Kazakistan e i nuovi sviluppi geopolitici euroasiatici
Proprio in questi giorni si è tenuta ad Almaty, la città più popolosa del Kazakistan, la terza tappa del processo di Istanbul che, nato nel novembre 2011 dalla cooperazione di Turchia e Afghanistan e dalla partecipazione di altri 12 paesi, si prefigge espressamente l’obiettivo di creare le condizioni regionali per la rinascita di un Afghanistan «stabile e sicuro».
La conferenza della città kazaka, che ha visto protagonisti i rappresentanti di 11 Paesi e la partecipazione di ben 50 delegazioni, dopo i numerosi giri di tavolo e gli interventi degli ospiti illustri, si è conclusa con la volontà univoca di moltiplicare gli impegni da parte della comunità internazionale per sostenere con maggiore forza l’integrazione economica e politica dell’Afghanistan in Asia centrale e coordinare le singole strategie dei Paesi vicini.
Ma tralasciando quelle che sono le dichiarazioni ufficiali che appartengono all’ambito della diplomazia – e come tali vanno lette e interprete tra le righe – è importante far luce su quelli che potranno essere gli equilibri futuri e il ruolo del Kazakistan in Asia centrale all’indomani del ritiro delle truppe statunitensi nel 2014.
È bene ricordare che l’Asia Centrale è sempre stata vista dai grandi studiosi come un’area di fondamentale rilevanza geopolitica in quanto posta geograficamente al centro di una grande massa continentale che ne consente una notevolissima importanza strategica. Quella stessa centralità che all’indomani dell’implosione sovietica stimolò l’appetito di molte potenze, regionali e non, che cercarono di spingersi nell’area centroasiatica per andare a riempire quel vacuum geopolitico. Questa competizione, che ricorda il “grande gioco” di kiplinghiana memoria, aveva come fine ultimo l’assicurarsi delle aree di controllo nella regione che garantissero lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi presenti nel bacino del Caspio, nonché la loro commercializzazione attraverso la creazione di pipelines alternative a quelle esistenti sul territorio russo.
L’attuale contesa, però, a differenza di quanto avvenne nel XIX secolo, vede contrapporsi un buon numero di attori statali quali Russia, Cina, India, Stati Uniti, Unione Europea, Iran, Turchia, Pakistan, Giappone, nonché le cinque repubbliche centroasiatiche. L’intento col quale la Turchia aveva messo in piedi tale processo era sostanzialmente quello di proiettare la sua politica estera verso est con l’obiettivo ultimo di creare una sorta di OSCE asiatica. Ovviamente tale obiettivo si può considerare sfumato per via dei numerosi attori emergenti e non presenti nell’area che non intendono assolutamente assoggettarsi alle ambizioni turco-statunitensi. C’è poi l’atteggiamento della Russia, a lungo tenuta fuori dal “grande gioco”, che non ha interesse alla nascita di una nuova organizzazione regionale con la presenza degli Stati Uniti e dell’Europa.
Per Mosca, infatti, il meccanismo c’è già e si chiama SCO (Shanghai Cooperation Organisation), un’organizzazione regionale eminentemente asiatica dove gli Usa non sono presenti, il Pakistan e l’India hanno lo status di osservatori, e l’Afghanistan è agganciato dal 2005 con lo “Sco-Afghanistan Contact Group”. Anche la Cina è tiepida sui nuovi meccanismi regionali, in parte perché Pechino, come Mosca, è tra i fondatori e azionisti di riferimento della SCO. Il Pakistan, dal canto suo, non ama che sulle questioni afgane ci siano troppi giocatori a un tavolo dove Islamabad non nasconde di voler giocare il ruolo principale. E infine c’è l’Iran e il Kazakistan, entrambi in parabola ascendente nonostante le numerose difficoltà.
La repubblica del Kazakistan riveste attualmente il ruolo di leader economico in Asia Centrale, grazie al costante sviluppo economico garantito dagli ingenti proventi derivanti dall’esportazione del petrolio. Questa forza economica ha permesso al presidente Nazarbayev di perseguire in politica estera una strategia multivettoriale, improntata sul mantenimento di pacifiche relazioni politiche e proficue relazioni economico-commerciali con un’ampia varietà di Stati. Geograficamente parlando, il Kazakistan si trova circondato dalle due superpotenze regionali (Cina e Russia): tale strategia multivettoriale riflette dunque l’esigenza di mantenere un equilibrio tra le ambizioni cino-russe e la necessità di preservare delle buone relazioni con gli Stati Uniti, che attraverso le loro compagnie petrolifere hanno massicciamente investito nello sviluppo del settore idrocarburi.
Pertanto, forte della sua posizione geografica che gli consente di essere un ponte tra l’Europa e l’Oriente, e abile nel mantenimento di questa strategia multivettoriale, il Kazakistan – grande attore emergente in Asia centrale – potrebbe cogliere il guanto di sfida e proporsi come il garante della stabilità dell’intera regione. In questo potrebbe essere coadiuvato dall’Iran – altro grande attore – il quale, consapevole della partita in gioco e preoccupato dall’emergere sempre più pressante di alcuni interessi (turco-americani) nella regione, ha intensificato negli ultimi mesi le iniziative diplomatiche rivolte alle repubbliche centroasiatiche.
Esempi di questo rinnovato slancio sono gli accordi con il Turkmenistan per l’aumento delle esportazioni di gas ed elettricità verso la Repubblica Islamica, le trattative per la costruzione di due linee ferroviarie, una attraverso il Turkmenistan verso il Kazakhstan e l’altra verso la Cina attraverso l’Afghanistan, Tagikistan e Kirghizistan, e le consultazioni con il Tagikistan per la costruzione di gasdotti, oleodotti e acquedotti compartecipati (tra il Tagikistan e l’Iran esistono anche dei legami culturali: il “farsi” è una delle lingue di questa repubblica centroasiatica). Senza poi dimenticare l’oleodotto della Pace dall’Iran all’India attraverso il Pakistan.
Una cooperazione che proceda verso questa direzione, tra questi due grandi attori regionali, oltre a determinare un fiorente polo di attrazione geopolitico, potrebbe senza dubbio porre le basi per una stabilizzazione delle turbolenze, nonché determinare un fiorente polo di interscambio economico e di attrazione geopolitica .
Forse questa è proprio la chiave di lettura da dare alle parole del Presidente kazakho Nazarbaiev il quale, durante i lavori dell’appuntamento di Almaty ha tenuto a sottolineare che la costruzione di una rete ferroviaria tra Afghanistan ed i paesi vicini può aiutare lo sviluppo sia del paese che dell’intera regione.
di Roberto Puglisi