Cronaca

Il business sommerso delle scommesse online

di Salvo Ardizzone

In Italia, le scommesse online sono un business enorme che muove miliardi; è un ambito per noi discutibile, che troppo spesso lucra sulle debolezze della gente ma tant’è, esiste. Tuttavia, dove girano tanti soldi è ovvio che ci sia chi ne vuole di più senza pagare pegno, così, accanto alla rete ufficiale, con tanto di concessione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, è fiorente la rete parallela dei Ctd (Centri di Trasmissione Dati) che raccolgono le puntate e le piazzano online, cercando d’aggirare normative e soprattutto tasse.

Ora c’è a Roma un’inchiesta che fa tremare questo sistema, fatto per ingrassare sui vizi e sulle debolezze della gente; un’indagine che ha per indagati Giovanni Carrisi, proprietario di StanleyBet (colosso del settore) e altri 11 manager della società, per attività illegale di giochi e scommesse in totale evasione d’imposta. Secondo i Pm che coordinano l’inchiesta, i Ctd della società, come d’altronde gli altri, agiscono da dipendenti di società internazionali; nel caso della StanleyBet, della StanleyBet Malta Limited con sede a Malta. Il suo legale rappresentante è un certo Vandy James Edward, ma nella sostanza è un dipendente di Garrisi, che così avrebbe costruito un’impalcatura societaria che gli avrebbe permesso d’evadere una barca di soldi.

A parte il caso della StanleyBet, il fenomeno è estremamente diffuso per il crescente intervento di operatori che hanno fiutato il business: a fronte di 7389 punti vendita scommesse autorizzati, la rete parallela ne ha almeno 4904, che in alcune regioni, come la Calabria e la Sardegna, hanno largamente superato quelli ufficiali.
Da parte sua, la Corte di Giustizia Europea, con la solita ottusa formalità, ha già dichiarato tre volte che il sistema italiano, basato sulle concessioni (e dunque su un minimo di controllo), lede il diritto della “libera prestazione di servizi da parte di cittadini comunitari”, dando la possibilità ai legali delle società che controllano i Ctd di querelare giornali e finanzieri che vanno a prelevare documenti in obbedienza ai provvedimenti delle procure, oltre che ad ottenere dai Tar la riapertura delle sedi chiuse.

È la solita pagliacciata all’italiana; lo Stato, per rastrellare soldi, fa l’allibratore e il biscazziere, con regole che definire opache è poco e che, fra una lobby e l’altra, stenta a chiarire (per inciso: nei soli ultimi due anni, si parla di mancati introiti accertati dalla “rete parallela” per almeno 530 ml di Euro). Così ha tutto il sacrosanto diritto di chiedere chiarezza Maurizio Ughi, Amministratore Delegato di Snai Servizi, azienda leader della “rete ufficiale”, quando chiede al Governo una cosa sola: chiarezza. Esattamente quella che per definizione manca.

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