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Il fallimentare bilancio della contrapposizione tra Europa e Russia imposta dagli Usa

di Salvo Ardizzone

Obama ha manipolato la crisi ucraina per mettere Putin nell’angolo, è storia arcinota; per farlo aveva bisogno che i Paesi europei lo seguissero su una via opposta ai propri interessi e, grazie alla totale sudditanza di alcuni e all’ottuso revanscismo di altri (vedi Paesi Baltici e Polonia) c’è riuscito in pieno. Ma, a distanza di oltre un anno, qual è il bilancio?

È vero: Mosca aveva orientato il suo Sistema Paese verso l’Europa, una logica conseguenza del fatto che si trattava di due aree naturalmente complementari; inoltre, l’attacco della finanza internazionale manovrata da Washington e il crollo delle quotazioni del petrolio e gas, grazie alle manovre condotte da Riyadh, sono stati colpi assai duri per l’economia russa, che s’è trovata in forte difficoltà. Ma subito il colpo, come stanno ora le cose?

Le manovre finanziarie che hanno preso di mira il rublo sono state in gran parte sventate, anche grazie al sostegno della potente banca centrale cinese, e da tempo il rublo ha arrestato la sua caduta e sta lentamente, ma continuamente, recuperando.

La caduta del prezzo di petrolio e gas ha morso Mosca nella carne viva, ma ci sono stati due risultati sorprendenti: da un canto l’economia russa ha avuto una frustata che l’ha costretta a concentrarsi sulla produzione di beni e servizi, scostandosi dal vulnerabile modello di petrostato, basato solo sulla vendita di energia; dall’altro, il crollo del prezzo del petrolio ha messo in crisi il mercato dello shale oil e shale gas negli Usa, avviando lo scoppio d’un settore che era divenuto una bolla senza controllo, e che ora ha determinato l’inaspettata frenata dell’economia Usa (- 0,7% nel 1° trimestre 2015).

Ma c’è molto di più: Mosca, vistasi sbarrata la porta europea, s’è rivolta a Oriente, alla Cina. Molto s’è detto sugli accordi energetici del maggio del 2014 (al centro c’era la fornitura di 38 Mld di mc di gas all’anno per trent’anni) fra due Paesi che hanno sempre avuto interessi strategici conflittuali; ma Pechino ha fatto i suoi calcoli di convenienza, come sempre. Ha visto che Mosca era in condizione di debolezza ma, invece di prenderla alla gola e pur realizzando in pieno i propri interessi, ha pensato che, insieme, avrebbero potuto ridisegnare equilibri ed influenze geostrategiche dell’intera Asia escludendone Washington, e così ha fatto.

Col pieno appoggio di Putin, ha dato impulso all’immenso progetto infrastrutturale della “Via della Seta”; ha dato il via alla Aiib, una struttura finanziaria destinata a soppiantare in tutta quell’immensa area Fmi, Banca Mondiale e Asian Development Bank, strumenti in mano agli Usa, con in più il fatto d’avervi attirato tradizionali alleati di Washington come Inghilterra, Germania e così via. E non è escluso che l’imperialismo mostrato nel Mar Cinese, con la costruzione di isole artificiali fortificate per controllare le fondamentali rotte commerciali ed affermarne il dominio, in barba alle rivendicazioni degli altri Paesi rivieraschi e dei moniti degli Usa, ne sia ovvia conseguenza.

Da ultimo, ha siglato un nuovo gigantesco contratto per la fornitura di ulteriori 30 Mld di mc di gas all’anno con Mosca, e qui cominciano i dolori per gli europei: infatti, mentre il gas venduto col contratto del 2014, quello della Eastern Route, proverrà da giacimenti che non riforniscono l’Europa, il gas del nuovo contratto, attraverso la Western Route verrà dagli stessi che alimentano l’Occidente, e questo avrà un pesante impatto sui prezzi, perché Mosca, con i mercati orientali aperti, si libererà progressivamente della “necessità” di rifornire l’Europa, ma gli europei non sapranno dove altro prendere il gas.

Inoltre, per essi, nel clima attuale di ulteriori massicci investimenti, accordi, cooperazioni, neppure a parlarne, e sarà la Cina a realizzarli mentre i due Paesi ridisegnano insieme la geopolitica dell’Asia (e non solo) in barba agli Usa e mentre l’Europa sta a guardare.

Washington, dal canto suo, non intende cambiare la sua politica d’ingerenza, prova ne sia che dietro i fatti sanguinosi in Macedonia c’è l’ombra dell’ennesima operazione di destabilizzazione a Stelle e Strisce, tesa a scalzare l’attuale Governo favorevole al passaggio del gasdotto Turkish (Greek) Stream, destinato a sostituire il South Stream (per ricordare, ucciso da Bruxelles su mandato Usa, con enorme danno delle società europee che avrebbero dovuto costruirlo e gestirlo). E ancora, c’è sempre Washington dietro il rinfocolarsi degli scontri nel Donbass (grazie alle sistematiche provocazioni di Kiev, su mandato Usa), proprio alla vigilia del nuovo incontro del G7 che, nei desideri di Obama, dovrebbe rinnovare ed aggravare le sanzioni a Mosca.

E i Paesi europei? Subiscono come sempre, mostrando una sudditanza che li taglia fuori da ogni scelta che li riguarda, condannandoli alla totale irrilevanza ed a subire costi elevatissimi.

Unica voce incerta che s’è levata, è quella del ministro per gli Affari Esteri tedesco Steimeier che, in un incontro preparatorio al G7, ha dichiarato che si deve lavorare perché Mosca sia riammessa agli incontri ritornando alla formula del G8, e perché si giunga al superamento delle sanzioni. Ancora troppo poco da chi subisce un servaggio cinico e immotivato, e che non cambia in nulla il bilancio disastroso d’aver ceduto agli Usa come sempre.

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