Il pessimo (e sporco) affare della centrale a carbone di Saline Joniche
di Redazione
La centrale a carbone di Saline Joniche è un pessimo affare, lo sa bene la Repower, socia di maggioranza della Sei Spa, che nel suo “rapporto di gestione 2013” illustra le motivazioni che l’hanno indotta a retrocedere dallo scellerato progetto.
Come già successo quando i comitati pro-carbone negavano il foraggiamento ottenuto da parte di Repower per sostenere il progetto di Saline, mentre il Ceo dell’azienda elvetica, Kurt Bobst, li sbugiardava ammettendo che la società aveva sborsato in loro favore 9000 franchi, così avviene anche oggi: mentre gli improbabili comitati monocellulari del Si fanno i salti mortali per cercare di far passare il progetto della centrale a carbone come un affare da non perdere, la Repower li spiazza e taglia loro le gambe annullando ogni possibilità di argomentazione favorevole al progetto.
Nel report di gestione 2013 della Repower si legge: “…importanti motivi che hanno contribuito a questa decisione [di uscire dal progetto a Saline Joniche] sono stati le incertezze sul piano politico, il quadro normativo generalmente poco chiaro e la rapida evoluzione dei mercati…”.
Il report prosegue con un’amara considerazione da parte della Repower che fa i conti con le conseguenze del suo investimento sbagliato “…Non si intravede più alcuna possibilità di trarre guadagno dal terreno acquistato per la centrale a carbone e quindi si è proceduto a una svalutazione del fondo che sta in relazione al Progetto Saline Joniche…”.
La conseguenza di questo è che “…Il portafoglio progetti – si legge nel report –, svalutato per un ammontare di 21 milioni di franchi, subisce l’influsso delle voci seguenti: svalutazione di un terreno in relazione al Progetto Saline Joniche (13,3 milioni di franchi)…”.
E mentre i comitati favorevoli al Progetto Sei si lanciano in improbabili e iperboliche dichiarazioni di sostegno all’assurdo progetto della centrale a carbone di Saline Joniche, la società italo-elvetica ci mette sopra una pietra tombale con una dichiarazione lapidaria: “…Attualmente la determinazione del fair value [cioè è il prezzo da ottenere nell’ambito di una transazione] è soggetta a incertezza. A causa del contesto di mercato che desta insicurezza e della prospettiva di prezzi dell’energia bassi anche per il futuro, osservatori esterni valuterebbero come bassa la possibilità che il progetto venga realizzato e questo verrebbe considerato nella determinazione di un prezzo d’acquisto, con la conseguenza che non attribuirebbero alcun valore materiale al progetto…”.
La Repower fa quindi mea culpa sulla strategia sbagliata che l’ha portata a perdite ingenti ed evidenzia come persino coloro che l’hanno ideato oggi considerano il progetto privo di alcun valore. Risulta inoltre chiaro che, in questo nuovo scenario, il progetto difficilmente potrà essere preso in carico dagli altri investitori, come il Gruppo Hera ed è esplicito che l’unica soluzione possibile per la Sei Spa è quella di abbandonare definitivamente l’assurda idea di una centrale a carbone e lasciare il terreno dell’ex Liquichimica a chi vorrà realizzare un progetto che porti vero sviluppo nell’area e che sia realmente compatibile con le vocazioni del territorio.
Coordinamento Associazioni Area Grecanica