Governo di Bolsonaro minaccia gli Indios dell’Amazzonia
Gli indios dell’Amazzonia e del Sudamerica sfidano Jair Bolsonaro, il presidente di estrema destra eletto in Brasile alla fine dello scorso anno. Al grido di “Sangue indiano” e “Nelle vene la lotta per la terra e il territorio”, migliaia di manifestanti indigeni si sono dati appuntamento a Brasilia per la 15esima edizione di Acampamento Terra Livre.
Migliaia di manifestanti indigeni si sono riuniti presso l’Esplanade dei Ministeri di Brasilia per difendere la terra e i diritti culturali delle popolazioni indigene che si sentono minacciate dal governo di Jair Bolsonaro. I manifestanti sono rimasti con le loro tende davanti al Congresso Nazionale per tre giorni consecutivi, dal 24 al 26 aprile.
I motivi della protesta
Secondo gli organizzatori della manifestazione in poco meno di quattro mesi (il mandato del presidente è cominciato il primo gennaio) Bolsonaro ha già “smantellato 30 anni di “politica indigenista”, cioè la coesistenza tra le tribù e il resto del Paese.
A preoccupare gli indigeni è il futuro dell’Amazzonia e delle altre aree rurali del più grande Paese dell’America Latina dove, secondo un censimento del 2010, vivono circa 800mila indigeni appartenenti a 305 etnie, con almeno una settantina di tribù isolate al punto da non essere mai entrate in contatto con l’uomo contemporaneo. Alcune novità introdotte dal presidente Bolsonaro metterebbero a repentaglio la sopravvivenza di queste popolazioni.
Tra i provvedimenti al centro delle polemiche c’è il trasferimento della Funai, la Fondazione nazionale dell’indio, cioè l’organo del governo brasiliano che si occupa delle politiche di protezione degli indigeni, dal ministero della Giustizia a quello della Donna, della famiglia e dei diritti umani.
Fa discutere anche l’affidamento delle attività di demarcazione delle terre, un tempo di competenza della Funai, al ministero dell’Agricoltura: una mossa che di fatto potrebbe aprire allo sfruttamento dei territori incontaminati, dove vivono le popolazioni protette, trasformandoli in aree destinate alla coltivazione, soia e canna da zucchero in particolare.
Gli indigeni accusano il governo di “consegnare l’Amazzonia a interessi e società nazionali e internazionali”, in sostanza di svendere la più grande foresta pluviale del mondo.
di Cristina Amoroso