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600mila sfollati siriani ritornano ad Aleppo

Oltre 600mila siriani sono tornati nelle loro case nei primi sette mesi del 2017, soprattutto nella provincia nord-occidentale di Aleppo, liberata dal governo alla fine del 2016. Secondo l’Organizzazione Internazionale per la Migrazione (Iom), il numero dei rimpatriati di quest’anno è quasi uguale all’interno numero dei rimpatriati del 2016. Circa il 67 per cento, più di 400mila persone, sono rientrate nella provincia di Aleppo.

La maggior parte dei 602.759 siriani, che sono tornati nelle loro case tra gennaio e luglio, erano sfollati nella loro patria, mentre l’altro 16 per cento è tornato da Turchia, Libano, Giordania e Iraq. I rimpatriati dalla Turchia e dalla Giordania si riferiscono soprattutto alle provincie di Aleppo e Al-Hasakeh.

Il 27 per cento dei rimpatriati ha dichiarato che lo hanno fatto per proteggere i loro beni o proprietà e il 25 per cento si è riferito alla migliorata situazione economica nella loro zona di origine. Altri fattori che hanno dato alla Iom la motivazione del ritorno hanno incluso il peggioramento della situazione economica nel luogo in cui stavano cercando rifugio (14 per cento), questioni sociali o culturali come legami tribali, affiliazioni politiche o qualsiasi ostacolo che impedisse l’integrazione nella loro zona dello spostamento (11 per cento) e il miglioramento della situazione di sicurezza nella loro zona di ritorno (11 per cento). In Siria ci sono ancora più di sei milioni di sfollati interni.

Siria e l’indagine chimica

Una delegazione internazionale sulle armi chimiche visiterà la Siria nei prossimi giorni. Lo ha affermato il vice ministro degli Esteri Faisal Mekdad, garantendo che Damasco agevolerà la missione per scoprire chi ha usato armi chimiche nel Paese all’inizio di quest’anno. Mekdad ha ribadito in un’intervista con The Associated Press il rifiuto del suo governo di essere dietro l’attacco del 4 aprile nella città nord-occidentale di Khan Sheikhoun, nella provincia di Idlib. La delegazione dell’Organizzazione per il Divieto delle Armi Chimiche (Opcw) e il meccanismo di investigazione comune delle Nazioni Unite dovrà arrivare in Siria entro 10 giorni.

Sono morte oltre 80 persone nell’orribile attacco di gas del 4 aprile, del quale i Paesi occidentali hanno accusato il governo siriano. Utilizzando l’incidente come pretesto, le navi da guerra degli Stati Uniti hanno sparato lo scorso 7 aprile 59 missili Tomahawk da due navi da guerra nel Mar Mediterraneo sull’aeroporto di Shayrat, nella provincia centrale di Homs. I funzionari statunitensi hanno affermato che il sospetto attacco chimico di Khan Shaykhun era stato lanciato da un sito militare.

“Alla delegazione offriremo tutte le facilitazioni necessarie per l’inchiesta e per aiutarla ad arrivare al luogo in cui si è verificato il presunto attacco chimico”, ha dichiarato Mekdad. “Scommettiamo sulla professionalità e la neutralità del meccanismo di investigazione comune che visiterà la Siria nei prossimi dieci giorni, per indagare chi ha usato armi chimiche”, ha concluso il funzionario siriano. Il governo siriano ha consegnato tutto il suo arsenale chimico nell’ambito di un accordo negoziato dalla Russia e dagli Stati Uniti nel 2013. L’Opcw ha sorvegliato l’intero processo.

Mekdad ha anche accusato la coalizione guidata dagli Usa che sta effettuando attacchi aerei contro l’Isis di aver ucciso “migliaia di civili e feriti decine di migliaia” nelle aree dell’Isis in Siria settentrionale e orientale. Ha chiesto di sciogliere questa coalizione affermando che sta commettendo “crimini” contro i siriani.

Mekdad ha aggiunto che coloro che vogliono combattere il terrorismo dovrebbero coordinarsi con il governo siriano e con l’esercito siriano, concludendo che la guerra in Siria finirà “quando il terrorismo sarà schiacciato”.

di Cristina Amoroso

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