Imprese britanniche responsabili di violazioni dei diritti umani
Senza dubbio la globalizzazione ha generato potere e influenza senza precedenti per le imprese, nonché posti di lavoro e profitti per milioni di persone. La deregolamentazione del commercio, l’apertura dei mercati agli investimenti stranieri e altre libertà commerciali hanno accresciuto il potere e l’influenza delle imprese. Ma quando le attività delle imprese violano i diritti umani e trascinano le persone ancora più a fondo nella povertà, spesso non vi sono strumenti efficaci per chiamare le aziende a risponderne o per garantire un risarcimento a color che ne sono colpiti, come sostiene Amnesty International.
Troppo spesso, purtroppo, le violazioni dei diritti umani che coinvolgono le imprese vengono perpetrate con impunità e gli stati non sono in grado o non vogliono impedire e punire tali azioni. La natura transnazionale di molte potenti società e la complessità giuridico-legale delle loro operazioni sono fattori che pesano in modo particolare sulla possibilità di chiamarle a rispondere sul proprio operato.
Amnesty International e diverse Ong in difesa dei diritti civili segnalano frequentemente violazioni continue che consolidano il circolo vizioso della povertà e rinforzano gli ostacoli che le persone – soprattutto i bambini e le donne – si trovano ad affrontare per godere dei loro diritti.
L’ultima segnalazione è della Ong internazionale, Business and Human Rights Resource Centre, che nel rapporto di mercoledì scorso, mette in guardia sulle varie violazioni dei diritti umani quali il lavoro forzato, pestaggi e il danno ambientale, nelle quali centinaia di aziende britanniche operanti all’estero possono essere implicati.
Secondo il rapporto 303 aziende con sede nel Regno Unito sono state contattate dai loro rappresentanti circa gli abusi dei diritti umani dal 2005, la maggior parte dei quali nel sud del mondo. Richiedono particolare “urgente attenzione” le imprese britanniche che operano nel settore estrattivo, come le miniere, petrolio e gas, implicate in alcuni casi eclatanti di violazione di diritti umani, tra cui uccisioni e inquinamento su larga scala.
Tra i casi segnalati sono la ditta britannica condotta della Glencore nella Repubblica Democratica del Congo, dove si estrae rame e cobalto tra gli altri minerali. L’anno scorso, la società è stata accusata di contaminazione delle riserve idriche delle comunità locali e costrizione al lavoro minorile. La società è stata anche legata a pestaggi brutali e uccisioni da parte della polizia. Glencore ha negato le accuse.
A sua volta le imprese britanniche nel settore della moda sono state accusate di violazioni dei diritti del lavoro, come ad esempio “il lavoro forzato, pestaggi, salari da fame, e le morti sul lavoro – come il crollo fabbrica Rana Plaza (in Bangladesh), dove hanno perso la vita 1.129 lavoratori nel 2013”. Phil Bloomer, direttore del Centro Risorse, ha dichiarato che le imprese britanniche hanno un grande impatto sulla comunità internazionale e le imprese non devono essere “coinvolte in tutto, dai salari da fame ai pestaggi e omicidi.”
Il centro ha segnalato che è diminuito il numero delle vittime di abusi aziendali che ricorrono alla giustizia, tanto più che il governo di coalizione del primo ministro David Cameron ha introdotto nel 2012 il Legal Aid, che condanna e punisce i trasgressori della legge. Da quando la normativa è entrata in vigore, le persone non hanno più diritto al patrocinio finanziato a spese dei contribuenti, devono, invece, finanziare la propria consulenza legale, chiedendo l’aiuto di un ente di beneficenza o rappresentandosi da soli.
L’Ong ha invitato il prossimo governo britannico, che dovrà installarsi dopo le elezioni generali di maggio, a “incoraggiare e spingere le imprese a rispettare i diritti umani e garantire che gli abusi non restino impuniti”.
di Cristina Amoroso