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I marò e il “caso Torres”, l’Italia obbedisce a Caino?

di Federico Cenci

Se è primaria funzione di uno Stato garantire diritti e sicurezza ai propri cittadini, anche quando si trovano al di là dei confini nazionali, nella vicenda dei due marò Latorre e Girone, l’Italia ha dimostrato gravissime lacune in tal senso. Se oltre a questa funzione, si aggiunge anche il dovere a tener fede alle proprie leggi, allora le lacune dell’Italia si ingigantiscono ulteriormente.

Veniamo ai noti fatti. L’Italia, con improvvida tempestività, ha deciso di riconsegnare i nostri due fucilieri alle autorità indiane. Questo, dopo che lo scorso 12 marzo, destando grande stupore, il ministro degli Esteri Terzi aveva annunciato solennemente: “I marò restano in Italia, l’India ha violato il diritto internazionale”. Un repentino cambio di atteggiamento dunque, che ha fatto rievocare da molti il misfatto dell’8 settembre ‘43, sino a portare lo stesso Terzi, martedì scorso, a rassegnare le dimissioni da ministro.

Dalla cagnara mediatica ingenerata, emergono elementi di disappunto e di sconcerto tra i più vari. Una delle maggiori colpe che si attribuiscono al Governo italiano è l’atteggiamento approssimativo circa le rassicurazioni che l’India avrebbe fornito sull’ipotesi che venga comminata la pena di morte ai nostri due connazionali. A margine della decisione di far risalire Latorre e Girone su un aereo destinazione Nuova Delhi, le autorità italiane si erano affrettate ad annunciare che l’ennesimo ripensamento era subordinato a una garanzia da parte indiana: i due marò non verranno condannati a morte. Non appena ripartito l’aereo, però, proprio dal Paese asiatico giungevano parole pesanti come una cocente smentita. A pronunciarle, Ashwani Kumar, ministro della Giustizia indiano: “Come può il potere esecutivo dare garanzie sulla sentenza di un tribunale?”. Una lezione di democrazia in salsa indiana che tinge di un colore ancora più ridicolo il volto della diplomazia italiana, facendo risaltare, tra l’altro, la scarsa cura da parte del nostro Paese a farsi concreto interprete del rigore legislativo in materia di estradizione.

È previsto l’impegno dell’Italia, infatti, a non estradare nessuna persona verso Paesi che applicano la pena di morte a meno che il Paese richiedente non fornisca garanzie non solo formali, ma “assolute” che nel caso in questione la pena di morte non verrà utilizzata. Ora, non è dato sapere se le rassicurazioni scritte che, stando alle parole del sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura, le autorità indiane avrebbero inviato all’Italia circa il processo ai due marò possano valere come garanzie “assolute”. Certo è che l’intervento di Ashwani Kumar pone più di un preoccupante interrogativo.

C’è poi una curiosa coincidenza. Scherzi del destino, proprio in questi giorni l’Italia si trova a dover districare un’altra matassa assai ingarbugliata relativa allo stesso tema. L’agenzia americana “Reading Eagle” ha diffuso lo scorso 22 marzo un dispaccio in cui rivela che una fonte anonima del Dipartimento di Stato Usa avrebbe dichiarato che l’Italia potrebbe essere intenzionata ad espellere presto verso gli Usa Miguel Torres, senza seguire la normale procedura d’estradizione. Torres è un cittadino americano d’origine ispanica che il 15 marzo è stato arrestato dai carabinieri a Bologna, dove viveva da anni, per via d’informazioni giunte dalle forze dell’ordine statunitensi. Su di lui, in patria, pende l’accusa di aver ucciso, nel 2005, la moglie. Da allora Torres è sempre stato latitante.

Né le autorità italiane, né il Dipartimento di giustizia americano si sono ancora pronunciati ufficialmente sulla questione. Torres, almeno per il momento, resta detenuto in Italia. Tuttavia, in ragione delle rivelazioni di “Reading Eagle”, l’ipotesi che venga presto estradato oltreoceano rimane in piedi. Se così fosse, al contrario, in piedi non rimarrebbe l’Italia, bensì prona – anche stavolta – al cospetto delle richieste, benché incompatibili con quanto prevede la nostra legge in materia di estradizione, del Paese straniero di turno.

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