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Hormuz, alla scoperta dell’Iran

A lambire una parte della costa meridionale dell’Iran, c’è lo Stretto di Hormuz, un braccio di mare lungo 60 km e largo 30, che separa la Penisola Arabica dall’Iran e divide il Golfo Persico dal Golfo d’Oman.
Questo stretto, di strategica importanza in quanto controlla il traffico di petrolio che transita verso e fuori dal golfo, bagna Iran, Oman ed Emirati Arabi Uniti. Un tempo preda di pirati, secondo gli ultimi dati forniti dall’agenzia americana Energy Information Administration da qui passa ogni giorno il 30% del petrolio trasportato via mare in tutto il mondo.

Il traffico commerciale è gestito secondo gli accordi stipulati nel 1975 tra Iran e Oman.
Perla dello stretto è l’omonima isoletta (pronunciata anche Harmuz, Hormuz, Hurmuz, Ormus), meta di celebri viaggiatori, quali Marco Polo e Ibn Battuta che la visitarono due volte, il francescano Odorico, Jean Aubin, ‘Abd-al-Razzaq Samarqandi (nel 1442), Afanasy Nikitine (nel 1472 circa, viaggiatore russo), Abbe Guillaume Thomas François Raynal (1713-1796, citato da A. W. Stiffe ne “L’isola di Hormuz”). I Greci la chiamavano Organa e nel periodo islamico era nota come Jarun.

L’isola è una delle tre circoscrizioni della provincia di Qeshm, nella regione iraniana Hormozgan, e si trova a 5 miglia dalla costa, corrispondenti a circa 8 km.
Con i suoi 7-8 km di diametro, presenta un’estensione complessiva di 42 km2, mentre il punto più in alto si trova a 186 m sul livello del mare. È un territorio prevalentemente collinoso e arido, tanto che l’acqua potabile arriva dal continente tramite un acquedotto, e la vegetazione autoctona – praticamente inesistente – è stata rimpiazzata da mangrovie della specie Avicennia marina. Coperta da rocce sedimentarie e strati di materiali vulcanici, l’isola quasi non conosce precipitazioni, quindi la terra e l’acqua sono molto salate.

La Jazireh-ye Hormuz era rinomata già nel Medioevo, quando, come abbiamo accennato sopra, il veneziano Marco Polo vi si recò. Durante gli attacchi dei Mongoli e dei Turchi del 1300 circa, la capitale e residenza del principato fu spostata dalla Vecchia Hormuz (sulla terraferma, poi andata in rovina) alla Nuova Hormuz, costruita appositamente sull’isola: a causa del clima poteva non essere la sede ideale, ma nello stesso tempo garantiva maggiore sicurezza, in quanto difficile da attaccare; una volta conclusi gli attriti con gli Ilkhanidi, la capitale iniziale riottenne il suo ruolo. Nel 15° secolo fu visitata dalla flotta cinese di Zheng He e nel 1507 fu presa dal portoghese Alfonso de Albuquerque. Dal 1515 al 1622 fece parte dell’impero portoghese, che vi costruì un castello- fortezza in pietra rossa, su un promontorio, nella parte occidentale dell’isola; ancora oggi ciò che ne rimane è meta turistica, un tempo isolata attraverso un fossato di cui si intravedono adesso solo alcune parti.

Nel 1622 un’armata anglo-persiana riprese possesso di Hormuz. In seguito, Shah Abbas I era diffidente nei confronti della popolazione locale e non gli interessava lo sviluppo economico dell’isola, allora dedicò le sue attenzioni più a Bandar Abbas, attuale capoluogo della regione Hormuzgan. Tra il 1798 e il 1868 Hormuz vide l’amministrazione dell’Oman, ma era ormai abitata soltanto da pescatori, mentre perdeva di importanza. Solo negli ultimi anni del 20° secolo tornò a rifiorire, seppur si trattasse ancora di germogli.
Attualmente la zona dell’isola maggiormente popolata è il nord, con l’omonima città di Hormuz: gli ultimi dati ufficiali risalgono al 2006 e contavano 5699 abitanti. L’economia si basa sulla vendita di terreno coltivabile ai Paesi arabi circostanti; un’altra attrazione è il Museo e Galleria d’Arte del dottor Ahmad Nadalian.

Preziose sono le testimonianze dei viaggiatori che, nel corso della storia, ci hanno fornito una panoramica sulla vita del tempo. Aubin, ad esempio, a pagina 150 del suo “Le royaume d’Ormuz”, asserì che Hormuz raggiunse i 50mila abitanti nel momento culmine del suo potere commerciale.
Il frate italiano Odorico scrisse: “Ormes, una città solidamente fortificata (…) era situata su un’isola distante 5 miglia dal continente (…) visitata più di una volta da Ibn Battuta (…) era una città grande e raffinata che spuntava dal mare, e fungeva da mercato per tutti i prodotti indiani, distribuiti da qui in tutta la Persia. Le colline sull’isola erano di salgemma, da cui erano scolpiti vasi e piedistalli per le fonti di illuminazione”.

Abdurrazzak, l’inviato del re Rukh, aveva organizzato un viaggio fino alla corte indù di Vijayanagar, e nel 1442 si trovava a Hormuz; la descrisse come un mercato unico nel suo genere, frequentato da mercanti di tutti i Paesi dell’Asia, tra cui elencò Cina, Giava, Bengala, Tenasserim, Shahr-i-nao e le Maldive.

Ibn Battuta visitò Nuova Hormuz nel 1331-32 e poi nel 1347: “Siamo venuti a Nuova Hormuz, che è un’isola la cui città è chiamata Jarawn. Si tratta di una bellissima ed estesa città, con maestosi bazar, dal momento che è il porto dell’India e del Sind, da cui le merci indiane sono esportate ai due Iraq, Fars e Khorasan. È in questa città che risiede il sultano, e l’isola in cui è situata è estesa quanto il cammino di un giorno. La maggior parte delle sue acque salate e colline di sale, sono chiamate di ‘sale darabi’; con questo producono a mano recipienti ornamentali e piedistalli su cui stabiliscono illuminazioni. La loro alimentazione consiste in pesce e datteri secchi esportati da al-Basra e dall’Oman. Dicono nella loro lingua ‘khurma va mahi luti padishdni’, che significa ‘datteri e pesce sono un piatto regale’. Su quest’isola l’acqua è un bene costoso; ha sorgenti d’acqua e cisterne artificiali in cui si raduna l’acqua piovana, un po’ fuori dalla città. Gli abitanti si recano lì con borracce, che riempiono e portano sulla schiena fino al mare, le caricano sulle imbarcazioni, e le portano in città”.

di Anastasia Maniglio

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