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Grecia fuori dalla recessione, ma i bambini continuano a morire di fame

di Salvo Ardizzone

Venerdì scorso è stato annunciato con grande enfasi che la Grecia è uscita fuori dalla recessione: dopo sei anni scurissimi, fatti di tagli e macelleria sociale, il Pil è tornato a crescere, ma a che prezzo, e soprattutto, che significa? Sotto il tallone della Troika la disoccupazione è al 25% e quella giovanile al 50%, il sistema sociale s’è lacerato e i più deboli e vulnerabili sono abbandonati alla carità dei volontari. Ed è proprio l’infanzia ad essere più colpita: secondo un rapporto dell’Unicef dello scorso ottobre, la Grecia ha visto crescere la percentuale di indigenza dei minori fino al 40,5% e sono oltre che raddoppiate le famiglie che non riescono ad assicurare ai bambini un pasto decente almeno ogni due giorni.

È una spirale infernale che risucchia sempre pezzi di società, incapaci di soddisfare le più elementari esigenze materiali ed educative dei minori; in cui le nuove generazioni si vedono negate formazione di base e risorse per il loro futuro, ponendo tutti i presupposti per creare una generazione perduta, preda di miseria e di devianza. 

Ma ci sono conseguenze anche più disumane; il caso del centro per disabili di Lechaina, nel Peloponneso Occidentale, è emblematico e vale per tutti: ospita una settantina di pazienti, bambini o adolescenti abbandonati dalle famiglie incapaci di curarsi di loro; non c’è un medico in servizio stabile, solo un infermiere e un assistente per piano. Ma non è neanche questo il peggio; nella gran parte i piccoli pazienti, affetti da sindrome di Down o autistici, sono confinati in gabbie di legno, si, come piccoli animali che ricevono anche il pasto attraverso le sbarre. La direttrice, Gina Tsoukala, che non riceve stipendio da un anno, è consapevole che si tratta di una mostruosità, ma dice che molti di loro hanno tendenze autodistruttive o aggressive verso gli altri, e con un personale così limitato è impossibile controllarli. È una spaventosa regressione a epoche buie, a un passato quando alle disabilità si rispondeva con strumenti coercitivi e restrizioni delle più elementari libertà.

Il piano di aiuti della Ue scade a dicembre, quello del Fmi nel 2016, e il primo ministro conservatore Antonis Samaras può anche dichiarare che “la speranza è tornata, la Grecia è tornata” dopo i dati di venerdì scorso, ma tornata dove? A cosa sono serviti sei anni d’inferno? A distruggere una comunità, un intero Paese? A far esplodere più che mai le diseguaglianze fra chi sciala e chi non ha da mangiare né dove dormire? A far regredire una Nazione, portando fasce intere di popolazione sotto il livello minimo di sussistenza?

È questa la ricetta miracolosa di cui essere fieri? Far pagare i privilegi rimasti (e ne sono rimasti!) a chi è più debole e distruggere il resto?

Quello della Grecia è un esempio tragico che noi in Italia dovremmo tenere bene a mente, per comprendere dove portino le ricette ciniche e tossiche che parlano solo di un’ottusa austerità dettata da chi ne ha tutto l’interesse. È un esempio che dovrebbe gridare a tutti i Popoli cosa accade quando si cede agli altri la propria sovranità; quando si permette che gli interessi di terzi sovrastino i propri; che la convenienza di pochi prevalga sui diritti di tutti.    

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