I rifugiati in Europa, la tragedia dei nuovi desaparecidos
La tragedia umana di molti rifugiati e migranti, tra cui molti bambini, che in questi anni sono scomparsi nel territorio europeo o nel loro cammino verso il Vecchio Continente, è universalmente riconosciuta. Sono in molti, come Enrico Calamai, ex vice console in Argentina al tempo dei militari, a chiamarli i nuovi desaparecidos, facendo riferimento alla tragedia dei desaparecidos argentini: “Sono come noi nell’era della dittatura. I loro figli e mariti hanno lasciato la casa e non sono più tornati. Sono i nuovi scomparsi”.
Come Mohammed figlio di una coppia di tunisini, Samir y Maharsiya Raoaufi, di 58 e 55 anni, che lo cercano dopo la sua scomparsa, quando, dopo aver attraversato il Mar Mediterraneo, è arrivato in Italia nel 2011, e poi scomparso senza lasciare traccia.
La coppia, insieme ad un centinaio di altre persone, sono a Torre Argentina, a Roma, dove ogni giovedì, da oltre un mese, i rappresentanti di oltre 30 associazioni umanitarie, amici e parenti di migranti dispersi manifestano per aumentare la consapevolezza del fenomeno. Si tengono manifestazioni simili anche a Torino, Milano, Palermo e Messina.
Al grido “Basta stragi – migrare per vivere e non per morire”, la marcia del giovedì, come quella delle madri di Plaza de Mayo a Buenos Aires chiede verità e giustizia.
Non ci sono studi definitivi sul numero di migranti e rifugiati, scomparsi in questi ultimi anni. Le circostanze delle sparizioni sono molto difficili da ricostruire. In alcuni casi non si è trovato il corpo, in altri, il corpo non è stato ancora identificato. In altri, i parenti dicono che la persona è arrivata sana e salva in Italia, ma da allora non ha più dato segni di vita. E, naturalmente, frequenti sono i casi di coloro che non identificati muoiono annegati nel Mediterraneo e i cui resti sono vittime dei grandi predatori marini.
Mentre la Ue chiede conto all’Italia della “sparizione” di 6omila migranti, che risultano ufficialmente entrati in Italia nei primi sette mesi di quest’anno, di cui non c’è traccia sui registri di identificazione, l’Italia ha risposto che da due anni, dopo i naufragi terribili dell’ottobre 2013, continua il suo tentativo di dare almeno un nome ai morti e che il compito è stato assegnato all’Ufficio del commissario Straordinario per le persone scomparse, Vittorio Piscitelli.
In Italia, “le ragioni umanitarie ed etiche, oltre che un sentimento di pietà per i morti hanno portato a dare po’ di pace alle famiglie”, ha spiegato in un’intervista lo stesso commissario del ministero degli Interni italiano, che ha fatto riferimento ad un lavoro travolgente con pochissime risorse.
Secondo la XIII Relazione 2015 del Commissario straordinario per le persone scomparse, pubblicata nel mese di giugno, secondo i dati ci sono stati 1.421 morti nelle mani delle autorità e non ancora identificate, di cui la metà sono stranieri morti in naufragi, i dati si aggiungono ad un elenco che comprende quasi 7mila stranieri iscritti come mancanti che non sono riapparsi tra il 2014 e il 2015.
Un caso a parte riguarda il mistero dei 501 tunisini, caso che coinvolge la famiglia Raoaufi, Mohammed, scomparso nel 2011, quando aveva 18 anni, non è l’unico di quella nazionalità scomparso vivo. Secondo le denunce presentate dai parenti consegnate dall’Ambasciata tunisina all’ufficio in Italia di Piscitelli, ci sono altri 500 come lui. “Non si ha ancora notizia della scomparsa di 501 cittadini tunisini”, risponde la relazione auspicando un Tavolo ad hoc e meccanismi di identificazione informatizzati.
Intanto Samir, il padre di Mohammed, in attesa del tavolo ad hoc dichiara: “Diciotto mesi fa, siamo venuti in Italia per cercarlo. Prima di tornare in Tunisia, almeno, dateci il suo corpo”, con la disperazione negli occhi di chi rimane in Italia solo grazie al denaro inviato dai figli espatriati in Francia e nel Regno Unito.
Ancora più inquietante, se possibile, sono i bambini scomparsi. Secondo una recente denuncia presentata a Roma nei primi mesi del 2015, sono scomparsi da questa città 2.047 bambini stranieri, per lo più egiziani. “Questi bambini rischiano di finire sotto sfruttamento (lavoro nero, prostituzione, abuso sessuale, traffico d’organi)”, afferma una nota ufficiale inviata al Comune di Roma, che, per ora, è una delle poche testimonianze rese pubbliche dalle autorità italiane su questo caso.
Naturalmente il fenomeno delle sparizioni di migranti non si limita all’Italia, quante famiglie sono state spezzate nella rotta dei Balcani, in Croazia o in Serbia, quanti migranti disperati cercavano loro congiunti nella stazione ferroviaria di Vienna?
Ma comunque, non vi è alcun coordinamento tra le autorità europee nella ricerca e nella identificazione dei migranti dispersi. “Non abbiamo alcun contatto con la polizia greca, anche se al largo della costa greca sono morti in molti”, riconoscono i funzionari del ministero dell’Interno.
Un numero infinito di morti e scomparsi. Secondo Fortress Europe, l’unica organizzazione che da 14 anni in questa terribile contabilità conta più di 22mila persone che hanno navigato nel Mediterraneo e poi non hanno più dato segni di vita. Nessuno, però, sa quantificare quanti siano quelli caduti prima di raggiungere la sponda sud del Mare Nostrum o nei percorsi che da est portano in Europa.
Da qui l’Onu considera questo mare “il confine più pericoloso del mondo”, comprendendo, naturalmente, anche quelli che muoiono lungo le coste della Grecia, Malta e, in misura minore, in Spagna.
Quante nonne e madri mediorientali o africane insieme alle nonne argentine di Plaza de Mayo piangono i loro cari desaparecidos?