In Oriente minaccia di scoppiare una catastrofica bolla finanziaria
Mentre in Europa si trema per il pasticcio greco, in Oriente minaccia di scoppiare una bolla finanziaria che farebbe sembrare una sciocchezza l’uscita di Atene dall’Eurozona.
Nell’ultimo anno le Borse di Shanghai e Shenzhen erano salite del 150%, attirando fiumi di capitali abbagliati dai facili guadagni; il 12 giugno, però, è cominciata una discesa inarrestabile che ora sta coinvolgendo anche la Borsa di Hong Kong e tutti gli altri listini asiatici, compreso quello di Tokyo. Nella caduta, già oltre la metà delle aziende quotate in Cina hanno chiesto la sospensione delle trattative sulle proprie azioni, per una crisi che sembra non avere fine.
A rimaner bruciati fin’ora sono stati soprattutto i milioni di piccoli risparmiatori che s’erano accodati al rialzo della Borsa pensando di realizzare così la propria fortuna, e che ora vedono svanire i propri soldi. Adesso, però, sono anche le società più grosse a scricchiolare, ed il Governo ha ordinato alle compagnie statali di comprare azioni ed ha creato un fondo per fornire liquidità agli investitori, senza però riuscire a rallentare la caduta, tanto da costringere la People’s Bank of China a dichiarare che interverrà con tutti i mezzi in suo potere per prevenire crisi di sistema (tradotto: per evitare un tracollo).
Il fatto è che lo scoppio della bolla azionaria impatta su un sistema economico lasciato crescere troppo in fretta e in modo disordinato; solo da poco la dirigenza cinese ha provato a tirare il freno, ma i problemi sono tutti sul tavolo irrisolti. Due su tutti: la bolla del mercato immobiliare, originata da una sfrenata speculazione edilizia, e quella delle “banche ombra”, istituti di credito fantasma che muovono somme enormi fuori da ogni controllo; sono figlie entrambe dell’avidità con cui nuovi ricchi e “mandarini” del potere si sono lanciati a speculare senza regole, malgrado la campagna anti corruzione di Xi Jinping.
L’economia cinese è divenuta la locomotiva del mondo, divorando quantità sempre crescenti di materie prime: il suo rallentamento impatta ora sui Paesi emergenti suoi fornitori, determinando un massiccio movimento di vendita a prezzi sempre più al ribasso che anticipa (e determina) nuovi crolli. Ciò causa pesanti effetti recessivi sulle economie a lei legate ed una pericolosa spirale ribassista sui prezzi delle materie prime mondiali.
Se le criticità del Sistema Cina dovessero saldarsi l’una all’altra, come paventato da diversi osservatori, gli effetti sulla finanza e sull’economia reale del mondo intero – ancora in gran parte convalescenti – sarebbero talmente dirompenti da far sembrare la crisi da cui stentiamo ancora ad uscire una bazzecola.
Ancora una volta il capitalismo selvaggio, allergico ad ogni regola, mostra il suo vero aspetto distruttivo volutamente ignorato dai liberisti ad ogni costo: seduce con le promesse di enormi arricchimenti, ma le mantiene per pochi, pochissimi privilegiati; agli altri, Popoli e Stati, resta povertà improvvisa, disagio, crisi e rovina.
Ultima notazione: anche in questi frangenti l’Europa si manifesta come sempre provinciale, concentrata solo sulle proprie beghe, incapace di guardare alle dinamiche di un mondo che l’ha ormai emarginata. In una parola, irrilevante.