I cristiani siriani insorgono contro chi vuole armare i ribelli: “Padre Dall’Oglio non è il nostro portavoce”
In Siria le terribili cifre causate dal conflitto si dilatano esponenzialmente di giorno in giorno. In ormai 27 mesi dall’inizio delle ostilità, si parla di un numero di morti tra i 90 e i 100mila, di milioni di rifugiati e di danni inestimabili all’assai prestigioso patrimonio storico-artistico del Paese (1). C’è poi un altro patrimonio di cui è atavica portatrice la Siria che si sta miseramente sgretolando. È il crogiolo etnico e religioso che da sempre affascina i turisti, un modello di società tollerante e allo stesso tempo identitaria che affonda le proprie radici nella storia del Medio oriente. Ora, le costanti incursioni di gruppi islamisti – ormai radicati tra le file dei “ribelli” – insidiano la sopravvivenza delle diverse comunità cristiane. Sono loro che stanno pagando uno dei prezzi più alti di questo stillicidio infame che sembra non aver mai fine.
Una volta di più per via del coinvolgimento diretto dei cristiani, le Chiese presenti con propri fedeli in Siria hanno espresso una posizione inequivocabile, fondata sull’invocazione del dialogo tra le parti in causa e sulla categorica opposizione all’invio di armi ai “ribelli”. Lo scorso 5 giugno Papa Francesco, nel corso dell’udienza ai partecipanti dell’incontro di coordinamento tra gli organismi caritativi cattolici che operano nel contesto della crisi siriana, ha chiesto con forza «che tacciano le armi». Giovedì 20 giugno gli ha fatto eco monsignor Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, il quale ai microfoni di Radio Vaticana ha valutato negativamente la proposta di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia di rifornire di armi i guerriglieri che combattono Assad. «Dal nostro punto di vista cristiano – ha affermato il presule – è l’opposto di quello che noi ci auguriamo». Secondo l’arcivescovo, infatti, occorre«piuttosto cercare di arrivare ad un disarmo degli uni e degli altri». Armare i “ribelli”, invece, «potrebbe complicare le cose!».
Pace e non guerra. Dialogo piuttosto che zizzania. Anche all’interno della Chiesa, però, c’è chi stecca a questo coro dai richiami evangelici rivolto alla comunità internazionale. Si tratta di padre Paolo Dall’Oglio, un gesuita italiano fondatore della comunità di Mar Musa, in Siria, espulso mesi fa dal governo di Assad. Dall’Oglio, figura molto conosciuta tra i cristiani di Siria, è oggi finito al centro di una rovente polemica a causa di alcune dichiarazioni rilasciate all’emittente Radio 24. «Gli italiani chiedano di prendere una posizione chiara e forte sulla necessità di offrire al popolo siriano la possibilità di difendersi concretamente e militarmente dal regime Assad», ha detto il gesuita. Che ha poi proseguito:«È un anno e mezzo che parliamo della necessità morale o di un intervento diretto come avvenuto in Libia o indiretto, con la scelta di dare le armi giuste per bloccare il bombardamento sistematico del regime siriano, che è un regime mafioso».
Le sue parole non hanno lasciato indifferenti le centinaia di migliaia di cristiani che strenuamente resistono in Siria malgrado le crudeltà cui sono sottoposti dalle orde islamiste. Il portale “Ora Pro Siria”, che segue in modo puntuale il calvario della Siria e dei cristiani specialmente, ha raccolto e pubblicato alcune lettere scritte di pugno da cristiani che si sono sentiti traditi e offesi dal gesuita conosciuto per l’attività svolta in più di trent’anni nel loro Paese.
«Secondo me, e secondo tanti altri siriani, in particolare i Cristiani della Siria, non sei più un uomo di Dio – scrive un uomo, di nome Samaan Daoud, riferendosi a padre Dall’Oglio -. Perché stai cercando la tua gloria terrena, non altro. Perché hai cambiato la tua vocazione da uomo di pace, ad un uomo che chiama alla guerra. Perché invece di cercare di trovare una soluzione pacifica della crisi siriana, hai iniziato a concentrarti ed a mettere tutta la tua energia per portare l’intervento Nato ed armare i ribelli che tu chiami Partigiani, perché i cannibali sono diventati partigiani, secondo te». La lettera, dai contenuti forti, si conclude con un appello e una domanda pungente: «Paolo, ti prego: Abbi pietà del popolo siriano, particolarmente dei cristiani rimasti, e non commerciare col loro sangue, perché noi non ti abbiamo nominato delegato o portavoce dei cristiani della Siria». «Ascolta – scrive infine Samaan Daoud – la tua coscienza cristiana che chiama all’amore e alla pace. Tieniti lontano dalle idee jihadiste estremiste, e lascia i salafiti e i Fratelli musulmani… O vorresti essere uno di loro?».
Quest’ultima domanda può apparire soltanto come una graffiante provocazione nei confronti del prelato. Ma se si dà uno sguardo ad alcune sue affermazioni rilasciate poco più di un mese fa, l’interrogativo assume piuttosto i contorni di una domanda retorica. Dolorosamente retorica (2).
(1)http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/monumenti-a-rischio-in-siria.aspx
(2) Dall’Oglio afferma, a proposito di jihadismo: «Il jihadismo è il fatto di prendere le armi per ristabilire la giustizia. È la guerra santa islamista. Ci sono islamisti democratici e jihadisti democratici, così come ci sono jihadisti estremisti, radicali, clandestini, criminali, in rapporto con i servizi segreti siriani e con le mafie dei narcotrafficanti». Dei combattenti di al Qaeda dice: «Sottolineo che sono fratelli e sorelle in umanità. Nei miei dialoghi con loro, ho riconosciuto degli uomini e delle donne che hanno una passione religiosa, un sentimento religioso che condivido. Sono persone impegnate ma innamorate di giustizia».(http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201305/130507dallogliolindell.pdf)