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In Messico nascono i tribunali del popolo

di Fabrizio Di Ernesto

Il Messico è uno dei paesi dell’America latina con il più alto tasso di criminalità e con delle forze dell’ordine che troppo spesso risultano corrotte e quindi poco efficaci nel contrastare lo spaccio di droga in primis ed il resto della delinquenza.

Questa situazione ovviamente sta creando non pochi problemi a quella gran parte della popolazione che sogna un Messico diverso e più vivibile, anche da un punto di vista sociale e non solo economico. In virtù di ciò la “giustizia fai da te” sta prendendo sempre più piede nell’appendice chicana degli Usa.

Da un paio di settimane nel comune di Ayutla, nello stato di Guerrero, sono stati inaugurati i primi processi dei tribunales del pueblo, veri e propri organi giudiziari creati dalla comunità locale per punire delitti legati al crimine organizzato come omicidi, sequestri, estorsioni e traffico di droga.

Tutto ha avuto inizio lo scorso lo scorso 31 gennaio quando, nella piazza principale di Aytula, si sono aperti i processi contro 54 persone detenute presso le carceri comunitarie. I cittadini di questo comune messicano, di fronte all’inerzia delle autorità statali, hanno deciso di fare da sé e punire i responsabili dei crimini. Il giudizio emesso è paragonabile quasi ad un rituale tribale e prevede pene e sanzioni secondo gli usi e le tradizioni della popolazione locale, per la maggior parte membri della comunità indigena mixtecos.

Nella corsa a questa giustizia sommaria Aytula è però arrivata seconda visto che già da un anno i cittadini di Cheràn, nella regione centrale del Paese, hanno dato vita ad organi popolari che si sostituiscono in tutto e per tutto a quelli nazionali. Il consiglio comunale di Cheràn alla fine non ha potuto fare altro che consentire questa forma di autodifesa popolare adottata dalla comunità indigena locale.

Promotori dei tribunali popolari di Ayutla sono stati i componenti della Uniòn de pueblos y organizaciones del estado de Guerrero (Upoeg), un’organizzazione che riunisce le comunità indigene della Costa Chica, che in pratica non ha fatto altro che “legalizzare” una prassi locale che vede piccoli gruppi organizzati in ronde e forze di sicurezza comunitarie nel tentativo di contrastare lo strapotere dei cartelli della droga. La celebrazione dei processi popolari rappresenta però una novità assoluta per lo stato di Guerrero e il fenomeno si sta rapidamente estendendo anche ad altri comuni della Costa Chica i cui abitanti sono esausti dell’alto tasso di criminalità che non consente loro una vita dignitosa.

A finire alla sbarra non solo i narcotrafficanti ma anche uomini delle forze dell’ordine statali, spesso indagati per abusi di potere e violazioni dei diritti umani. Il leader dell’Upoeg, Bruno Placido Valerio, ha chiesto addirittura il ritiro dell’esercito federale dal comune di Ayutla e dalle zone circostanti, assicurando che la comunità locale saprà assicurare la sicurezza della zona meglio delle forze statali.

Ovviamente a livello legislativo Città del Messico non riconosce questi tribunali e vorrebbe che non prendessero troppo piede, anche perché vanno ad agire in un contesto come quello giudiziario quanto mai centrale per il funzionamento di uno Stato.

Il neo eletto presidente Pena Nieto quindi ora dovrà provare a risolvere questo intricato rebus dopo che la gestione della sicurezza del suo predecessore Felipe Calderon pur attuata con il pugno di ferro alla fine è risultata fallimentare.

Secondo un’indagine della Ong World Justice Project (Wjp), la giustizia penale, quella civile e lo Stato della sicurezza in Messico sono tra le peggiori del mondo. Dei 97 paesi considerati, il Messico è al 91° posto per la qualità del suo sistema penale e dell’ordine pubblico e all’87° per quella del sistema civile.

Numeri che se non giustificano i tribunali del popolo sicuramente aiutano a capire meglio il risentimento della cittadinanza ed il proliferare di una giustizia fai da te.

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