorno a fronte dei 175 che si consumano in Italia.

Può sembrar strano, visto che in India il clima è per lo più umido grazie ai monsoni, ma s’è fatto poco, molto poco per utilizzare quell’acqua, così, passate le alluvioni, in molte parti del Paese resta la siccità. Secondo il Governo, addirittura 22 delle 32 maggiori città soffrono di una quotidiana grave carenza idrica, nelle province è ancora peggio. A complicare le cose stanno sorgendo aspri conflitti fra il comparto industriale e l’agricoltura per lo sfruttamento delle sempre più rare risorse disponibili. Il problema è assai serio ed è aggravato da fenomeni meteo estremi sempre più frequenti, causati da un cambiamento climatico inesorabile che fa scontare agli uomini le loro follie.

Ma con la sete, è anche la salute che è in pericolo. L’acqua è poca, ma quella potabile ancora meno, e chi ne è senza s’arrangia come può utilizzando anche quella inquinata da virus e batteri. Secondo la Banca Mondiale, in India il 21% delle malattie deriva dall’uso di acqua non potabile. Nel 2010, il Water and Sanitation Program (Wsp) della Banca Mondiale, ha stimato in 54 mld di dollari il danno derivante dalla mancanza di adeguati interventi per rendere potabile l’acqua, e da allora la situazione non è migliorata, anzi.

In India la sete non è per tutti uguale

Ma la sete non è per tutti uguale: per assurdo che ci possa sembrare, in India, la rigida divisione in caste, malgrado abrogata da tempo, nei fatti esiste ancora, e soprattutto nelle campagne sorgono aspri conflitti fra le caste più elevate e i “dalit” (gli intoccabili), per impedir loro l’accesso alle fonti d’acqua.

Quello di Rasooh, un villaggio nel nord del Jammu e Kashmir, è un caso emblematico (ma tutt’altro che unico). Le caste superiori impediscono ai dalit di usare i pozzi d’acqua potabile. Durante la stagione secca non ci sono alternative, quella che arriva dalle condutture (quando arriva) è salmastra e contaminata, e quella degli stagni, dove s’abbevera il bestiame, è ancora peggio, ma ai dalit non è lasciata scelta.

Ai pozzi ci sono state numerose aggressioni, e quando finalmente la polizia ha cominciato a sorvegliarli, un gruppo delle caste elevate è riuscito a danneggiarli. Il messaggio è chiaro: le barriere sociali devono rimanere, l’acqua deve essere appannaggio delle caste elevate, i dalit s’arrangino con gli animali.

Tensioni fra classi sociali

Dopo il sabotaggio, l’Alta Corte dello Stato ha ordinato alle autorità locali di mandare autobotti per assicurare il rifornimento. Per un po’ la soluzione provvisoria ha funzionato, ma presto i rifornimenti son divenuti sempre più sporadici e la sete è tornata.

La verità è che, in assenza d’un massiccio piano d’investimenti in infrastrutture per la raccolta e la depurazione delle acque, la tensione fra classi sociali e fra settori dell’economia sono destinate a salire e a degenerare. È un fatto economico, certo, ma anche e soprattutto culturale, e le due cose si tengono, perché fin quando vasta parte della società indiana approverà, più o meno apertamente, la discriminazione dei dalit, e il mantenimento di barriere sociali nella condivisione delle risorse, sarà arduo decidere le immense spese necessarie agli interventi. E anche se fossero realizzati, il problema in buona parte si riproporrebbe, quanto meno per chi oggi è discriminato.

L’India si definisce “la più grande democrazia del mondo”, ma dinanzi a queste discriminazioni come ad altri fatti (altissimo tasso di violenza di genere, altissimi squilibri economico–sociali fra città e campagne) pensiamo che abbia molta strada da percorrere.

di Salvo Ardizzone

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