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Il Pentagono invia la portaerei Truman nel Golfo Persico

di Salvo Ardizzone

Il precipitare della crisi in Medio Oriente ha costretto il Pentagono a cambiare i programmi: lunedì la portaerei Harry Truman ha lasciato Norfolk con almeno quattro mesi d’anticipo, giungerà nel Golfo Persico fra sei settimane per rimanervi sette mesi. Con lei arriverà il suo intero Battle Group composto dal 7° Carrier Air Wing (Stormo Aereo Imbarcato), dal 28° Destroyer Squadron (Squadra di cacciatorpediniere), dall’incrociatore Uss Anzio, da due sottomarini d’attacco classe Los Angeles e dalle unità d’appoggio e di scorta.

Da circa un mese, dopo la partenza dall’area della portaerei Theodor Roosevelt e del suo gruppo, gli Usa si trovano per la prima volta senza una portaerei a ridosso di una zona di crisi, venendo meno alla loro classica strategia. È stato il frutto della convinzione di Obama di attendere la maturazione degli eventi, ormai lasciati in mano a Mosca e Teheran.

Adesso, l’accelerazione degli sviluppi in Siria ed Iraq e, da ultimo, gli attentati di Parigi e l’ufficializzazione della paternità dell’Isis nell’abbattimento del volo A321 russo con le loro conseguenze, costringono Washington a rivedere i piani ed a riposizionare nel Golfo uno strumento essenziale per la sua proiezione di potenza.

Dinanzi alla strage, e con le elezioni regionali alle porte, Hollande ha deciso di rompere con le ambiguità (e le aperte collusioni) che hanno caratterizzato la sua politica precedente, costringendo alla solidarietà, almeno di facciata, il campo occidentale e cercando addirittura la collaborazione della Russia. Ma questo è il meno.

Putin, sfruttando il clima politico successivo agli attacchi, e con la giustificazione per l’abbattimento dell’aereo russo, adesso ha intensificato ancora il suo impegno aumentando a dismisura la pressione su “ribelli” e Daesh già in crisi, e prefigurando a breve un impegno anche in Iraq.

Dinanzi al rapido evolvere della situazione, Washington ha bisogno di asset militari seri nell’area per mantenere voce in capitolo nei colloqui di Vienna sul futuro della Siria (e per conseguenza dell’intero Medio Oriente) che avranno anch’essi un’accelerazione.

Per i tanti Paesi sponsor del Terrore (quelli del Golfo, Arabia Saudita in testa, e poi Turchia, Usa ed Israele), che pensavano di ridisegnare a proprio vantaggio tutta l’area usando bande di tagliagole prezzolati, il tempo sta finendo e la sconfitta, piaccia o no a tanti media e sedicenti commentatori, s’avvicina sempre più rapidamente.

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