La dura realtà dei prigionieri palestinesi
Pene individuali e altre collettive, oltraggio ai diritti fondamentali dei detenuti e arbitrarietà della giustizia israeliana hanno segnato un altro anno di lotta dei prigionieri palestinesi. Ritorsioni e incitamento con il supporto politico, quindi statale, sono l’obiettivo israeliano dietro queste pratiche.
Circa 7.000 prigionieri palestinesi sono distribuiti tra 23 prigioni e centri detentivi all’interno di Israele.
Dinamiche delle “detenzioni” di palestinesi.
Negligenza medica. Questa pratica ha fatto registrare il picco di casi di maltrattamenti sui detenuti. Aumenta il numero di prigionieri palestinesi sofferenti, numerosi nel 2015 sono stati arrestati in seguito al ferimento. I 35 palestinesi feriti con arma da fuoco arrestati da Israele hanno portato il numero dei detenuti che necessitano di cure mediche a 1.500. 95 hanno disabilità o paralisi di vario grado, 25 sono affetti da tumori.
L’ospedale di Ramle, dove di frequente vengono trasferiti i detenuti in cerca di cure mediche, è la struttura nel peggior stato sanitario. I detenuti palestinesi sofferenti vengono condotti qui costretti in celle a bordo di veicoli militari e non in ambulanze. Non ci sono medici specialisti come neurologi.
Nel 2015 tre detenuti palestinesi sono deceduti a causa di negligenza medica: Fadi Darby, Ja’far ‘Awwad e Ghassan Ar-Rimawi.
Incursioni in cella. 175 raid sono stati condotti nelle sezioni dei detenuti nel 2015. Per ordine del Dipartimento delle Carceri, Unità Speciali armate assaliscono e umiliano i detenuti. Quest’anno la direzione carceraria ha promosso una vasta campagna di aggressione alla persona dei detenuti, e materiale per mezzo della devastazione e della confisca dei loro beni. Non solo di effetti personali, ma i detenuti sono stati privati anche di viveri e acqua. E nel corso dell’anno è stata introdotta frequentemente l’interdizione all’accesso in mensa e la detenzione in isolamento. Rilevanti per frequenza e valore anche le sanzioni pecuniarie.
Nella maggioranza dei casi gli assalti avvengono nel corso della notte e “nessuna ragione di sicurezza” può giustificargli. Arrecare disturbo e umiliazione, vendicarsi e imporre forme di controllo psicofisico sui detenuti sono alla base di questi metodi prescelti da Israele.
Tra le misure punitive vi è pure quella di collocare i detenuti in penitenziari molto distanti dalle zone di residenza dei loro familiari per rendere difficile o impossibile il diritto di visita.
Israele non accetta l’introduzione dall’esterno di vestiario o di coperte per far fronte alle temperature invernali, ma pretende che i detenuti acquistino tutto dalla direzione carceraria. I parenti in attesa di fare visita ai detenuti restano per ore ammassati agli ingressi dei penitenziari.
Nel corso dell’Intifada Al-Quds, nell’autunno scorso, Israele ha inaugurato nuove sezioni per far fronte agli arresti di massa. L’Amministrazione carceraria ha esteso la prigione di Damon (femminile) Jafa’wn (minorile), chiuso ad un mese dall’apertura per trasferire i piccoli detenuti a ‘Ofer e Megiddo. Due altre sezioni sono state aperte nel carcere del Negev. Oltre ai centri detentivi principali, Israele ha messo a disposizione tutti i suoi centri di polizia nella regione.
Negazione del diritto di visita. Sono misure punitive di carattere collettivo e nel 2015 il diritto di visita è stato vietato a 2400 detenuti. Nessuna ragione di sicurezza e nessuna prova. Affianco alle detenzioni amministrative, questa violazione è alla base degli scioperi della fame dei detenuti.
Anche quando viene riconosciuto il diritto di visita, esso diventa un occasione (per Israele) di umiliazione e di punizione nei confronti dei palestinesi. I familiari diretti alle prigioni vengono ispezionati a fondo, donne comprese, e molti di essi vengono respinti per supposizioni legate ai permessi di visita.
Il 2015 ha fatto registrare un’impennata nel divieto delle visite, negazione protratta anche fino a tre mesi.
I prigionieri della Striscia di Gaza sono coloro ai quali Israele nega di ricevere visite da più lungo tempo. Similmente non permette loro di ricevere vestiario o altri beni materiali. Nel 2015 sono state permesse appena 4 visite ai detenuti di Gaza.
Da anni nessun diritto di visita viene riconosciuto ai detenuti arabi di nazionalità giordana ed egiziana.
Pene pecuniarie (multe). Nel 2015, l’imposizione di ammende ai prigionieri palestinesi, tra i 50 e i 100euro, hanno fatto incassare a Israele circa 120mila euro.
Trasporto e trasferimento nelle celle. Nel tragitto verso i centri di detenzione o durante il trasporto verso i tribunali i detenuti palestinesi vengono costretti in celle montate a bordo di mezzi militari. Sono strutture in ferro sporche e maleodoranti. La costrizione a restare nelle celle mobili può durare anche 10 ore consecutive senza acqua né cibo. C’è inoltre commistione con i detenuti comuni (responsabili di crimine ordinario).
Per questo motivo e per i ripetuti casi di torture inflitte in questi contesti, molti detenuti palestinesi che necessitano di essere trasportati in ospedale preferiscono rinunciare alle cure e spesso non si presentano in tribunale. Non vengono risparmiati da questi metodi i detenuti con disabilità né i sofferenti.
Detenzione in isolamento. Israele impone la detenzione in isolamento seguendo i criteri della detenzione amministrativa. La estende a oltranza ogni sei mesi e si rifà alle solite ragioni di sicurezza (quelle delle quali non fornisce mai le prove).
Quindici i prigionieri palestinesi posti sotto questo regime detentivo nel 2015: Shukri al-Khawaja (Ramallah), Majid Al-Ja’bi (Gerusalemme), Mohammed Naifsh Abu Rabi’a, Hussam ‘Omar, Musa Sufan (Tulkarem), Fares al-Sa’adi, Majid Ja’abari (Hebron) Alex Mans (Belgio), Hassan Khaizaran (Libano), ‘Abdel Rahman ‘Othman, ‘Ussam Zein Id-Din, ‘Abdel ‘Azim ‘Abdel Haq (Nablus), Nur ‘Amer (Qalqilya), Nahar As-Sa’adi (Jenin), Mohammed Al-Bal (Gaza).
Musa Sufan è malato di cancro.
Quelle riservate alla detenzione in isolamento sono celle anguste, prive di ventilazione e infette da insetti e scarafaggi. Anche i detenuti in isolamento sono sottoposti a improvvise e umilianti ispezioni notturne, quando si consumano pure forme di tortura.
Vengono trasferiti da una cella ad un’altra in continuazione e in tal modo Israele vuole indebolire il movimento dei prigionieri palestinesi, o la leadership all’interno delle sue prigioni.
Scioperi della fame. Anche il 2015 è stato segnato da lunghe campagne di protesta con scioperi della fame avviati dai detenuti palestinesi. La denuncia dell’illegalità delle detenzioni amministrative è stata il filo conduttore di queste forme di protesta.
Si ricorda quello di 55 giorni di Khader ‘Adnan, 65 giorni per Mohammed ‘Allan, 40 giorni per i detenuti Nidal Abu ‘Aker, Ghassan Zawahara, Shadi Ma’ali, Munir Abu Sharar, Bader Ar-Razza.
Mohammed Ahmed Al-Qiq, giornalista palestinese in detenzione amministrativa dal 24 novembre 2015 prosegue lo sciopero della fame.
‘Abdallah Abu Jaber, cittadino giordano condannato all’ergastolo, sciopera con la richiesta di poter scontare il resto della pena detentiva nel proprio paese.
Trattenere i corpi dei detenuti deceduti. I corpi di 56 detenuti palestinesi deceduti in detenzione israeliana non sono stati consegnati alle rispettive famiglie. Anche questa è una forma umiliante di punizione collettiva. Israele ha posto condizioni alle famiglie dei martiri: ‘seppellirli di notte alla presenza di poche persone, pagare le spese per il trasferimento, rinunciare a chiedere l’autopsia e non chiedere i certificati di morte’. Nel 2015 si sono riportati diversi episodi in cui, convocati per indagare sulla morte dei propri cari, i parenti dei martiri sono stati arrestati e posti sotto detenzione amministrativa.
Se i palestinesi non accettano queste condizioni, Israele può procedere alla demolizione delle loro abitazioni, alla confisca della residenza per i gerosolimitani o al licenziamento da impieghi presso istituzioni israeliane.
Ex prigionieri ri-arrestati. Nel 2015 la giustizia israeliana ha riattivato per 7 palestinesi condanne inflitte in passato per il rapimento di Gil’ad Shalit. I palestinesi in questione sono ‘Ala Id-Din Al-Baziyan, Jamal Abu Saleh, ‘Adnan Maragha, Nasser ‘Abdel Rabbo, Rajib At-Tahan, Isma’il Hijazi (Gerusalemme), e Nidal Zalum (Ramallah).
Sono tutte condanne all’ergastolo più 40 anni di carcere. 45 anni per Maragha.
Dall’affare Shalit (ottobre 2011) Israele ha ri-arrestato 65 palestinesi, tra cui tre donne. In 54 casi a ri-applicato le vecchie pene detentive.
Per mezzo dell’Ordine Militare n°1651 qualunque militare può decidere di arrestare un ex detenuto.
Arresti per attivismo sui Social. Negli ultimi tre mesi del 2015 una campagna di arresti ha riguardato palestinesi accusati di incitamento. Con questa modalità – per mezzo della quale non si fa altro che negare loro la libertà di opinione – sono state sequestrate 130 persone e le accuse sono state formalizzate contro 27 di esse. Numerose anche le detenzioni amministrative. Gerusalemme è stato il teatro di questi arresti dove Israele ha formato un’Unità Cyber ad hoc per monitorare la libertà d’espressione dei palestinesi.
Arresto di feriti. Verso la fine dell’anno, 35 palestinesi sono stati arrestati dopo essere stati feriti, anche gravemente. Feriti e costretti a sottostare a interrogatori presso i checkpoint, i palestinesi sono stati lasciati sanguinare a terra. Condotti negli ospedali israeliani sono stati ammanettati e lasciati a lungo nei letti, peggiorando in taluni casi il loro stato di salute. A due di essi, Jalal Sharawna e ‘Isa Al-Mo’ti, è stata amputata la gamba.
L’assalto di agenti israeliani in borghese all’ospedale Al-Ahli, a Hebron il 12 novemrbe 2015 si è concluso con l’assassinio di ‘Abdallah ‘Azzam Al-Shalalda e il ferimento e rapimento di suo cugino, ‘Azzam ‘Ezzat Al-Shalalda.
Arresti domiciliari e deportazione da Gerusalemme. Entrambe le pratiche si cono concentrate a Gerusalemme e hanno riguardato minori palestinesi. Un’unità speciale è stata creata per contrastare la reazione popolare per le strade di Gerusalemme.
I minori palestinesi confinati agli arresti domiciliati nel 2015 sono stati 60. Trecento negli ultimi tre mesi. Sei gerosolimitani sono stati raggiunti da provvedimento di espulsione dalla propria città, Gerusalemme, fino anche a 6 mesi. Questioni di sicurezza alla base delle misure israeliane.
Sono ‘Annan Najib, Akram Ash-Sharafa, Ra’ed Salah, Muhammad Ar-Razzam, Hijazi Abu Sabih, Samer Abu ‘Aisha. Rifugiati presso la sede della Croce Rossa Internazionale, questi ultimi due si rifiutano di essere espulsi e guidano la protesta contro la pulizia etnica su Gerusalemme. Sono proibiti dal diritto internazionale la deportazione e il trasferimento forzato di popolazioni o di persone protette.
297 palestinesi sono stati interdetti dall’accesso all’area sacra di Gerusalemme e dalla moschea di Al-Aqsa per un periodo che va dai 10 giorni ai 6 mesi. Si tratta di 126 donne, 9 minorenni di sesso femminile e 18 maschile. Anche 12 dipendenti del Awqaf, fondazioni pie.
Minaccia di estradizione per ‘Omar Nayef. Attraverso pressioni internazionali, Israele chiede l’estradizione di ‘Omar Nayyed Zayed, palestinese con cittadinanza bulgara ed ex detenuto.
Nayef si è rifugiato nella sede diplomatica palestinese in Bulgaria. Fu arrestato nel 1986 ed evase dal carcere 4 anni dopo. Israele lo aveva condannato all’ergastolo.
di Elisa Gennaro