I “numeri” di Grillo
Gli esperti della comunicazione politica sanno che per muovere l’elettorato bisogna che prima si muovano le emozioni. Se questa regola era valida già ai tempi della prima Repubblica, oggi è valida una volta di più. L’epoca digitale, del resto, ha influito enormemente sulle nostre abitudini, finendo per farci privilegiare l’apprendimento superficiale delle cose agli approfondimenti. I contenuti politici che attecchiscono sull’opinione pubblica sono diventati sempre più brevi e preferibilmente sensazionalistici. A misura di Twitter e di Facebook insomma.
I recenti risultati delle urne confermano che chi ha saputo interpretare e cavalcare questa svolta storica ne ha tratto enormi vantaggi, quantificabili così: 25,55% di preferenze alla Camera e 23,79% al Senato. Tali le percentuali che hanno fatto del Movimento 5 Stelle il partito (o movimento, che dir si voglia) più votato d’Italia. Un risultato inatteso, che sta già scompigliando il mondo politico. Un risultato che Casaleggio e Grillo hanno saputo ricavare dalla pancia degli italiani, luogo gravido d’insofferenze ed esasperazioni che non attendevano altro che tradursi in un voto di cambiamento, di protesta, persino di collera.
Pertanto la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle si è contraddistinta per l’incontinenza dialettica di un comico molto bravo nel suo ruolo d’intrattenitore, sempre in vena di dileggio e irriverenza. Il suo continuo attacco frontale nei confronti della “casta” ha pagato, così come la proposta di un programma politico assai carico, infiorettato ed allettante. Un programma che in molti hanno definito, con disprezzo, populista.
Lotta serrata contro imposte come Imu e Irap, contro i tagli alle pensioni, alla sanità e alla scuola pubblica. Questi i punti salienti del programma, rievocati con fermezza da Grillo non appena ufficializzati i dati delle urne. Propositi che sollecitano le emozioni del popolo, ma la cui realizzazione resta una chimera. Facendo qualche calcolo, se ne capisce il perché.
Primo punto, l’Imu. Togliere la tassa sulla prima casa avrebbe un costo di 4 miliardi all’anno (tanto ha incassato il governo Monti a dicembre da questa discussa imposta). Poi l’abolizione dell’Irap, definito un gesto necessario per rilanciare le imprese, ma che equivarrebbe a una spesa di 33 miliardi. Via inoltre i tagli alla scuola, con una spesa di 7,8 miliardi, e alla sanità, con una spesa di altri 30 miliardi. Infine, l’abolizione della riforma Fornero sulle pensioni, la quale si calcola che al 2020 porterebbe un risparmio di 22 miliardi per le casse dello Stato. Soltanto questi tagli richiederebbero un costo complessiva di 96,8 miliardi. In che modo il Movimento 5 Stelle pensa di recuperarli? Effettuando riduzioni di spesa, ripetono ossessivamente i grillini sui loro blog.
Se si guarda, tuttavia, alle fonti ipotetiche di queste riduzioni di spesa pubblica, non se ne ricava un granché. L’abolizione dei rimborsi elettorali, la stella più scintillante tra le cinque del Movimento, porterebbe 91 milioni di euro l’anno. La soppressione delle province, licenziamento dei dipendenti escluso, frutterebbe un massimo di due miliardi di introiti. Inoltre, l’istanza che sa più di velleità che di proposta attuabile da parte di un Paese impegnato da accordi internazionali, ossia l’azzeramento delle spese militari, consentirebbe un risparmio di 20 miliardi. Se si aggiunge, infine, la più bizzarra delle idee grilline, il blocco dei finanziamenti all’istruzione privata, il ricavo sarebbe di 353 milioni di euro. Un ricavo, quest’ultimo, solo apparente, giacché recenti studi hanno evidenziato che le scuole paritarie consentono allo Stato di risparmiare 6 milioni di euro all’anno (1).
Tirando le somme, si evince chiaramente che l’ammontare dei risparmi sarebbe fin troppo scarno per consentire di compensare le spese scaturite dalle varie abolizioni ipotizzate. Se a queste si aggiunge, poi, la suggestiva proposta di un reddito di cittadinanza (così definito da Grillo, ma che in realtà è un reddito minimo garantito) tra gli 800 e i mille euro al mese, la questione sarebbe ancora più sconclusionata. Grillo, per appianarla, propone un tetto alle pensioni d’oro; il quale, tuttavia, stando ai dati Inps, farebbe risparmiare allo Stato non più di 4 miliardi. Un’inezia, considerando che gli economisti Boeri e Perotti stimano che già un reddito minimo garantito di 500 euro (dunque inferiore alle cifre decantate dal Movimento 5 Stelle) avrebbe un costo tra gli 8 e i 10 miliardi di euro (2).
Da questo quadro emergono tre cose. La prima è la più banale, ossia che il programma di Grillo fa acqua da tutte le parti; la seconda è che la sua strategia in campagna elettorale di glissare le domande ed evitare il contraddittorio con gli avversari l’ha premiato; la terza è che laddove i contenuti emotivi prevalgono sui ragionamenti, la civiltà europea è messa in pericolo. Un volta di più di quanto non lo sia già per tanti altri motivi.
(1) http://www.ilgiornale.it/news/scuola-paritaria-permette-risparmio-sei-milioni-euro.html
(2) http://www.lavoce.info/reddito-di-cittadinanza-e-reddito-minimo-garantito/