I pericoli e le insidie della storia patriottica
Si dice che la guerra sia un business troppo serio per essere lasciato ai soldati. Per lo stesso motivo, la storia militare è troppo seria per essere lasciata ai politici. Quando i politici pontificano sul passato raramente è ricerca disinteressata di una verità complessa.
I Paesi europei che si preparano a commemorare il centenario dello scoppio della prima guerra mondiale continuano a tenere alta la macchina da guerra e i suoi accoliti nell’elites politica e dei media, sventolando la bandiera insanguinata per la guerra e sferzando quanti denunciano il bagno di sangue di un conflitto combattuto nell’interesse di forze avide e potenti.
E’ il caso del Segretario di Stato per l’educazione del Regno Unito, Michael Gove, il quale critica storici e programmi televisivi che – a suo parere – denigrano il patriottismo e il coraggio raffigurando gli orrori della guerra come “un caos illegittimo”. In particolare Gove attacca i miti della sinistra sulla Prima Guerra Mondiale che sminuiscono la Gran Bretagna e deselezionano la colpa della Germania, sostenendo che si trattava in realtà di una “guerra giusta”, una guerra patriottica in difesa della patria e della libertà, una guerra forzata in Gran Bretagna da “obiettivi espansionistici di una guerra aggressiva” della Germania imperialista. Il soldato britannico, secondo Gove, è andato in guerra nel 1914 per difendere “l’ordine liberale occidentale”.
L’articolo di Gove, uscito a gennaio sul Daily Mail, ha provocato una raffica di reazioni ed è stato visto come “un classico esempio di una ristretta nazionalista versione paraocchi della storia”.
Uno dei più feroci contrattacchi è stato sferrato dal giornalista di sinistra Seamus Milne che su The Guardian parla della Prima guerra mondiale come di “una bagno di sangue che è un avvertimento, non una causa nobile”, respingendo le affermazioni di Gove sulla guerra come “sicurezza assurda”. Secondo Milne “E’ stata una carneficina industriale selvaggia, perpetrata da una banda di potenze imperialiste predatrici, bloccate in una lotta mortale per catturare e spartirsi territori, mercati e risorse”.
Se per Michael Gove i tedeschi erano cattivi e i soldati inglesi erano gli eroi, se nella visione marxista di Milne, nessuna delle potenze imperialiste nella catastrofe del 1914-18 era innocente o pacifica, come si comporterà l’Italia nelle varie commemorazioni della Prima Guerra Mondiale, il cui programma avrà la durata di cinque anni e dei costi elevatissimi, considerata la sua situazione attuale socioeconomica? Sarà la ricerca oggettiva della verità o un’agenda politica a guidarla?
“Gli storici che sfidano l’ortodossia regnante sono pericolosi per l’establishment politico del giorno. Compito dello storico non è quello di contrafforte di narrazioni nazionaliste, ma di sottoporre le richieste di entrambe le parti a un esame rigoroso, alla luce di tutte le prove disponibili e scartare quelle nozioni, ma profondamente care, che non resistono a tali controlli. Infatti, è dovere dello storico di tenere uno specchio per la società, per trasmettere le verità scomode a casa , e di dire la verità al potere. Da un punto di vista educativo, il ruolo sovversivo della storia è dunque di suprema importanza”.
A sostenerlo è Avi Shlaim in un articolo dal titolo “The perils and pitfalls of patriotic history” uscito il 7 febbraio, uno degli storici revisionisti israeliani, i “nuovi storici”, che insieme a Ilan Pappé e Benny Morris, utilizzando documenti ufficiali rilasciati sotto il regime trentennale di Israele, hanno ri-esaminato molti dei miti che sono venuti a circondare la nascita dello stato di Israele e le sue politiche post- indipendenza nei confronti dei suoi vicini.
“Abbiamo assegnato a Israele un livello molto più elevato di responsabilità rispetto a quanto generalmente accettato nel provocare, in escalation, e perpetuare il conflitto in Medio Oriente e abbiamo confutato l’idea che tutte le guerre di Israele sono state guerre difensive” ha scritto Avi Shlaim, che ha visto negli attacchi di Gove agli accademici di sinistra gli stessi attacchi ricevuti dai “nuovi storici israeliani” diffamati come traditori che deliberatamene privavano i giovani israeliani di orgoglio per il loro paese e di fiducia nella giustizia della loro causa.
La “nuova storiografia israeliana” è vista come “completamente sovversiva”, rischiando di incidere sull’insegnamento nelle scuole superiori israeliane, – continua l’articolo di Avi Ahlaim – perché i politici sono turbati dal dibattito sul 1948, sulla responsabilità di Israele nella Nakba, che ha trasformato oltre 700mila palestinesi in rifugiati e dagli altri temi trattati. “La prova che Israele ha giocato un ruolo attivo nella creazione del problema dei rifugiati ha comportato responsabilità per risolverlo, una responsabilità che Israele continua a negare fino ad oggi. Ilan Pappé ha dimostrato che l’obiettivo della Gran Bretagna, nel crepuscolo del mandato in Palestina, era quello di interrompere la nascita di uno Stato palestinese non, come la storiografia sionista sostiene, di impedire la nascita dello stato ebraico”.
“La nostra conclusione è stata che la ricerca della pace in Medio Oriente è stata frustrata più da Israele che dalla intransigenza araba. Un’altra vacca sacra è stata macellata. L’effetto cumulativo di tutti i nostri libri era di minare la versione popolare-eroico-moralistica della prima guerra arabo-israeliana che è stata insegnata nelle scuole israeliane”, sostiene Avi Shlaim.
Spesso l’establishment politico rimane irremovibile nel rifiutare le nuove interpretazioni storiche, in Israele, nel Regno Unito come in Italia, che ancora mantiene una storia sbagliata dal Risorgimento in poi, ricca di stereotipi, imprecisioni e distorsioni di una storiografia nazionalista parziale e partigiana, di una Storia ridotta a “Instrumentum Belli”, quasi a voler tenere sempre attivo il funzionamento del sistema bellico, senza mai delegittimarlo grazie ai grandi interessi che la guerra procura al mercato nazionale e internazionale, costi quello che costi in termini di sangue e di vite umane.