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Arabia Saudita, un sistema parassitario e corrotto che rifiuta la realtà

di Salvo Ardizzone

Sabato, a Riyadh, un terremoto ha sconvolto le stanze del potere, con sei ministri silurati, ministeri accorpati e il capo della Banca Centrale sostituito dal vice. A innescarlo è stato Mohammed bin Salman, il figlio trentenne del re che, da quando il padre è salito al trono, tiene di fatto tutte le leve del potere.

Quello che eufemisticamente è stato definito un maxi rimpasto di Governo, è molto di più: è insieme l’ennesimo colpo di palazzo non tanto del clan Sudayri a cui appartiene il re, quanto del figlio, con il quale il giovane principe ha spazzato via tecnocrati ed elementi legati ad altri della casa reale per porre uomini a lui legati in ogni casella del potere.

La vittima più illustre è Ali Al-Naimi, l’ottantunenne ministro del Petrolio la cui parola era sufficiente a far tremare il mercato energetico mondiale. Aveva cominciato a dodici anni, scalando i gradini fino a divenire nel 1983 il capo dell’Aramco, il colosso saudita del petrolio e, nel 1995, del ministero del Petrolio. Un tecnocrate duro, temuto e rispettato per la sua competenza, ma che ha commesso l’errore imperdonabile di non allinearsi in tutto ai voleri di Mohammed bin Salman, decretando la propria fine.

Ad aprile, nell’incontro a Doha che mirava al congelamento della produzione mondiale di greggio per sostenerne il prezzo giunto ai minimi, il Ministro aveva dato l’impressione di acconsentire, anche se l’Iran intendeva insistere nell’incrementare la propria fino a giungere ai livelli precedenti alle sanzioni. Una bestemmia per le orecchie del giovane principe che vede in Teheran l’arcinemico da abbattere: immediatamente è arrivata la sua smentita, con una secca dichiarazione secondo la quale senza il blocco (e la riduzione) della produzione iraniana ai livelli pre-sanzioni non ci sarebbe stato alcun accordo, che di fatto ha delegittimato il Ministro anticipando la sua defenestrazione, ed ha messo in fibrillazione un mercato mondiale scosso già di suo.

Adesso a succedergli è Khaled Al-Falih, l’attuale capo di Aramco che, a differenza di Al-Naimi, è uno stretto consulente del rampollo reale (come d’altronde gli altri neo ministri); guiderà un ministero nuovo di zecca che accorpa il Petrolio, l’Energia, l’Industria e le Risorse Minerarie: in una sola poltrona (controllatissima) viene concentrata una mole immensa di potere.

Ad Al-Falih è affidato il compito di realizzare la “Visione 2030”, il fantasioso piano presentato dal principe a fine aprile che entro quella data “dovrebbe” affrancare Riyadh dal petrolio. Si parla di collocare in borsa l’Aramco, partendo da un 5%; costituire un mega fondo sovrano da 2mila miliardi di dollari (non è chiaro con quali risorse, vista la situazione delle finanze saudite); tagliare il welfare e soprattutto i sussidi alla popolazione (su cui si regge lo scricchiolante consenso della casa reale); aumentare drasticamente l’occupazione nell’industria e nei servizi (anche se non si sa come, visto che la popolazione saudita ha una scolarizzazione e una capacità produttiva disastrosa, tanto che le industrie e i servizi esistenti funzionano grazie a stranieri).

Un libro dei sogni avulso dalla realtà, redatto da un gruppo di sedicenti esperti che hanno messo nero su bianco i sogni del rampante principe saudita; in esso non si spiega in alcun modo come una società abituata da sempre a vivere in modo parassitario, e che dipende in tutto dai sussidi della casa reale e dalle rendite energetiche che costituiscono il 72% delle entrate dello Stato, possa improvvisamente invertire la rotta, ma tant’è.

A rincarare la dose c’è pure la dichiarata intenzione di Mohammed di non voler prestare alcuna attenzione alle fluttuazioni del prezzo del petrolio; in questo modo intende continuare a colpire i propri nemici: i produttori di shale oil nordamericani, la Russia e soprattutto quell’Iran che è l’ossessione di Riyadh. E pazienza se le entrate dello Stato vanno a rotoli mentre le spese rimangono fuori controllo fra guerre, megacommesse militari e folli spese della corte: secondo il giovane (e i suoi esperti) l’Arabia Saudita ha sufficienti riserve per completare il piano mentre i suoi avversari vengono stroncati.

Peccato che quelle riserve si stiano esaurendo a un ritmo crescente, il bilancio sia in rosso sempre più profondo e la ventilata riduzione al fiume di sussidi (l’unico taglio previsto a spese in continua crescita) stia già provocando preoccupanti malumori.

Non c’è dunque da stupirsi che le mosse del giovane rampollo abbiano suscitato l’apprensione dei mercati, soprattutto quello del petrolio, e di diversi Paesi (Opec e non Opec) minacciati da una deriva giudicata quantomeno irresponsabile. Ma è all’interno della stessa sterminata corte che stanno montando i malumori di chi, con occhi più realistici, vede minacciati i propri enormi privilegi e giudica velleitarie (o addirittura suicide) le politiche di Mohammed.

Quella saudita è ormai la deriva di un sistema parassitario quanto corrotto, che rifiuta la realtà e vagheggia di contrastare il corso della Storia che lo ha ormai avviato al tramonto.

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