Il debito greco e gli usurai di Bruxelles
In questi giorni si è parlato e si parla tanto dell’acceso confronto in corso fra la Grecia e Bruxelles: una girandola d’incontri, mediazioni, documenti presentati e poi ritirati, il tutto circondato da parole tecniche incomprensibili alla gran parte della gente; per questo vorremmo spiegare con parole semplici il nocciolo della faccenda.
La Grecia ha un debito di 322 Mld, un’enormità per il suo Pil, quasi il 180%; quel debito è in mano almeno per il 76% a Ue, Fmi e Bce, per questo è con loro che deve trattare per trovare un accordo; in mancanza di esso l’Europa non rinnoverà le linee di credito che, attenzione!, la Grecia usa non per aumentare quel debito e fare investimenti o alleviare le condizioni drammatiche del suo Popolo, ma solo per rinnovare i debiti in scadenza e su cui però deve pagare a parte gli interessi.
Atene chiede di continuare a pagare nei prossimi anni ai creditori ciò che sta già annualmente pagando adesso (4-4,5 Mld) che, su una popolazione di circa 11 milioni fa pressappoco 400 € a testa, bambini in fasce e centenari compresi; pagamenti maggiori sarebbero legati ad un aumento di quel Pil che le “cure” della Troika hanno depresso del 25%, vale a dire che hanno già prodotto meno reddito per 6.400 € annui per tutti.
L’Europa, spinta dall’inflessibile Germania, chiede di rispettare le intese sottoscritte nel 2012-2013, che porterebbero i pagamenti annui di interessi a circa 13 Mld, vale a dire 1.200 € per ciascun greco lattanti inclusi. Ma non basta: la prosecuzione di quelle politiche continuerebbe a produrre effetti recessivi che provocherebbero un’ulteriore contrazione del Pil per circa 20 Mld, ancora meno 1.800 € a testa, con l’aggravante che la caduta dei redditi colpirebbe soprattutto la fascia di popolazione sotto la soglia di povertà (già al 25%, aumenterebbe ancora a dismisura) e farebbe schizzare la disoccupazione dall’attuale 25,5% almeno al 29%, aggravando la drammatica crisi umanitaria già in corso.
In questi termini è evidente che per la Grecia accettare le proposte imposte da Berlino equivarrebbe ad accettare di farsi strangolare; le rimarrebbe una sola alternativa: fare default, uscire dall’euro e chiedere aiuti a chi glieli ha già promessi, Russia e Cina. Ma attenzione, le cose non sarebbero così semplici: la Russia è assai disposta a dare un sostegno, ma fra crisi petrolifera, rublo svalutato e sanzioni, pur volendolo potrebbe farlo solo fino a un certo punto. Resta la Cina, che di problemi di liquidità non ne ha, ma che il suo aiuto lo fa pesare, eccome! Così il Popolo greco, a parte un default e ciò che ne segue, dovrebbe accettare un sostanziale servaggio attraverso l’occupazione del suo mercato, di quanto resta della sua economia e delle sue infrastrutture secondo un modello troppe volte sperimentato in Africa.
E l’Europa? Che senso ha pretendere condizioni da usura che dissanguano il debitore con gli interessi, impedendo che possa risollevare la sua economia e, anche nel tornaconto del creditore, possa continuare a pagare magari un po’ di debito oltre agli interessi e, perché no, campare? Che senso ha provocare un default che metterà a sconquasso tutta l’Eurozona anche con la perdita secca di quel credito, che per la Germania rappresenta 70 Mld (e per l’Italia 40)?
La questione vera è politica: cedere sulla Grecia costituirebbe un precedente pericoloso che aprirebbe la strada a Italia, Francia e Spagna, finendo per far saltare tutte le politiche che hanno sostenuto l’impalcatura di potere (e la convenienza) della Germania in Europa, e tutte le promesse d’inflessibilità verso le “cicale” mediterranee fatte ai suoi elettori.
Per questo calcolo meschino e ottuso l’Europa corre il rischio di schiantarsi e un Popolo, già provato drammaticamente, di cadere da una sudditanza a un’altra senza riuscire a risollevarsi.