Ruolo strategico del Kurdistan nel nuovo Medio Oriente
Kurdistan – Il nostro stanco Occidente non è tanto scosso dall’inferno che l’offensiva israeliana sta scatenando in questi giorni a Gaza, un’aggressione feroce, oltre 260 le vittime, case distrutte, emergenza sanitaria. I massacri di Israele sulla popolazione palestinese si ripetono così di frequente che sembra non facciano più notizia.
Fa invece notizia il nuovo Stato dell’Islam (Is), l’ex Isis, o meglio fa notizia il Califfo, Abu Bakr al-Baghdadi, l’uomo nero che minaccia di riconquistare le terre appartenute un tempo all’Islam e di arrivare fino a Roma, mentre circolano tutti quei video di decapitazioni, crocifissioni e profanazioni di serie contro sciiti, sufi e santuari cristiani, de facto un serial killer che fa saltare in aria i bambini sciiti nelle gelaterie o le decine di donne ai matrimoni sciiti.
Nell’Iraq, dilaniato da anni di guerre-occupazioni-liberazioni… in poche settimane sono state realizzate due entità a cui pochi hanno dato un futuro: il Kurdistan e il Califfato, nel disegno di una nuova mappa geopolitica del Medio Oriente. Tralasciamo – per ora – l’ambigua e mirabolante nascita del Califfato per concederci qualche osservazione sul Kurdistan.
Le regioni curde, rimaste come entità unitaria per quasi 400 anni sotto l’Impero Ottomano, persero la loro unità grazie ad un accordo segreto tra le maggiori potenze coloniali concluso per ridisegnare la mappa geopolitica del Medio Oriente, nella quale l’Impero Ottomano, “il malato d’Europa”, doveva essere rimosso completamente dalla mappa del Medio Oriente.
E’ infatti l’esercito imperiale russo ad occupare le regioni curde e armene nel 1916, ma con la rivoluzione bolscevica del 1917, l’esercito russo inizia a ritirarsi e qualcosa va storto perché le regioni curde finiscano in mani russe, mantenendo forse la loro unità.
Da allora comincia la storia moderna dei curdi che, tra tragici sviluppi interni ed esterni, nonostante le promesse, risulteranno politicamente divisi fra gli attuali Stati di Turchia (sud-est), Iran (ovest), Iraq (nord) e, in minor misura, Siria (nord-est). Solo il Kurdistan iracheno ha una certa autonomia politica, come regione federale dell’Iraq, in seguito alla fine del regime di Saddam Hussein nel 2003. Anche il Kurdistan siriano ha una certa autonomia politica da quando è in corso la guerra civile.
Veniamo ai giorni nostri, quando, con l’acuirsi della crisi irachena e con l’avanzata verso Baghdad dell’Isis, prende forma il nuovo stato del Kurdistan. Quali i momenti salienti?
Il 20 giugno, Israele acquista dal governo curdo un carico di greggio che aveva rubato da Kirkuk nonostante le minacce di Baghdad di intraprendere azioni legali nei confronti di qualsiasi acquirente. Il transito di petrolio è facilitato dall’Isis che controlla il gasdotto e dalla Turchia che permette il carico su una nave cisterna nel porto di Ceyhan.
Il 25 giugno, i partiti politici curdi in Iraq mettono da parte le loro differenze e formano un governo locale. Fino ad allora, erano divisi tra due grandi coalizioni, una pro-turca e pro-Israele guidata dal Partito Democratico del Kurdistan (Kdp) di Barzani e l’altro filo-iraniano e filo-siriano, guidato da Unione Patriottica del Kurdistan (Puk) di Talabani.
Il 26 e 27 giugno, il ministro degli Esteri britannico, William Hague, visita Baghdad ed Erbil. Come concordato, chiama il primo ministro Nouri al-Maliki di formare un governo inclusivo. Poi discute con Massoud Barzani della futura indipendenza del Kurdistan. Come al solito, il passaggio del britannico è un momento decisivo.
Il 29 giugno, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, annuncia che Israele sostiene la creazione di uno Stato curdo indipendente in un discorso presso l’Institute dell’Università di Tel Aviv per gli studi sicurezza nazionale. Cautamente, si astiene dal precisare i confini che saranno quelli che si evolveranno nel corso del tempo.
Il 3 luglio, il presidente del governo locale del Kurdistan, Massoud Barzani, chiama il suo parlamento per indire un referendum per l’autodeterminazione. Non a caso, la Casa Bianca ha risposto ribadendo pubblicamente il suo sostegno per “un Iraq democratico, pluralista e solidale”, mentre il vice presidente Joe Biden riceve il capo di gabinetto privato di Mr Barzani, Fouad Hussein, per sviluppare il referendum.
Il 9 luglio i legami tra Erbil e Baghdad si vanno deteriorando con accuse da ambo le parti. Nouri Al-Maliki accusa la regione semi-autonoma del Kurdistan di diventare un rifugio sicuro per quelli che descrive come “gruppi terroristi che combattono il governo centrale di Baghdad”. Barzani accusa Baghdad di fomentare voci anti-curdi, aggiungendo che i curdi mantengono ciò che descrive come il diritto di tenere un referendum sull’autodeterminazione. Mentre l’Iraq scivola nel più profondo caos i curdi spostano le loro forze in aree popolate al di fuori dei confini formali tra cui Kirkuk, una regione, che stimano gli esperti, detiene il 25% delle intere riserve petrolifere irachene. Barzani parla di un altro referendum su come aggiungere Kirkuk.
Il 10 luglio i curdi iracheni dicono che ritireranno i loro ministri dal Gabinetto e sospenderanno la loro partecipazione al governo del primo ministro Nouri al-Maliki per protestare contro le sue osservazioni critiche.
Vien da chiederci: quale sarà la politica estera del nuovo stato del Kurdistan, che fa affari con Israele e la Turchia, con l’appoggio del Califfato e il beneplacito della Gran Bretagna e di Washington? I curdi, forti del loro petrolio e con tali appoggi, non corrono qualche rischio con la ridivisione della mappa mediorientale? Già qualcuno parla di Kurdistan made in Usa che non andrà molto lontano.
di Cristina Amoroso