I rubinetti di Gazprom fanno paura all’Italia
Era nella forza delle cose che dovesse accadere: il 16 mattina Gazprom ha annunciato la rottura delle eterne trattative con Kiev e l’interruzione delle forniture; d’ora in poi, se non verranno saldati i 4,5 mld di $ che rivendica come crediti pregressi, il metano verrà fornito solo previo pagamento anticipato. Al contempo, pur assicurando che le forniture al resto d’Europa continueranno a pieno regime, ha avvertito che se l’Ucraina dovesse prelevare gas destinato alla Ue dalle reti che attraversano il suo Paese, il flusso verrà interrotto; e visto che è praticamente impossibile controllare la cosa, è come dire che, a questo punto, Mosca si riserva di bloccare le forniture in qualsiasi momento. Inutile dire che l’interruzione dei flussi metterebbe nei guai l’intera Europa e l’Italia, che dipende da quel gas per un terzo del proprio fabbisogno, è fra gli Stati che sono messi peggio.
Intendiamoci, ora siamo alle porte dell’estate, con gli stoccaggi pieni e una congiuntura economica (leggi la crisi) che ha abbassato i consumi almeno del 15% dai picchi del 2010, quando i consumi superarono gli 83 mld di metri cubi (Gmc) nell’anno, ma questo non ci mette tanto meglio perché nei circa 10 anni passati (da tanto durano le crisi ricorrenti fra Mosca e Kiev) non abbiamo fatto praticamente nulla per risolvere il problema. Infatti, se da un canto abbiamo trascurato incredibilmente la nostra possibilità di produzione, dall’altro abbiamo sostanzialmente affidato al gas l’energia del Paese. Di più; abbiamo fatto poco o nulla per dotarci di quelle infrastrutture (centri di stoccaggio e rigassificatori) capaci di tamponare le crisi, differenziare i fornitori e calmierare i prezzi.
I motivi sono i soliti, tipicamente italiani: in primo luogo la solita sindrome “Nimby” (not in my back yard, che significa: non nel mio cortile) che aprioristicamente suscita le furiose resistenze degli enti locali e delle popolazioni alla realizzazione di qualunque infrastruttura; in secondo luogo, ma tutt’altro che secondo per importanza, l’inerzia colpevole della burocrazia e delle autority preposte, prima ancora che del Governo.
Si tratta di grandi investimenti e nessuno è disposto ad anticipare le somme se non è fatta chiarezza, più e prima che sul quadro normativo (che tutto sommato c’è), sui ricavi che saranno riconosciuti agli operatori. Ci sono almeno una decina di progetti di nuovi siti di stoccaggio ed il Governo (quello Letta per l’esattezza) una volta tanto ha fatto la sua parte promuovendo la liberalizzazione di questo mercato con il passaggio alle aste competitive per 4,2 Gmc, ma è inutile se l’Autorità per l’Energia non fissa quanto sarà riconosciuto per il prossimo periodo 2015–2018.
Inoltre, per la sua posizione e per la buona rete di gasdotti, l’Italia sarebbe potuta essere l’hub europeo per il gas liquefatto importato dal Medio Oriente, ma la feroce resistenza di enti locali e associazioni varie ha fatto tramontare la possibilità di impiantare quei rigassificatori (ne abbiamo solo due e piccoli) che ci avrebbero permesso non solo di risolvere o comunque alleviare enormemente i problemi del Sistema Italia, ma di diventare a nostra volta fornitori dell’Europa attraverso le nostre reti.
Come abbiamo detto in altra sede, chi ha compreso da tempo l’importanza di tali infrastrutture è la Spagna, che di rigassificatori (e grandi) ne ha già sei con il 36% delle potenzialità di rigassificazione dell’intera Europa e un settimo che sta per entrare in funzione; per questo non è toccata da questa crisi che anzi incrementa i suoi affari: già quest’anno ha fornito cinque Gmc alla Francia che l’anno prossimo diverranno almeno sette, ed solo l’inizio, perché con quelle infrastrutture diverrà lo snodo fra il mercato mondiale del gas liquefatto e un Europa assetata d’energia. Appunto quello che avrebbe dovuto essere l’Italia, che rischia invece di rimanere al buio.