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Il fallimento della politica USA passa anche da Pyongyang

di Mauro Indelicato

Probabilmente mai, dal1953 in poi, si sta sfiorando il contatto fisico tra le due Coree come adesso; da quell’anno in poi, l’armistizio che ha diviso la penisola asiatica in due stati differenti e contrapposti, per adesso è stato sempre abbastanza rispettato, anche se la tensione tra nord e sud è stata sempre latente e non priva di colpi di scena.

Tra le due Coree, in questi sessant’anni di pace armata, i rapporti hanno subito spesso una sorta di effetto elastico: quasi cadute nel dimenticatoio fino a tutti gli anni 70, visto che l’attenzione del mondo era orientata verso un altro stato asiatico diviso, ossia il Vietnam, negli anni 80 l’avvicinarsi della fine della guerra fredda e l’instaurarsi di un regime apertamente filo USA nel sud, ha fatto nuovamente accendere la miccia del conflitto.

La Corea del Sud infatti, dopo anni di arretratezza economica rispetto ai cugini del nord, viveva un boom economico grazie anche all’assistenza americana ed i riflettori dell’intero pianeta guardavano al miracolo sudcoreano come un modello da seguire e le Olimpiadi di Seul del 1988, decretarono definitivamente l’ascesa della parte meridionale della penisola coreana nel novero delle potenze mondiali filo–occidentali.

Tutto questo ha innescato un clima poco pacifico e tanto a Seul quanto a Pyongyang, si iniziavano a stilare diversi piani di guerra; nelle due capitali, la tensione era alle stelle ed entrambe le sponde del 38esimo parallelo, quello in cui si estende il confine, vivevano con la paura di ritrovarsi catapultati in un nuovo conflitto armato nel giro di poco tempo.

La morte nel 1994 del “padre” della patria nordcoreana, Kim Il Sung, e la presa del potere da parte del figlio, Kim Jong Il, ha invece  aperto un periodo di profondo disgelo tanto con la Corea del Sud che con l’amministrazione USA, guidata da Bill Clinton.

Alcun passaggi significativi in questo senso, furono la visita del Segretario di Stato USA, Madeleine Albright, nel1998 a Pyongyang e la sfilata sotto un’unica bandiera nella parata degli atleti alle Olimpiadi di Sydney ed Atene, fatto questo che sembrava aprire ampi spiragli non tanto di riunificazione, ma quantomeno di definitivo disarmo e disgelo delle due Coree.

Tali propositi però, andarono in frantumi sia per diverse incomprensioni tra i due governi, che per l’inasprimento dell’aggressività della politica estera degli USA dopo l’insediamento di George W. Bush, il quale tagliò il dialogo con Kim Jong Il, mise Pyongyang nella lista degli stati canaglia e diede maggior sostegno, tanto in termini economici quanto soprattutto militari, alla Corea del Sud.

La sensazione all’epoca era che, finita la guerra in Iraq, i prossimi obiettivi della “politica di prevenzione” attuata da Bush erano l’Iran e proprio la Corea del Nord, il che spinse Kim Jong Il ad accelerare sul piano di programma nucleare, mentre nel frattempo le prime sanzioni economiche iniziavano ad incidere su una già parecchio affannata economia nordcoreana, la quale sarà costretta negli anni a seguire a dipendere sempre di più dagli aiuti del governo cinese, l’unico alleato rimasto.

Il clima di queste ore dunque, è figlio di anni in cui isolamento internazionale e sanzioni economiche, hanno prevalso sul dialogo ben avviato negli anni 90 tra le due Coree; al nord, il clima di accerchiamento sta spingendo il nuovo leader, Kim Jong Un, insediatosi dopo il decesso del padre, a proseguire con i test nucleare, mentre al sud il governo di Seul invoca l’aiuto USA e proprio in questi giorni sono iniziate le esercitazioni comuni tra militari sudcoreani e Marines.

Sempre di queste ore, mentre gli occhi del mondo sono rivolti verso il comignolo della Sistina, è la notizia secondo cui Kim Jong Un considera una volgare provocazione l’atteggiamento di USA e Corea del Sud in merito l’inasprimento delle sanzioni e, come già fatto nei giorni scorsi, minaccia un attacco nucleare.

La Corea del Nord non va certamente sottovalutata: anche se l’economia, come detto prima, stenta, ha in suo possesso un arsenale capace di poter colpire anche direttamente le coste pacifiche statunitensi; inoltre, ha un tessuto sociale fortemente incentrato sulle figure carismatiche dei leader del Partito Comunista nordcoreano e questo è un elemento che non va trascurato in caso di conflitto. Ecco perché dunque USA e Corea del Sud, temono che dalle minacce si passi ai fatti; sembra la situazione di chi, dopo aver tirato troppo la corda ed aver provocato un nemico considerato sempre più debole ed isolato, adesso tenta di correre immediatamente ai ripari, al fine di scongiurare un vero e proprio dramma militare ma soprattutto umano.

Dunque, non è un azzardo affermare che il ritorno di fiamma del conflitto coreano sul palcoscenico internazionale, segna la definitiva sconfitta, a livello storico, dell’ideologia dell’unilateralità americana inaugurata da Bush junior; mettere fine ai dialoghi per far prevalere la forza militare ed i prima accennati attacchi preventivi, oltre ad aver creato già tra Iraq e Afghanistan migliaia di morti tra civili e soldati statunitensi, sta creando diverse micce in varie parti del mondo, che adesso rischiano di non poter essere più controllate.

Nell’immediato futuro, c’è da aspettarsi un tira e molla diplomatico e politico, che lascerà spazio anche a provocazioni di stampo militare: il braccio di ferro tra le due Coree andrà avanti e questo getta sicuramente una forte inquietudine in una regione, come quella dell’estremo oriente asiatico, sempre più importante economicamente e politicamente nell’intero scacchiere internazionale.

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