Il wahhabismo, uno spettro che si aggira anche nel sud-est asiatico
Se negli anni settanta lo spettro che si aggirava per il sud-est asiatico era personificato dal comunismo militante sostenuto dalla Repubblica Popolare Cinese, spettro che rimase evanescente, ora lo spettro – ben più consistente – che sta minacciando la regione è il wahhabismo.
L’Arabia Saudita, che ha alimentato il terrorismo attraverso il sostegno totale allo Stato Islamico in Siria e Iraq, in combutta con i suoi alleati la Turchia e Israele, ha messo i suoi occhi perversi anche sui Paesi del lontano sud-est, minacciandone la stabilità.
In particolare, l’Arabia Saudita, che esporta la sua forma wahhabita radicale dell’Islam in tutto il mondo, ha ora lo sguardo sulla Malesia (la Malaysia), dove vorrebbe vedervi attuata la legge della sharia, come è successo al vicino Sultanato del Brunei, diventato dal 1 maggio 2014 il primo Paese dell’Asia orientale ad adottare la sharia.
I governi del sud-est asiatico sono troppo intimiditi dall’Arabia Saudita per le sue credenziali religiose e troppo ipnotizzati dalla sua ricchezza che forse il Sultano del Brunei ha creduto di consolidare la propria posizione applicando la sharia. Solo il tempo dirà se tale strategia placa gli estremisti o semplicemente alimenta il loro appetito.
Il governo saudita è governato da uno dei leader wahhabiti più radicali vissuti in diversi decenni, il re Salman bin Abdulaziz al Saud. Tuttavia, è noto che gli anziani Salman soffrono di demenza e che il governo è in realtà saldamente nelle mani del nipote del re, il principe ereditario Mohammed bin Nayef al Saud. Il principe ereditario, che è anche ministro degli Interni e dirige il servizio di intelligence saudita, ha un ruolo chiave nel fornire denaro, mercenari e armi allo Stato islamico e ai suoi gruppi terroristici affiliati in Siria, Iraq, Yemen, Somalia e Libia.
Violenti gruppi “jihadisti” che traggono ispirazione e sostegno da parte di al-Qaeda e dell’Isis sono germogliati nelle Filippine, in Indonesia, in Malaysia e Thailandia. Attacchi armati, attentati suicidi, decapitazioni e violenze contro civili innocenti hanno fatto notizia.
I giovani del sud est asiatico musulmani gravitano anche sui campi di battaglia della Siria e Iraq per unirsi ai gruppi terroristici. Il Jakarta Globe, per esempio, ha riferito che più di 500 indonesiani si sono uniti alle fila dell’Isis. Militanti dall’Indonesia e dalla Malesia che combattono in Siria hanno riferito che hanno costituito un’unità militare di lingua malese combattente dell’Isis – Katibah Nusantara Lid Daulah Islamiyyah (Unità malese per lo Stato islamico in Iraq e Siria) – che ha partecipato anche a missioni suicide.
Quanto alla Malesia, un recente articolo di Wayne Madsen ha evidenziato la volontà dell’Arabia di trasformare la Malesia in uno Stato teocratico wahhabita come l’Arabia Saudita, servendosi della tangente di 680milioni di dollari consegnata al primo ministro, Najib Razak, con i metodi nascosti dei sauditi, che sono noti per far sì che il loro finanziamento del terrorismo in tutto il mondo si realizzi attraverso una miriade di banche private e società di copertura.
Il governo malese sta permettendo ai missionari wahhabita-sauditi di viaggiare in tutta la Malesia orientale e gli Stati di Sarawak e Sabah nel Borneo ad offrire pagamenti in contanti ai cristiani che si convertono all’Islam. Agli occhi di questi religiosi musulmani, “infedeli” sono i buddisti (36 per cento), induisti (circa il 9 per cento), i cristiani (circa il 5 per cento), e taoisti (circa 5 per cento).
I wahhabiti e i loro co-ideologi vogliono sfidare cristiani, buddisti, indù, sciiti, ismailiti, Ahmadiyyas, Ibadis, yazidi, alawiti, Zaidis, zoroastriani, taoisti, aleviti, e sunniti moderati per il controllo delle grandi regioni del Medio Oriente, dell’Africa, Asia ed Europa. E’ indispensabile per i non wahhabiti resistere a questi briganti “religiosi” e rifiutare le loro credenze del 13° secolo.
Nel corso del tempo, il wahhabismo si è trasformato in una teologia politico-religiosa onnicomprensiva che considera tutti gli altri gruppi religiosi devianti, non ha alcuna tolleranza per le altre culture, senza alcun rispetto per i diritti umani, senza amore per la democrazia e l’avversione costante dei valori occidentali.
Nel corso degli ultimi decenni, l’Arabia Saudita ha speso più di 100 miliardi di dollari americani per esportare il wahhabismo in tutti gli angoli del globo. Migliaia di moschee, seminari, università, scuole e centri comunitari sono stati costruiti, mentre migliaia di predicatori, insegnanti e attivisti sono stati educati, addestrati e spediti in tutto il mondo insieme con libri di testo wahhabiti approvati e altra letteratura.
L’obiettivo finale del wahhabismo è una comunità globale con un credo (wahhabismo) governato da un Khalifah, presumibilmente della Casa Saud. E’ una grande strategia, non solo per l’egemonia in Medio Oriente, ma per il dominio globale, come ha scritto Dennis Ignazio, diplomatico malese, che ha servito il suo Paese a Londra, Pechino e Washington, ambasciatore in Cile ed Argentina.