Gli operai del terzo mondo schiavizzati dall’esercito americano
È il New York Times a fare la denuncia: circa 37mila lavoratori indiani, nepalesi, filippini, ugandesi e di altri Paesi lavorano fino a dodici ore al giorno (superfluo parlare di ferie o tempo libero) per cifre dai 150 ai 500 $ al mese, contro i circa 67.000 $ annui dei cittadini americani impiegati dal Dipartimento della Difesa per le medesime mansioni. I lavoratori in questione sono ingaggiati da agenzie private che svolgono i sevizi di pulizia, ristorazione, lavanderia, smaltimento rifiuti, e altri servizi simili, per il personale militare impiegato nelle missioni all’estero.
Quella dei “lavoratori forzati” è una piaga antica: l’Us Army, per risparmiare, da molto tempo ha preferito ricorrere ad agenzie esterne per i servizi, e queste, per guadagnare il più possibile, hanno alimentato un vero “traffico delle braccia”. A dire il vero dal 2006 Washington ha provato a limitare l’abuso, ma le società esterne sono molto “ammanigliate” con il Dod (Dipartimento delle Difesa) e ancora nel 2012 la pratica era largamente diffusa.
È stato ai tempi dell’Iraq che la questione è divenuta scandalosa e non si è più potuta nascondere: allora, le grandi compagnie private di “contractor” americane, specie Din Corp Intercontinental, The Fluor Corporation e Kbr, furono al centro di numerosi scandali e abusi. Venne tra l’altro appurato che mentre numerosi mercenari (per lo più ex militari Usa) potessero guadagnare fino a 1 ml di $ l’anno, un cuoco del Ghana non superasse i 3mila (sempre all’anno). Da allora vennero adottate nuove regole, ma non vengono quasi mai applicate e l’assenza dei controlli è completa.
Sin quando non verranno applicate punizioni e sanzioni (anche ai militari dei vari reparti, spesso conniventi e cointeressati), che prevedano multe e cancellazione dei contratti, la storia andrà avanti come sempre.
Ma malgrado le denunce di diverse organizzazioni dei diritti umani Usa non c’è troppo da sperarci: c’è troppo da guadagnare. A perderci saranno sempre i più deboli.