In Bahrain si reprime in silenzio
Malgrado la violenta e spropositata repressione attuata dal regime Al Khalifa, non si fermano le proteste dei manifestanti anti-governativi in Bahrain. Nella giornata di ieri decine di migliaia di cittadini hanno manifestato nell’isola nord-orientale di Sitra.
Nel villaggio centrale di A’ali, nel corso di un’altra protesta i manifestanti hanno denunciato la distruzione di moschee sciite da parte delle autorità del Bahrain.
Violenti scontri si sono verificati invece nel villaggio orientale di Nuwaidrat, tra manifestanti e forze di sicurezza che hanno fatto uso di gas lacrimogeni e proiettili di gomma.
Venerdì scorso, una manifestazione si è tenuta ad ovest della capitale Manama, in cui ha partecipato anche il leader del principale gruppo di opposizione, al-Wefaq, lo sceicco Ali Salman, liberato da pochi giorni dalle autorità del Bahrain. I manifestanti hanno condannato il regime di Manama per aver incarcerato negli ultimi mesi attivisti e fotografi.
Le proteste in Bahrain hanno avuto inizio nel febbraio 2011 con le richieste da parte dei manifestanti di riforme politiche, una monarchia costituzionale e la cacciata della famiglia regnante responsabile di aver effettuato una brutale repressione delle proteste popolari.
A differenza di altri Paesi, dove i conflitti e le proteste vengono spesso “importate” ad arte con il successivo dispiegamento di forze militari pronte a far fuori il “rais” di turno, in Bahrain non si è mai accesa nessuna luce e nessuna protesta è stata sollevata dalla comunità internazionale, sui vari crimini e sulla brutale repressione attuata dal regime.
Negli ultimi due anni le forze di sicurezza hanno ucciso decine di persone e diverse centinaia sono state arrestate, tra cui medici e infermieri “colpevoli” di aver curato i manifestanti feriti. In Bahrain, i crimini del regime vanno avanti indisturbati e soprattutto in silenzio.