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In Libia avanzano le forze islamiche

di Salvo Ardizzone

Dopo circa un mese e mezzo di battaglia, le milizie di Misurata, unite alla galassia dei gruppi islamisti del Lybian Shield, hanno sconfitto il Consiglio Militare di Zintan, alleato alle milizie del generale Heftar, conquistando definitivamente l’aeroporto, una Tv vicina a Zintan e buona parte di Tripoli. 

Allo stesso modo, a Bengasi, lo schieramento che vede uniti Ansar al-Sharia, con gli altri gruppi qaedisti con l’appoggio del Lybian Shield e della Brigata Martiri del 17 febbraio (che ha sede anch’essa nell’area di Bengasi), ha sconfitto le forze di Heftar, costringendolo alla fuga in Egitto ed impadronendosi della città. È la vittoria, per molti versi inattesa, della coalizione sostenuta dal Qatar, sulle forze spalleggiate dallo schieramento che vede Arabia Saudita, Emirati ed Egitto, con dietro gli Usa e, assai più defilati, alcuni altri Paesi europei come l’Inghilterra.

Negli ultimi giorni, nel tentativo di modificare la situazione sul campo, l’aviazione di Abu Dhabi (che è considerata di buon livello) ha lanciato alcuni attacchi su Tripoli partendo da basi messe a disposizione dall’Egitto, ma i raid non hanno impedito la vittoria degli islamisti in parte vicini alle posizioni della Fratellanza Musulmana, e comunque sostenuti dal Qatar. Gli Usa, tenuti all’oscuro degli attacchi aerei, hanno protestato, ufficialmente perché hanno sostenuto che tali operazioni incancreniscono la situazione, in realtà perché sono stati tagliati fuori da decisioni prese dall’Arabia Saudita, con gli altri a rimorchio dei suoi petrodollari. 

Quella libica è una situazione senza sbocco, in cui è assai difficile influire: le milizie hanno uomini ed armi più che a sufficienza per combattere la loro faida per il potere, e visto che nessuno può pensare seriamente d’impantanarsi in un’azione di terra (che allo stato delle cose sarebbe sanguinosa e di durata illimitata), sarà un affare che riguarderà i libici.

L’Arabia ha visto frustrati i propri sforzi d’assumere il controllo del Paese in cui, ora, prevalgono i gruppi spalleggiati dal Qatar; se non ci saranno sviluppi imprevisti, che alle viste non ci sono, Doha potrebbe provare a prenderne il controllo. È in questo senso che deve esser vista l’auto convocazione, a Tripoli, del vecchio Congresso Nazionale, controllato da elementi vicini alla Fratellanza, che ha eletto un suo premier, il professore universitario Omar al-Hassi. Nel frattempo, la nuova Camera dei Rappresentanti, uscita fuori dalle elezioni farsa di giugno, e in sostanza controllata da elementi che fanno capo allo schieramento dell’Arabia Saudita, è costretta a riunirsi a Tobruk, in sessioni velleitarie quanto inconcludenti. 

Rimane un Paese distrutto e fuori controllo, in cui si calcola che la mancata produzione di ricchezza costi dai 50 ai 70 Mld di $ all’anno, a fronte di un’economia del crimine che, tra traffici e contrabbando, arriva a rendere fra i 5 e i 6 Mld. Laggiù, ormai è rimasta aperta solo la nostra ambasciata e di tutte le Major del petrolio, grazie ai suoi storici legami col territorio, c’è solo l’Eni che continua ad estrarre dai 200 ai 240mila barili giornalieri, che sono tutta l’attuale produzione del Paese, a fronte dei 1.600mila di prima.  

Questa ennesima guerra per procura voluta dall’egoismo cieco di alcuni Paesi Europei (Francia e Inghilterra) e dai maneggi del Golfo, s’è tradotto nell’ennesimo disastro di proporzioni incredibili, che riguarda soprattutto l’Italia in termini di risorse naturali venute meno, ondate di disperati che si riversano sulle nostre coste e di sicurezza. 

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