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La “Grande Diga” in Etiopia e la caduta di Morsi in Egitto: qualche collegamento?

di Cristina Amoroso

“L’Egitto è un dono del Nilo e il Nilo è stato donato all’Egitto”, aveva dichiarato Mohamed Morsi, in un appassionato intervento televisivo, il 10 giugno scorso, aggiungendo: “Le vite degli egiziani sono strettamente connesse con il fiume. Se viene a mancare anche una sola goccia, il sangue sarà l’alternativa”, e qualche giorno dopo, al culmine di un’escalation che invocava l’intervento armato contro l’Etiopia aveva affermato: “Nessuna guerra sulla diga sul Nilo, ma non lasceremo che la sicurezza delle acque del fiume sia minacciata”.

La “Grande Diga della Rinascita” che Addis Abeba da tempo vuole costruire sul Nilo azzurro, il grande affluente, insieme al Nilo Bianco, del fiume sacro, è l’oggetto della contesa.

Un mese prima era salita la tensione tra i due Paesi, quando i costruttori italiani e il governo di Addis Abeba, bruciando i tempi, non erano stati ai patti e avevano avviato i lavori, dopo avere  garantito a più riprese che il piano prevedeva solo una leggera deviazione del fiume, senza conseguenze per l’Egitto e avevano concordato di discutere della diga e delle sue conseguenze prima dell’avvio dei lavori insieme anche al Sudan, legato all’Egitto da un accordo sulla spartizione delle acque del Nilo fin dal 1959.

Mercoledì 3 luglio i militari egiziani comunicano ufficialmente a Mohamed Morsi che non è più presidente e capo dello Stato. E’ il golpe militare. Il generale Abdel Fattah Al Sisi annuncia la road map che prevede un breve periodo di transizione seguito da elezioni presidenziali e legislative.

Nel “breve periodo di transizione”, in attesa delle elezioni, previste per febbraio, continuano gli scontri tra esercito e sostenitori di Morsi, mentre cambia la politica estera, dai rapporti con gli Stati Uniti alla gestione del valico di Rafah, dalle trattative per il prestito del Fondo monetario internazionale ai finanziamenti dal Qatar, e alle relazioni bilaterali con l’Etiopia.

Sta di fatto che non ci sono più intoppi: possono iniziare i lavori per la “Grande Diga della Rinascita” con finanziamenti cinesi, e soldi ricevuti anche dalla Banca europea. A farne le spese l’Egitto, che dal Nilo Azzurro riceve il limo per l’agricoltura e che è già sotto quella che l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce “soglia della povertà idrica”, considerata anche l’espansione di anno in anno del deserto del Sahara.

Una società italiana (la Salini Impregilo) si è aggiudicata la commessa record di 33miliardi di euro, il più grande contratto mai siglato dall’industria italiana all’estero per la costruzione della più grande diga del continente africano, un mega impianto idroelettrico, denominato Millennium Hydroelectric Project, commissionato dal governo etiopico tramite la Ethiopian Electric Power Corporation, costituito da una centrale progettata per una potenza installata di 5250 MW che entrerà in funzione a partire dal settembre 2014. L’impianto aumenterà la potenza idroelettrica disponibile in Etiopia fino a 10.000 MW entro il 2017. La posa per la prima pietra è prevista per sabato 2 aprile alla presenza del premier etiope, Meles Zenawi; il ministro dell’Energia, Alemayehu Tegenu; le massime autorità dell’Ethiopian Electric Power Corporation e l’amministratore delegato di Salini Costruttori, Pietro Salini.

Queste sono le parole del sito di Salini Costruttori, che ha dovuto aspettare la destituzione di Morsi, il primo presidente egiziano liberamente eletto, per procedere senza intoppi alla realizzazione del mega progetto con gli accordi favorevoli tra i due Paesi: “L’Egitto contribuirà assieme al governo dell’Etiopia alla costruzione della diga per favorire lo sviluppo del popolo etiope”, come ha dichiarato Mohamed Abdul Muttalib, il ministro egiziano per le Risorse Idriche e l’Irrigazione. Come si sentirà il 95% degli Egiziani che vivono lungo il Nilo quando la diga toglierà loro il limo e l’acqua?

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