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Messico: dal traffico di droga a quello di carbone

di Fabrizio Di Ernesto

Non sembra davvero esserci pace per il Messico.

L’appendice meridionale degli Usa infatti continua ad essere terra di malaffare, nonostante gli sforzi del governo e di una economia che attualmente è l’undicesima al mondo.

Se l’uccisione, lo scorso 7 ottobre, di Heriberto Lazcano, capo del cartello dei narcotrafficanti Los Zetas, aveva fatto pensare che il paese potesse invertire la rotta e porre un freno alla criminalità località, i messicani si sono subito dovuti ricredere.

A destare i primi sospetti il luogo in cui Lazcano era stato ucciso, ovvero il piccolo villaggio minerario di  Progreso. Da lì sono partite nuove indagini che hanno portato ad una svolta inaspettata: il capo dei Los Zetas negli ultimi tempi aveva iniziato ad investire in una nuova attività criminale: ovvero l’estrazione e lo smercio illegale del carbone.

Stando a quando sostenuto dall’ex governatore della regione di Coahuila, Humberto Moreira, scoprire una nuova miniera, estrarre carbone illegalmente e pagare i lavoratori una miseria è un business più redditizio, e meno rischioso, del traffico della droga.

Ammissioni sulla portata di questo commercio sono arrivate anche dal governo federale che dopo aver dovuto ammette numerose infiltrazione della malavita nelle miniere di Coahuila, ha dovuto inviare ben 200 ispettori per indagare sulle dimensioni di questo nuovo fenomeno criminale.

Nel Coahuila si estrae il 95% del carbone del Messico che equivale a 15 milioni di tonnellate l’anno. Le piccole miniere abbandonate e illegali vengono chiamate “Pozos” perché sono buchi poco più grandi di una pozza stradale di cui i criminali si appropriano sfruttando poi lavoratori sottopagati per estrarne il carbone.

Ancora una volta, quindi, la criminalità organizzata dimostra di non aver remore a sfruttare qualunque possibilità di commercio, specie se illegale.

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