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Il destino del Sistema Italia è legato alle sue banche

Come chiaro da molto tempo, il destino del Sistema Italia è legato alle sue banche; senza una soluzione ragionevole che le liberi dalla zavorra delle sofferenze, annasperanno fino ad affondare e con esse l’intera economia. Per questo è in atto un braccio di ferro fra Roma e Bruxelles, dal cui esito dipende il futuro del Paese.

sistema italiaIl problema è arcinoto da tempo: il sistema bancario italiano ha nella pancia circa 200 Mld di sofferenze, crediti frutto dei lunghi anni di una crisi che non passa, in gergo tecnico No Performing Loans ovvero Npl. Secondo le normative bancarie, la loro zavorra costringe le banche a immobilizzare quantità enormi di capitale sottraendolo all’economia reale; è il fenomeno all’origine del credit crunch (stretta del credito) che toglie ossigeno ad aziende e privati producendo nuovi Npl, in una spirale perversa che impedisce il rilancio dell’economia.

Ma la situazione è ancora più grave: le banche nel corso degli anni hanno tagliato il valore di quei crediti abbattendolo fino a scendere al 40% del valore nominale; non li hanno cancellati perché molti di essi hanno pur sempre a garanzia immobili, attività, insomma qualcosa che se venduto con un minimo d’accortezza potrebbe realizzare non pochi capitali.

E qui sta il punto: la difficoltà di render soldi quelle garanzie a causa delle storture del sistema giudiziario italiano e delle sue procedure. È pur vero che recenti interventi del Governo hanno cercato di metterci una pezza, ma da questo a dichiarare il problema risolto ne passa, eccome. E poi, le banche in genere non sono attrezzate per affrontare una simile massa di contenziosi per recuperare i crediti.

La soluzione più volte ventilata sarebbe quella di vendere quei crediti a società specializzate nel recupero crediti, o capaci di trasformarli in sofisticati prodotti finanziari, ma il punto è sempre quello: quale valore dare a quei crediti?

Per i fondi speculativi internazionali (che beninteso da tempo stanno alla finestra in attesa delle migliori condizioni per iniziare il banchetto) il valore è intorno al 20% di quello nominale, ma se le banche dovessero disfarsene a quel prezzo stracciato, visto che nei loro bilanci sono posti mediamente al 40%, subirebbero una perdita secca che le distruggerebbe: solo per i Npl, senza tener conto dei crediti incagliati (quelli dubbi ma non ancora passati a sofferenza), si tratterebbe di 40 Mld, una cifra enorme.

Le soluzioni possono essere grosso modo di due tipi: creare una cosiddetta bad bank di sistema, ovvero una società che rilevi i Npl dalle banche, oppure iniettare capitale negli Istituti di Credito in quantità tale da far digerire le sofferenze attraverso le debite svalutazioni. Ma vita la dimensione del problema, e visto che le banche, sotto il pungolo della Bce, si sono già rivolte più volte al mercato per ricapitalizzarsi, solo un massiccio aiuto dello Stato potrebbe dare al problema una soluzione seria.

Negli anni passati, quando la crisi innescata dalla Lehman Brothers stava per travolgere l’Europa, sono stati molti i Paesi che hanno largamente aiutato le loro banche, a cominciare dalla “virtuosa” Germania che ha messo in campo 247 Mld (!) e sulla base di quegli impegni continua a farlo indisturbata. Ma da allora, con la motivazione virtuosa nella forma ma pelosa per come viene applicata, che i soldi dei contribuenti non devono essere usati per salvare gli Istituti di Credito, sono cambiate le norme introducendo la regola del “bail-in”, il salvataggio interno.

Semplificando al massimo, se una banca “salta” a pagare saranno per primi gli azionisti, poi i titolari di obbligazioni subordinate (strumenti finanziari complessi ad alto tasso speculativo, che dovrebbero essere riservati ad investitori istituzionali, ma che vengono regolarmente affibbiati ai piccoli risparmiatori, vedi Banca Etruria & C.), quindi i titolari di obbligazioni semplici (ovvero chi ha prestato i soldi alla banca, ancora una volta molto spesso piccoli risparmiatori) e infine i titolari di conti correnti per le somme superiori a 100mila euro. Questo è il meccanismo che dovrebbe scattare, lasciando il salvataggio sulle spalle di chi è in rapporti con la banca, a meno di gravi rischi che minaccino il collasso dell’intero Sistema. Appunto.

Tornando alle due soluzioni possibili, per costituire una bad bank capace di ripulire le banche dalle sofferenze, lo Stato (o strutture ad esso collegate come Cassa Depositi e Prestiti) dovrebbe mettere a disposizione non solo i soldi per l’acquisto ai prezzi definiti di mercato dai fondi speculativi, ma anche una cifra ulteriore, che complessivamente si avvicini il più possibile al 40%, il valore che quei crediti hanno nei bilanci. Ma questo sarebbe un aiuto di Stato.

Il fatto è che, in caso contrario, le banche salterebbero come birilli. Si dirà che farlo sarebbe un regalo agli Istituti, ma a volerlo, li si potrebbe costringere a usare quel denaro in investimenti utili per l’economia reale come è stato fatto altrove.

Se lo Stato invece ricapitalizzasse le banche con soldi suoi, vincolando quei capitali a un repulisti dei bilanci – ancora una volta aiuto di Stato – i vecchi azionisti si troverebbero con azioni ridotte a ben poca cosa, diluite dall’intervento dello Stato.

Con entrambe le soluzioni, applicando le attuali normative europee del “bail-in”, si avrebbe l’effetto collaterale di distruggere l’intero sistema bancario, abbandonato sia dai piccoli risparmiatori che dagli investitori istituzionali, perché tutti non si fiderebbero più dell’Italia, né tantomeno del suo colossale debito pubblico, aprendo la strada a una crisi devastante che farebbe impallidire quella del 2011.

Per evitare questi scenari da incubo un appiglio ci sarebbe, come abbiamo accennato: invocare una crisi di sistema che giustificherebbe un aiuto di Stato senza il “bail-in”; ma qui entrano in gioco gli equilibri europei e gli interessi opposti dei leader.

Ormai è risaputo in tutta Europa che Roma e Berlino hanno interessi politici opposti: quanto Renzi è interessato a trovare una soluzione che non penalizzi i risparmiatori, dopo la colossale scottatura politica patita con il “bail-in” applicato a 4 banche tutto sommato piccole, tanto la Merkel deve opporsi per non apparire debole dinanzi al suo elettorato che non vuole sconti alle “cicale” mediterranee; e se il rischio per Deutshe Bank e diversi altri Istituti tedeschi ancora stracolmi all’inverosimile di derivati tossici è grande, anzi, enorme, con ottusa faziosità di bottega passa in secondo piano paragonato alla paura della Cancelliera di perdere voti a favore dei populisti di Alternative fur Deutshland.

Lo scontro è già in atto, con la Commissione spaccata sul problema: Juncker disponibile a venire incontro all’Italia e la Commissaria Vestager che ha fatto significative apertura da una parte, l’olandese Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo e fidatissimo scudiero della Cancelliera, che è giunto a dire che la crisi delle banche italiane non è acuta, che c’è tutto il tempo per risolverla e che non c’è alcuna ragione per derogare alle regole precise che ora ci sono (il “bail-in”).

Il guaio è che di tempo non ce n’è proprio più: il 22 giugno scorso Monte Paschi di Siena, la terza banca italiana che di sofferenze ne ha 47 miliardi nella pancia, ha ricevuto una lettera dalla Bce che gli intimava di ridurle di 10,4 Mld con un piano da presentare entro ottobre; una comunicazione che l’ha fatto crollare in borsa a quotazioni impensabili. E non è finita: il 29 luglio l’Eba (l’autorità bancaria europea) darà le sue “pagelle” a 53 banche, fra cui Mps, comunicando i risultati degli stress test; dalle indiscrezioni per la banca senese risulterebbe un ennesimo deficit patrimoniale fra i 2 e i 6 Mld, che la inchioderebbe al bail-in innescando un effetto domino che trascinerebbe con sé buona parte degli Istituti Italiani senza un intervento pubblico.

Come finirà è presto per dirlo, la battaglia è tutt’ora in corso e non sarà in questo Eurogruppo che si concluderà, ma, con tutta probabilità s’andrà a un compromesso, anche perché la credibilità degli oltranzisti guidati dal Ministro Schaeuble è minata dalla richiesta della Deutshe Bank di 150 Mld per salvare il sistema bancario tedesco (e se stessa per prima).

Si può ragionare a lungo se sia corretto o meno aiutare le banche, e soprattutto come, ed è arcinoto che il sistema creditizio italiano si è distinto per opacità, incapacità gestionale, rapacità verso i piccoli e lassismo, per non dire collusione, verso i grandi creditori, con i disastrosi risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Ma, piaccia o no, è un fatto che senza banche che funzionino dalla crisi non si esce.

Pensare di trasformarlo all’improvviso in un modello di efficienza nel peggior momento di crisi che attraversa, e beninteso per colpe certo sue, ma in vasta parte di una classe politica inetta e di controllori che colpevolmente non hanno controllato, equivale a distruggerlo senza avere un’alternativa.

Anche se a denti stretti, è ragionevole, anzi, necessario salvarlo, ma sfruttando l’occasione per sottoporlo a controlli veri, per sfrattare i “salotti buoni” che vi sono rimasti e con loro le incrostazioni che ne fanno strumento di potere; in poche parole, costringendolo a fare il suo mestiere, vale a dire a finanziare l’economia reale. Illusione? Visti i personaggi assai probabile, ma l’alternativa è un colossale disastro.

di Salvo Ardizzone

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