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Profughi. Premier sloveno: “Senza piano concreto, sarà la fine dell’Unione”

di Adelaide Conti

Ieri si è tenuto un vertice a Bruxelles  fra i leader dei Paesi balcanici e del Centro Europa convocato dal presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker. Sul tavolo l’emergenza nei Paesi che si trovano a fronteggiare i flussi migratori lungo la rotta dei Balcani occidentali. L’ondata di rifugiati che si è riversata in questi paesi non ha precedenti, e sta mettendo a dura prova i nervi e la capacità di gestire situazioni limite le diverse autorità. Gli sforzi dei  Paesi europei coinvolti si concentrano per lo più nel tentativo di uscire da uno stato di continua emergenza. “Senza un piano concreto, sarà la fine dell’Unione che conosciamo”, avverte il premier sloveno, Miro Cerar, all’avvio del summit. Solo qualche giorno fa il governo sloveno con un comunicato stampa avvertiva: “Il flusso di migranti in questi ultimi tre giorni ha superato tutte le nostre capacità di gestirlo”. Immediatamente sono scattate le misure d’emergenza, ponendo, dunque, come soluzione temporanea per arginare l’emergenza, la condizione per cui solo 2500 profughi potranno essere accolti ogni giorno; in linea con la possibilità del Paese di registrare i migranti e offrirgli aiuto.

L’emergenza migranti, che in queste ultime settimane continua a premere soprattutto sulle frontiere  dei paesi balcanici dell’Unione europea, sta creando forti tensioni tra l’Ungheria, la Croazia e, per l’appunto, la Slovenia. I toni usati dal numero due dell’esecutivo comunitario, nonchè braccio destro di Juncker, Frans Timmermans, sono altrettanto allarmanti: “Si rischia la disgregazione”. Sia la capitale della Repubblica Slovena che Bruxelles lanciano un monito. La priorità adesso è trovare un accordo fra tutti gli stati membri su come gestire l’emergenza umanitaria.

L’Unione europea appare oggi più che mai divisa, confusa, incapace di definire strategie e accordi su come fornire ospitalità ed un eventuale spiraglio di futuro alla marea di disperati che proprio nei paesi europei vede l’unica ancora di salvezza. Se da ogni parte d’Europa arrivano segnali di una nuova consapevolezza – che farebbero sperare in una maggiore concretezza e consistenza nelle prossime delibere – le parole pronunciate di volta in volta dalle varie autorità di governo non annunciano, però, dichiarate assunzioni di responsabilità per aver lungamente trascurato il fenomeno migratorio e le ragioni del medesimo.

Nella tarda serata di ieri i leader dei diversi Paesi non avevano ancora una soluzione fra le mani. Sul tavolo una bozza di accordo in 16 punti elaborata dagli Sherpa di Juncker. Il documento prevedeva fra le tante cose l’invio di 400 guardie di frontiera nei Balcani Occidentali e l’accrescimento degli sforzi nell’Egeo. “Rallentare l’ondata aumentando la sorveglianza”, questo il primo obiettivo che si erano posti i diversi Paesi, senonché Belgrado e Sofia hanno – seduta stante – sollevato le loro perplessità. Per loro il problema è altrove. “Se Berlino chiude i confini, cosa vi aspettate che si faccia, noi?” ha fatto notare il  primo ministro serbo, Vucic.

Chi si aspettava da quest’ennesimo incontro una scossa che aiutasse a superare lo stato di confusione, dal quale certo non è facile uscire, si trova deluso e preoccupato. Ancora più di prima.

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